Il cinema riflette la crisi delle città

Il cinema riflette la crisi delle città SMARRIMENTO DELL'UOMO NELLA METROPOLI Il cinema riflette la crisi delle città E' facile constatare che le città sono in crisi. Non Reggono al ritmo, non rispondono alfe esigenze e ai modi della vita moderna. Scoppiano per la congestione del traffico, la densità della popolazione, l'accumulo caotico delle funzioni, la mancanza di coesione tra i ceti e le classi sociali. La crisi è profonda: riguarda il concetto stesso di città come istituto civile. Le città odierne non sono più la sede di comunità articolate, autosufficienti, funzionali, ma di confusi ammassi di folle dissociate e assillate dall'angoscia. Sono affermazioni di Giulio Carlo Argan al convegno internazionale artisti, critici e studiosi d'arte tenutosi recentemente a Rimini e a Urbino. Tema del convegno: « Lo spazio visivo della città: urbanistica e cinematografo ». Per la prima volta il film si è visto chiamato a una collaborazione per definire lineamenti di metodologia, che servano ad interpretare un complesso problema come l'urbanistica. Si trattava di verificare se esso può soccorrere o no nell'affrontare le questioni culturali, di vita, della nostra posizione nella crisi della città. Il cinema offre strumenti di conoscenza? Fornisce chiavi di lettura interpretativa? Quello che è certo, esso è anzitutto la testimonianza più diretta e immediata di un grave turbamento di valutazione e quindi di sostanza degli oggetti osservati. Al suo materiale informativo dobbiamo riferirci, oggi, quando vogliamo stabilire il significato psicologico o ecologico della metropoli, la vita cioè degli uomini rispetto all'ambiente, Gl'habitat. Il cinema fa vivere l'esperienza deua citta, più intensamente di quanto non la si viva come *cittadini», afferma Argan; e non l'esperienza di una città, ma della città in dipendenza del linguaggio filmico, cioè della sua struttura spazio temporale. Andremmo oltre: è vero, nel comune cinema poliziesco e comunque standard troviamo la metropoli, ma la sua qualificazione, caratterizzazione, il raggiungimento di una sua precisa fisionomia — di questa o quella metropoli, non di altre — si ottiene proprio in particolari film, che spesso sono i più artisticamente impegnati. La città del Potemìtin di Eisenstein è Odessa; della Folla di Vidor, New York; del Rocco di Visconti o della Notte di Antonioni, Milano; della Dolce vita di Fellini, Roma. Il cinema offre, sul piano del documento, una quantità di informazioni che nessun altro mezzo di comunicazione' consente: non la descrizione letteraria, non la pittura, e nemmeno la fotografia. I film permettono di osservare la città dal di dentro, la dimensione dell'uomo in essa, con occhio di spettatore e di « utente ». Può tentare un recupero della metropoli nel suo complesso e nelle sue componenti edilizie, utilizzandola appunto, vivendoci, muovendocisi sulla linea di percorsi, variazioni di prospettiva, interpretazioni legate anche a fenomeni psicologici e sentimentali (l'individuo schiacciato nella Folla, la * natura innaturale » in Antonioni, il recupero della memoria nel Citizen Kane di Welles). L'edificio, la città, non più oggetti statici, immutabili, possono diventare matrici di una dialettica dei sentimenti, attraverso cui è possibile entrare in contatto con le cose. Con il montaggio, la sua possibilità cioè di decomporre le immagini e di analizzarle, il film può mettere a raffronto le due città: la città partecipe, ideale, che sembra scomparsa, e la città ostile in cui si verifica il sopravvento dell' calienazione» (si veda, oltre agli esempi accennati, il Chaplin di Tempi moderni o de Le luci della citta). Può aiutare ad una « lettura » della realtà urbanistica, magari determinando un atteggiamento critico nello spettatore-utente; risvegliare g o e in lui una coscienza o addirittura il formarsi di una coscienza. Misurato sul metro degli altri mass media, per esempio della pagina stampata — ribadisce Marshall McLuhan —, il cinema ha il potere di immagazzinare e trasmettere una grande quantità di informazioni, presenta in un attimo un paesaggio alla cui descrizione sarebbero necessarie parecchie pagine di prosa; un.attimo dopo ripete, e può continuare a ripetere, questa stessa informazione particolareggiata; lo scrittore invece non ha modo di trasmettere ' ai lettori una massa di particolari in un grande blocco. Tuttavia le informazioni, se possono essere, preziose, sono insufficienti per contribuire ad una approfondita intelligenza della realtà urbanistica. Dinanzi a questa possibilità del cinema, così estesa e potènte di informare, occorre nfatti fare attenzione. Gli enormi casamenti costruiti dalla speculazione i edilizia sotto la bugiarda etichetta di « popolari » sono gli equivalenti, osserva Argan, della cattiva letteratura, gialla, rosa e nera: non un fatto nuovo ma la corruzione del vecchio. Parimenti i cosiddetti film « popolari » non sono un fatto nuovo e vitale, ma il corrispettivo della speculazione dell'edilizia cinematografica, dei cattivi film gialli, rosa e neri, comprendendo tra i « neri » le innumerevoli e sexy visioni pellicolari delle città « by night ». Se il cinema offre una quantità di informazioni che nessun altro mezzo di comunicazione consente, se, misurato agli altri media, ha il potere di immagazzinarne e trasmetterne assai di più, esso può darci, proprio al suo stadio normale di''produzione di cattivi film, una immagine della cattiva edilizia, urbanistica, ma non — allo spettatore, si intende, ineducato o ingenuo o soltanto distratto — il significato di essa immagine. Questa stessa del resto viene spesso deformata da quel «.generale dominio della manipolazione, cui in misura sempre pia vasta si va assoggettando anche, e tutt'intero, il campo dell'arte*: dominio che appunto nel cinema si palesa con « particolare pregnanza ». Ad una priorità, quella dell'informazione, se ne oppone un'altra, della manipolazione di dati, notizie, denunce e documenti, la quale tende a far passare per modello ideale quella massa di sentimenti, di concezioni del mondo dominanti che il cinema mercantilistico, « popolare » (nel senso accennato) rispecchia e propone al livello più basso. Nel dare la documentazione della città alienata, informazioni su di essa, il cinema così il più delle volte diventa esso stesso alienante, ed anche in sue manifestazioni che raggiungono l'arte: non va alla radice della crisi e del caos, ma anzi ci presenta questi fenomeni come fatale destino umano. Posta come esatta la diagnosi sulle città d'oggi emersa dal convegno di Rimini-Urbino, e attuale il timore che gli urbanisti siano « diventati organizzatori del vuoto anziché dello spazio », cosà può fare il cinema al riguardo? Non è mancato chi ha chiesto al film di risolvere addirittura i problemi che gli urbanisti non sono riusciti a risolvere, di sfruttarlo come mezzo capace di descrivere un concreto e vitale progetto architettonico. « Credo che una collaborazione tra regista critico e architetto urbanista — ha affermato Ludovico Quaroni — possa portare alla costruzione di un film non rinuncia della realtà esistente, ma progetto di una Gerusalemme celeste ». Nei momento attuale, in cui l'architetto cerca nuovi mezzi di comunicazione e di idee espressive, sarebbe forse possibile, come auspica Quaroni. trovare nel cinema la possibilità di risolvere questo specifico processo creativo, una proficua collaborazione del regista con l'urbanista. Ci sembra tuttavia che al cinema si chieda più di quanto esso sia ca- pace di dare oggi; il film non può in ogni caso sostituirsi all'urbanistica. Ad esso si deve chiedere piuttosto che estrapoli con maggiore frequenza dati esistenti fuori di ogni manipolazione volontaria o imposta, approfondisca meglio e in un contesto dialettico i caratteri alienanti della città, la vita dell'uomo rispetto al proprio ambiente, la nostra denaturazione psicologica e biologica quale risultato che « la metropoli, in parte impone,, in parte suggerisce e in parte impercettibilmente provoca ». Guido Aristarco

Luoghi citati: Gerusalemme, Milano, New York, Odessa, Rimini, Roma, Urbino, Vidor