L' Inghilterra vuol entrare nel Mec per non rassegnarsi alla decadenza di Vittorio Gorresio

L' Inghilterra vuol entrare nel Mec per non rassegnarsi alla decadenza (f SAREBBE BELLO, MA IMPOSSÌBILE ANDARE AVANTI DA SOLI 99 L' Inghilterra vuol entrare nel Mec per non rassegnarsi alla decadenza Gli inglesi non hanno scelta: o decadere, o trovare nuovo slancio nella solidarietà europea - Il Commonwealth si sfalda, la "Comunità atlantica" è fuori delle speranze, gli Stati Uniti non hanno speciali riguardi per l'antica madrepatria - Il Congresso americano ha messo il veto a qualsiasi contratto militare con Londra, per "punirla" delle riserve sulla guerra nel Vietnam - Già oggi il Mec assorbe la maggior parte del commercio britannico - Nel vasto mercato europeo, l'Inghilterra potrebbe sfruttare l'unica superiorità che le sia rimasta: il progresso tecnologico (Dal nostro inviato speciale) Londra, settembre. Di entrare nel Mercato Comune, l'Inghilterra ha forse piii bisogno : che desiderio. La spinta sarà quindi anche maggiore perché è un bisogno determinato da un'obbiettiva mancanza di scelte: o l'Europa, con la possibilità di un rilancio della funzione internazionale inglese: o nient'altro di buono, cioè una decadenza solitaria come già ebbero altri imperi avviati ad un tramonto definitivo. Per questo, il 10 maggio scorso, i Comuni autorizzavano il governo a chiedere l'ammissione dell'Inghilterra nella nostra Comunità. Il dibattito parlamentare, che era stato lungo e molto serio, sì concludeva con il voto di un'altissima maggioranza — 426 favorevoli, 62 contrari — ma il risultato venne accolto dalla Camera senza entusiasmo: « Soltanto con un*largo mormorio dl approvazione che non si potrebbe chiamare un applauso », notò il Financial Times nel suo elegante resoconto fedele. Infatti è già una forma di rassegnazione riconoscere che di speranze ne è rimasta una sola: in questo caso, che favorire una riaffermazione dell'Europa nel mondo significhi aiutare l'Inghilterra a uscire dalle proprie difficoltà. Michael Stewart, allora segretario per gli Affari economici, aveva detto che sì rendeva conto perfettamente delle possibili esitazioni: andare avanti da soli sarebbe onorevole, essendo cosa che oltretutto ha anche un bel suono britannico (« a good British ring») ma per disgrazia la realtà di oggi è cambiata, egli disse. Secondariamente, si sarebbe potuto pensare ad una Comunità, invece che solo europea, atlantica, ma questa non esiste ancora nemmeno come formulazione. Infine, la Zona europea di libero scambio (Efta) escogitata nel 1958, praticamente non ha servito da surrogato al Mec, come bisogna riconoscere. L'Inghilterra vi esporta mensilmente per circa 63 milióni di sterline, mentre ne vanno 83 nei Paesi del Mercato Comune: e il divario è maggiore nelle importazioni, che sono di 54 milioni contro Con la stessa America el Nord, compreso il Cuna•da, il volume di scambi è minore di quello con i Sei della Piccola Europa. Anche se questo è un paese mercantile, le cifre dei commerci forse da sole non basterebbero a conferire una vocazione continentale agli inglesi. Ad esse però si aggiungono considerazioni dì natura anche più attraente, come l'idea che l'Inghilterra associata all'Europa ne potrebbe diventare la guida, non tanto morale — perché questo è un concetto un po' fumoso — ma tecnologica, ciò che da un punto dì vista pragmatico conta moltissimo, anche a fini politici. Spiegando la posizione del governo al gruppo parlamentare laburista, Wilson diceva il 27 aprile di quest'anno, con assoluta franchezza, che all'Inghilterra il fatto di trovarsi più avanti di tutti i Paesi europei nel campo della tecnologia, in realtà non serve a nulla, fin tanto che essa resti fuori della Comunità. E' solo il giorno in cui potrà contare sul bel mercato di 300 milioni di europei consumatori che l'industria inglese di avanguardia avrà il coraggio, o meglio sarà in grado di arrischiare i capitali richiesti dalla ricerca scientifica per l'affinamento della produzione: « Se no, dopo di esserci baloccati con quella convenzionale per tutti gli anni '60, ci troveremo nei '70 alle complete dipendenze dell'America, se non dell'Unione Sovietica». L'Europa vista come spazio necessario al potenziale inglese diviene quindi seducente, e tanto più a considerare, in paragone, le cattive esperienze fatte sinora nella prova di agganciare l'Inghilterra all'America. Era stato un tentativo di istituire un rapporto speciale fra i due grandi anglosassoni, fondato sul criterio tutto inglese che la comune nobiltà di origine e di lingua dovesse compensare la disparità delle forze attuali rispettive, e quindi assicurare un equo trattamento di favore all'Inghilterra. E' andata invece male, riconosce Z'Observer, e se ne è avuta un'altra dimostrazione di quanto sia diffìcile trattare con una superpotenza per chi non sia che un peso medio: « Al ricco riesce quasi impossibile valutare le necessità, e le emozioni, del povero ». Uno dei fondamenti della' particolare collaborazione anglo-americana — la cosiddetta special partnership — ero naturalmente militare, avendo l'Inghilterra esigenze strategiche costose in gran parte del mondo. I due Paesi infatti si erano impegnati in un programma comune che prevedeva forniture scambievoli delle migliori armi di rispettiva produzione. Però è un sistema che non ha funzionato come dovrebbe fra gentiluomini. Nel 1962 ci fu un affare dì missili americani, « Skybolt » e « Polaris », che mandò a male tutto un programma aeronautico inglese, nonostante gli accordi preesistenti. Di questi giorni è un altro caso anche più grave. In cambio di apparecchi militari americani, gli F-lll, che sono caccia bombardieri capaci di volare a bassa quota e di quindi sottrarsi all'intercettazione dei radar, l'Inghilterra avrebbe dovuto vendere agli Stati Uniti certi suoi posamine di grande qualità. Senato e Camera dei rappresentanti dl Washington si sono però opposti alla transazione, votando inoltre che l'Inghilterra d'ora in avanti venga esclusa da ogni fornitura marittima, e militare in genere, agli Stati Uniti, e ciò fin tanto che navi inglesi, anche in privato, continueranno a trafficare con il Vietnam del Nord. Anche se questi possono sembrare esempi da poco, o situazioni volta per volta rimediabili, il Times afferma che sono cose che tra amici non dovrebbero mai accadere. In sé, l'affare dei posamine ha una modesta portata finanziaria, un centinaio di milioni di dollari. Inezia per gli Stati Uniti che ne destinano 70 miliardi all'annuale bilancio della difesa, conta un po' più per l'Inghilterra che applica la lesina alle spese militari, ma è soprattutto una questione di principio che colpisce gli inglesi e che li indigna. Venire iscritti nella lista nera deci loro nipoti americani arricchiti e protervi non è solo un affronto quanto un segno di libertà politica perduta. Anche ad un altro piccolo affare inglese per il Perù — la vendita di sei aeroplani di tipo « Camberrà » a quel paese — Washington ha di recente messo il veto come punizione per le reiterate deprecazioni pubbliche e private che dall'Inghilterra si levano contro la guerra nel Vietnam. In Vietnam, d'altra parte, truppe australiane stanno invece combattendo a spalla a spalla con quelle americane, ciò che basta a indicare a quanto poco sia ridotta o come vaga sia ormal l'intesa fra gli Stati del « Commonwealth », anche là dove sono in gioco i problemi politici essenziali. Altri interessi, altre visioni, e per ciascuno impegni diversi, dì conseguenza. A non parlare della recessione del Sud Africa, a suo tempo, oggi è l'esempio della Rhodesia che viene a togliere le ultime eventuali illusioni sulla possibilità o capacità degli inglesi ad avere funzioni di responsabili in continenti lontani come l'Africa, l'Asia, l'Oceania. In Europa sarebbe un'altra cosa. Senza contarne la vicinanza, l'Inghilterra la guarda come il campo dove ricominciare ad espandersi ancora una volta, dopo che tutti gli altri continenti le sono stati chiusi o le sono adesso contestati da una insostenibile concorrenza amerìcana. Non è che l'Inghilterra cerchi in Europa il suo nuovo impero coloniale per continuare ad avere da governare altri popoli, essa piuttosto fa assegnamento che l'Europa le offra le occasioni per un lavoro di nuovo tipo, sempre adatto al suo genio nazionale ma più corrispondente ai giorni nostri, come l'esercizio su vasta scala di quella «leadership» tecnologica che è vagheggiata da Wilson e che sarebbe sufficiente, egli sostiene, a dare all'Inghilterra prosperità e prestigio, ed ancor meglio una ragion d'essere quale grande paese. Oggi è del resto in questo modo che si colonizza, nel senso più allettante del termine, ed è' l'Europa che può fare al caso inglese più dello stesso Commonwealth, perché è attrezzata industrialmente con strutture di base che potrebbero, cootdinate e perfezionate, arrivare a livelli di altissima efficienza. Wilson è stato un profeta convinto della rivoluzione tecnologica fino da quando si batteva per conquistare la guida del partito laburista. Ne ha fatto il suo programma di gover¬ no, non si è stancato e non si starwa di sostenerne la necessità, ed anzi per curiosa evoluzione è diventato europeista proprio in funzione ed al servizio della tecnologia, per darle lo spazio conveniente e le necessarie dimensioni scientifiche. Per questa strada si è trascinato dietro il suo partito facendogli scavalcare le posizioni dei conservatori che erano i soli che in Inghilterra qualche volta parlassero, timidamente, di Europa. Ora egli ne ha fatto il suo argomento primo contro gli oppositori, ed è anche la sola prospettiva un po' grandiosa che sa offrire ai suoi critici e ai delusi sfiduciati. A tutti gli inglesi ha promesso per anni la rinascita come risultato della rivoluzione tecnologica, e poiché la rinascita sembra ancora lontana e la rivoluzione non c'è stata, ora ammonisce che la battaglia sarà vinta immancabilmente a condizione di portarla su uno scacchiere allargato a dimensioni continentali. La tesi appare giusta, ma rimane il dubbio se Wilson abbia realmente in mano le armi necessarie alla battaglia, in questo declinare di efficienze nazionali che non risparmia né il governo né il partito né la stessa Inghilterra. Vittorio Gorresio 4

Persone citate: Michael Stewart