Segni di crisi in Danimarca ma lo Stato rimane efficiente

Segni di crisi in Danimarca ma lo Stato rimane efficiente Quello che insegna l'esperienza della Scandinavia Segni di crisi in Danimarca ma lo Stato rimane efficiente Non dobbiamo idealizzare i Paesi del Nord - Anche la serena nazione danese si lamenta dell'abbassamento della classe politica e della speculazione edilizia - Tuttavia governo e parlamento funzionano bene - Ridotte al minimo le formalità e le perdite di tempo - La Camera non si perde nelle leggina (Dal nostro inviato speciale) Copenaghen, 21 settembre. Re Federico ama ì tatuaggi, ne ha coperte le braccia: il fatto è notissimo (come la disinvoltura del sovrano nel comparire in bicicletta o a piedi nelle strade della capitale) e viene usato abitualmente per illustrare la costruzione mitologica che sommariamente definiamo Scandinavia. Guardiamo a questi Paesi come a modelli, confinandoli appunto in una sfera mitologica di conquiste inimitabili: il muratore che guadagna 300 mila lire al mese, ìl re che scende a comprarsi le sigarette, gli ospedali che accolgono e curano gratuitamente chiunque si presenti (l'operaio, se necessario, ha poi un periodo di convalescenza con soggiorno gratuito in qualche luogo di villeggiatura), le pensioni pagate puntualmente e in giusta misura a tutti. Si potrebbe continuare, ma non senza avvertire che la nostra tendenza a idealizzare ì modelli scandinavi, senza tentarne un'analisi critica e consolandoci con luoghi comuni (« però non sono felici, hanno una quantità enorme di suicidi ») ci nega la possibilità di trarre qualche risultato dalla loro esperienza. In molti casi il confronto sarebbe utilissimo e facile perché le situazioni sono più simili di quanto si creda. Porto alcuni esempi a caso: il governo non riesce a far passare la legge che consente l'esproprio delle aree, la speculazione sui terreni infierisce, Copenaghen aspetta da vent'anni un piano regolatore intercomunale, esattamente come Milano. L'idillio della società scandinava ha i suoi risvolti negativi, non nasconde affatto i suoi problemi. Tanto più in Danimarca, questo mezzogiorno della Scandinavia che - è •riuscito finora- a •mantenere un - certo- equilibrio fra le esigenze dello Stato assistenziale (è del luglio scorso la nuova tassa del 10 per cento su tutti - i consumi) e il culto della proprietà e dell'iniziativa private. Qui le fortune della socialdemo- crazia tradizionale sembrano in declino: le masse godono la piena occupazione, la sicurezza e l'assistenza totale, ma tendono oggi a estraniarsi dalla politica. E' avvertibile una crisi di assestamento nelle idee e nelle istituzioni: con gli introiti della tassa speciale per il culto (ne sono esenti i cattolici) lo Stato finanzia la costruzione di nuove chiese che restano deserte per mancanza di fedeli. Si ha un graduale impoverimento della classe politica, che in Parlamento mi dicono « di livello sempre più scadente», a causa dell'attrazione esercitata da attività più redditizie sui giovani, e in generale sui più dotati. La politica stessa si svuota, diventa un fatto tecnico. Ne è segno l'accresciuto potere dei tecnocrati di partito e il diminuito prestigio del Parlamento.l- La democrazia danese ha dunque i suoi mali, che la fanno meno smaltata e più credibile, al tempo stesso più utile per i confronti. Li avvia proprio dal Parlamene to, o « Folketing »: molti problemi simili ai nostri (anche quello della giusta retribuzione mensile dei deputati), e però un grado di efficienza sconosciuto alle nostre Camere. Perché? Quali rimedi hanno impedito l'aggravarsi di disfunzioni che in Italia raggiungono misure patologiche? Sul piano strettamente tecnico conta molto la spoglia funzionalità del «Folketing», che è fatto di una sola Camera, quella dei Deputati (la Camera Alta fu abolita nel '53). Il « Folketing » concede lunghe vacanze, non inferiori alle nostre che sembravano darci un primato. La Camera riprenderà i lavori il primo martedì di ottobre avendo chiuso a giugno. Poi un mese di vacanza a Natale e due settimane a Pasqua. « In tutto l'anno i giorni di effettivo lavoro sono 103, con riunioni brevi in aula, due o tre ore. E quando va bene intervengono quindici deputati », mi informa Erik Schleisner, un giovane funzionario che dirige la segreterìa generale. Tocchiamo il delicato tema degli stipendi dei deputati: 43.837 corone all'anno, più un rimborso spese in rapporto alla distanza dalla sede abituale (minimo 5000 e massimo 17 mila corone), traduco in lire: da meno di quattro a poco più di cinque milioni e mezzo all'anno. In più voli gratuiti sulla rete nazionale, viaggi gratuiti sulle ferrovie e sui battelli. Tutto sommato i deputati danesi prendono meno dei nostri, che superano ì 7 milioni annui, però si deve riconoscere che il risultato della parsimonia danese è negativo. Quanti possono dedicarsi seriamente ai lavori parlamentari o scegliere la via del Parlamento, tanto più pensando che un carpentiere di Copenaghen riceve un salario non dissimile? , Guadagnano maluccio, lavorano poco.ma, almeno, sbrigano le leggi senza perdere tempo e non affaticano ìl Parlamento con mille « leggine » di tipo italiano. Non c'è una restrizione di natura disciplinare in proposito: il fatto è che a nessuno viene in mente di proporre una legge per nuovi francobolli o per far avanzare di grado qualche ufficiale in pensione o per costruire una strada nel collegio elettorale. La sola restrizione « tecnica » è questa: il presidente dell'Assemblea può respingere a sua discrezione un progetto di legge, spiegando pubblicamente il motivo. In media non sono presentate più di 180 proposte di legge all'anno: quelle non approvate entro la sessione vengono automaticamente annullate. I progetti di legge non dormono per anni nel « Folketing ». Pur entro i limiti di una certa modestia della classe politica si avverte una praticità nell'assolvere i compiti, una fondamentale onestà verso l'interesse pubblico. E' viva, in molti deputati (non in tutti), l'esigenza di un rapporto diretto con gli elettori per almeno mitigare il disagio che viene all'opinione pubblica dalla sensazione di aver consegnato il potere alle segreterie dei partiti e non al Parlamento (soltanto il 25 per cento dei danesi che votano per i candidati socialdemocratici è iscritto al partito). Questo non è un problema soltanto italiano. Ma qui ci sono deputati che sentono il dovere di spiegare certi fatti ai cittadini che li hanno eletti. Mario Fazio

Persone citate: Erik Schleisner, Mario Fazio, Re Federico

Luoghi citati: Copenaghen, Danimarca, Italia, Milano