Perché il cinema si occupa del marxismo e del sesso

Perché il cinema si occupa del marxismo e del sesso PROBLEMI SCOTTANTI DEL NOSTRO TEMPO Perché il cinema si occupa del marxismo e del sesso Gli avvenimenti di cronaca nelle attualità cinematografiche, il dramma sullo schermo, oltre alla voce disincarnata dell'annunciatore alla radio e alla tv, sono l'« occhio del mondo », la « voce dell'esperienza », la « marcia del tempo » — osserva un noto studioso della « cultura delle città », Lewis Mumford: la vita sembra un pretesto di spettacolo, le azioni e le parole degli uomini paiono atteggiate tenendo presente la riproduzione storica in fotografia e sullo schermo. Per Mumford, il nostro è un mondo dove la carne e il sangue hanno minor peso di realtà che la celluloide. Le grandi masse, incapaci di avere un contatto diretto con più soddisfacenti mezzi di esistenza, vivono la vita per procura; spettatori passivi, stanno a guardare eroi ed eroine di celluloide per dimenticare la loro goffaggine o freddezza in amore; lontani dalla natura esterna, e non meno dalla natura interiore, messi in svantaggio quali amanti e genitori dalle abitudini quotidiane, e dal persistente spettro di insicurezza e di morte che volteggia sopra le loro audaci torri e le loro strade in ombra, gli uomini giungono spesso a uno stato ai confini della patologia. Essi diventano vittime di fantasmi, paure, ossessioni — specifica Mumford — che li tengono legati a modelli atavici di condotta i quali, benché razionalizzati in pseudofilosofie, non rimangono sulla, celluloide, cercano uno sfogo. Un intero sistema di istituti fondati sullo sfruttamento commerciale degli interessi sessuali — case di tolleranza, di appuntamenti, alberghi per coppie clandestine — così di frequente al centro di film, alimenta nello spettatore il « sadismo dell'immaginazione i. Nel cinema, il vizio diventa un « veleno per procura »: esso viene cercato' é goduto in forme succedanee più a buon mercato, di riflesso, nelle pellicole oltre che in certi giornali illustrati o reclame* di moda (le quali, è da osservare, non si limitano più al nudo femminile, ma cominciano a ritrarre anche quello maschile). Le osservazioni di Mumford troveranno certo consenziente il giovane universitario che, avendo seguito sui giornali la Mostra di Venezia, domandava a « Specchio dei tempi* se «siano necessarie, oggi, per fare un film, solo due componenti: il marxismo e il sesso, o meglio la perversione sessuale ». Leggendo i resoconti dei giornali, egli non ha trovato, tra quelle esposte al Lido, una pellicola tche non parli di comunismo (cinese o russo) oppure di masochismo od omosessualità ». Di qui l'interrogativo: « Come si può parlare di vera arte? ». Mumford, che in linea di massima ha ragione, commette tuttavia l'errore, peraltro in seguito corretto, di considerare il cinema un unico blocco, di porlo tutto sullo stesso piano corruttore ed alienante, come de\ resto hanno fatto e fanno filosofi quali l'Adorno, allontanandosi dalla più fattila e critica valutazione di un Walter Benjamin. Parimenti ci sembra che in un anologo errore cada il giovane universitario di « Specchio dei tempi », quando vuole giudicare film e autori all'ultima Mostra di Venezia, dai temi in prevalenza trattati: la politica appunto e il sesso, intesi tout court come fenomeni negativi e non problemi, e problemi particolarmente vivi e scottanti del tempo in cui viviamo. Egli cioè considera le opere di Godard e Bellocchio, Pasolini e Bufiuel, dei fratelli Taviani, veleno per procura, merce « proibita » offerta a buon mercato; mentre questi autori, e i loro film, hanno ben altro scopo e obiettivo: quello anzitutto di dare al cinema la dignità che gli compete tra i moderni mezzi di comunicazione, il diritto di affrontare questioni nodali, di far pensare lo spettatore, renderlo cosciente e partecipe, allontanandolo proprio dalla « città di sogno », dall'immaginazione malata. Siamo in molti a non credere1 che Bunuel, con Bella di giorno, abbia voluto rappresentare la perversione sessuale, il masochismo in se stesso. Al contrario egli ha scelto una precisa tematica per andare alle radici del fenomeno, di una cattiva educazione sessuale, dei pericoli che essa comporta (piacere del dolore, senso di colpa, repressioni). I pregiudizi, i miti, i tabù svaniscono con il dominio effettivo su di essi; e il cinema, per contribuire a dissolverli, deve ricercarne le origini profonde e nel tempo, ricondurli alile loro cause concrete. « Iside si svela all'audace che le si avvicina », avvertiva Francesco De Sanctis. « Quelli che speculano di lontano, non veggono che ombre ». Non c'è dubbio che il cinema costituisca un vasto e redditizio campo per gli speculatori. Ma forse il corrispondente di a Specchio dei tempi* incorre in un duplice pregiudizio: che l'arte non deve occuparsi, comunque e mai, di politica; che il « brutto » non è materia di drammatizzazione per. il poeta, e quindi per il regista. Sono errori ancora assai diffusi. Per politica intendiamo ciò che riguarda la « polis », il problema di come gli uomini, che non possono vivere soli, riescono a vivere insieme, il problema degli ordinamenti sociali, la cui soluzione ha rappresentato l'inizio di ogni cultura e l'ha garantita, quando addirittura non l'ha costituita nei suoi tratti essenziali, oppure ha provocato la decader za di una cultura; e non qualcosa di basso, di volgare, di quotidiano, con cui l'arte non deve sporcarsi le mani. Il brutto è elemento necessario così nella natura come nell'arte, ammoniva De Sanctis, perché la vita è generata appunto dalla contraddizione tra il vero e il falso,- il bene e il male, il bello e il brutto. E intendesi per brutto, nel nostro caso, non il sesso ma le sue perversioni; non la politica, i suoi problemi, ma i politicanti, chi di essa si serve per ambizioni o profitti personali: i camaleonti, per adoperare un termine oggi di moda. Politica e sesso non sono le uniche componenti della nostra vita, ma certo tra le sue maggiori, e il cinema non può ignorarli. Siamo tutti immersi nei problemi sociali, coscientemente o incoscientemente. Il problema è un altro, più complesso e profondo. Se nel regista, nel poeta, sempre citando De Sanctis, il senso morale ed estetico sia o no sviluppato; se abbozzo, aborto risulti l'opera sua, oppure gagliarda e come tale vivo e vero in essa il brutto, che egli non pensa a piallare, e tanto meno ad abbellire, ma pone iri evidenza e ritrae con autentici colori. Guido Aristarco

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