Nel Montenegro aspro e desolato i pastori vivono come mille anni fa di Massimo Conti

Nel Montenegro aspro e desolato i pastori vivono come mille anni fa UN PAESE QUASI SCONOSCIUTO APPENA AL DI LÀ DELL'ADRIATICO Nel Montenegro aspro e desolato i pastori vivono come mille anni fa Sono organizzati in tribù e clan, gli uomini portano con sé scimitarre e fucili, sopravvive la dura legge della vendetta - I ragazzi accettano la sposa scelta per loro dai genitori - Per «modernizzare» il Paese, il governo jugoslavo cerca di rimboscare a poco a poco il terreno, per rendere impossibile la pastorizia, e costruisce fabbriche lungo la fascia costiera - I giovani, soprattutto, sono aperti ai-soffio d'aria nuova che viene da Belgrado - Sempre più numerosi abbandonano le montagne e scendono, in cerca di lavoro e di fortuna, nella pianura (Dal nostro Inviato speciale) Cettigne, 18 settembre. Nessuno a Cettigne s'attenta a stabilire quanti siano gii abitanti del Montenegro, come si componga la sua popolazione, quali siano infine le attività più diffuse. In mancanza di dati aggiornati e sicuri valgono le stime. Saranno 500 mila i montenegrini, ma fors'anche di .più. Seicentomila almeno, secondo certuni, 700 mila secondo altri. Si penetra nel Montenegro con l'emozione di scoprire una terra incognita, appena scalfita dalla storia, da poco più d'un secolo defl".ita dalla geografia — la prima frontiera venne tracciata nel 1858, dopo la guerra di Crimea — e tuttora restia ad accettare il progresso. Sull'unica strada d'asfalto che dal mare sale alle montagne in vertiginose serpentine i rari automobilisti si salutano con colpi di clacson, pronti al soccorso se appena vi pensano in difficoltà: l'inverno, poi, per i casi urgenti l'auto cede il luogo all'elicottero. Dove finiscono queste lande di pietra carsica che riempiono giornate di viaggio senza ristoro d'alberi o d'acque? Le stesse case costruite con la pietra delle montagne si dissolvono nel paesaggio grigio, come i campanili delle minuscole chiese, le croci dei cimiteri. E rare apparizioni sono gli uomini che da secoli difendono questa terra crudele, eppure, per lóro, la più amabile di tutte le patrie. Del Montenegro e dei suoi abitatori gli jugoslavi parlano con disagio, specie con lo straniero. Al punto che ci si trova quasi in imbarazzo a far domande. Le indicazioni sono sempre vaghe, i discorsi tutt'al più allusivi. L'impegno di tutti è quello di seppellire presto nella memoria le immagini d'un mondo che resiste ancora alla storia. Il tentativo dì trasformare il Montenegro, la più povera fra le sei Repubbliche della Federazione Jugoslava, è stato avviato già da tempo; ma occorreranno generazioni di uomini, forse, prima di un cambiamento radicale. Ancora molti fra i pastori montenegrini vivono in tribù governate da leggi immutabili e da costumi fieri. Ho visto un villaggio di pastóri, Baijce, dove vivono trecento famiglie che si chiamano tutte, senza eccezione, Martinovich. Al pari degli altri clans, i Martinovich sono tutti imparentati fra loro, e i matrimoni quindi proibiti. Dato che i Martinovich non tollerano stranieri nel loro villaggio, le unioni vengono combinate con i membri di altre tribù. « Prendete la mia sposa dove volete voi », è la formula d'obbedienza con lw quatte i ragazzi in genere accettano la volontà dei loro genitori. Qui, come in altri villaggi del Montenegro, l'opera del tempo ha lasciato scarsi sedimenti. Le donne vanno in giro con i sacchi in spalla e la conocchia in mano, filando la lana. Gli uomini portano ancora gli «opanzì», morbide ciocie di pelle suina che gli permettono di saltare con agilità di roccia in roccia: sono gli stessi che usavano, al tempo di Roma, gli Illiri. Nelle regioni più impervie i pastori guerrieri portano anche scimitarre, pistole e fucili ereditati dagli avi, che lottarono per secoli contro i Turchi. I fucili servono per ammazzare i lupi e gli orsi, ma qualche volta anche gli uomini, quando lo impongono le leggi della «vendetta». Se poi difettano queste occasioni, ai pastori guerrieri non mancano pretesti per sparare in aria: così si festeggia un amico che parte, un fidanzamento, un compleanno. La guerra è nel sangue. Un tempo era sospetto di codardia l'uomo che non mostrasse, ferite sul suo corpo. Le lotte sono passate, ma fra i montenegrini, gente ombrosa, è sempre vigile il senso dell'onore guerresco. L'insulto più grave per un montenegrino è questo: «Conosco bene i tuoi antenati. Sono morti tutti nel loro letto ». La desolazione del Montenegro, in alcune parti, appare ora mitigata da qualche macchia verde. Si stanno piantando molti alberi, soprattutto abeti, perché, dicono, il Paese ha bisogno di legna. Ma con ogni probabilità lo scopo del rimboschimento non è soltanto questo. Sta il fatto che dove vi sono alberi ai pastori viene proibito di allevare capre. Le capre, infatti, rovinano gli alberi. Ai pastori restano le pecore, che si nutrono soltanto d'erba, ma l'allevamento delle pecore è meno redditizio. La vita si fa ogni giorno più difficile. E' un modo come un altro, questo, per indurre i pastori ad abbandonare il loro mestiere. Un altro espediente che serve anch'esso a demolire poco per volta il mondo dei fieri pastori è dato dalle piccole industrie che vanno sorgendo in diversi centri del Montenegro, insieme con case, scuole ed ospedali. A Cettigne c'è già una fabbrica di frigoriferi, e ta gente strappata alla montagna vive ora in case d'aspetto civile. I primi a rispondere al richiamo del progresso sono naturalmente i giovani. Molti dì essi, anzi, finiscono con l'abbandonare per sempre la montagna. Vanno a studiare e a lavorare lontano, a Belgrado o a Zagabria.Già a Belgrado i montenegrini cominciano a formare una casta, un po' come i siciliani a Roma. Il punto di richiamo più prossimo per i giovani montenegrini resta Titograd, la nuova capitate della Repubblica, Anche il trasferimento della capitate da Cettigne a Titograd serve al disegno di spopolare te terre più ingrate del Montenegro. A differenza di Cettigne, chiusa fra i monti, Titograd sorge in pianura. Le folte di Titograd non mi sono parse molto differenti dalla gente di altre città della Jugoslavia. Chiuso per secoli, il Montenegro poco per volta si sta arrendendo alla storia. Massimo Conti

Persone citate: Martinovich, Turchi