Nello scarso impegno degli autori la crisi della narrativa italiana?

Nello scarso impegno degli autori la crisi della narrativa italiana? Un editore accusa, ss si romanziere risponde Nello scarso impegno degli autori la crisi della narrativa italiana? Uno scrittore non più giovane, assai apprezzato, e un editore dei più noti e intraprendenti, stanno, una sera, insieme a cena: la conversazione si fa discussione, e ad un tratto l'editore, puntando il dito verso il suo autore, lo accusa — affettuosamente, ma convintamente — di non impegnarsi, nei propri libri, anche nei meglio riusciti, se non per il cinquanta, il sessanta per cento al massimo delle sue possibilità. E con lui, nell'accusa, coinvolge un po' tutti quegli scrittori che, pur dotati, si accontentano di sfruttare via via la propria abilità e mestiere, rinviando sine die lo scrivere quel libro che, insieme con la loro piena misura, potrebbe dare appagamento a ciò che il pubblico attende da tempo: « La parola di un nuoVo maestro..., un messaggio, lo scandalo di una verità», e simili. L'accusato, lì per VI, si schermisce alla meglio, intrigato da parole un po' grosse, come « maestro »; ma poi, durante la notte, riflette sui rimproveri, e al mattino prende là penna, e scrìve all'amico editore una lunga lettera, che è insieme una giustificazione e una autoaccusa, uno sfogo e un esame di coscienza. Orbene: mettete a cotesto scrittore il nome di Libero Bigiaretti, all'editore quello di Valentino Bompiani, e avrete i protagonisti-antagonisti dì questo libretto, anzi « libello a due », Il dito puntato, che lo stesso Bompiani ha pubblicato, unendo alla lettera ricevuta una sua bre- ve risposta. Un libretto vivo, ' stimolante, che propone al lettore tutta una tematica' da approfondire, fuori dagli schemi della polemica spicciola. Bompiani, anche perché a sua volta scrittore, ha una particolare sensibilità nell'avvertire certi problemi, certe istanze. Non si è lasciato illudere dal boom librario (finito nel crollo dei « tascabili »), né prendere più che tanto negli ingranaggi dell'industria editoriale, convinto che al centro, o piuttosto al principio dì tutto, c'è l'individualità, la personalità dello scrittore, incompatibile con le pianificazioni e le irreggimentazioni. La sua accusa vuol essere un richiamo degli scrittori alla coscienza di ciò, un invito a.prestare attenzione non solo al nostro tempo, al vertiginoso incalzarsi di mode, di ismi, di idoli e di miraggi, ma al proprio tempo interiore, alla propria verità. Un richiamo che, pertanto, equivale a un dito sulla piaga. Perché la crisi di cui soffre oggi la nostra letteratura, è data soprattutto da questo non impegnarsi a fondo, dallo scrivere senza un vero perché, senza la necessità di comunicare agli altri qualcosa che, parte essenziale di sé, abbia una carica umana valida per tutti. Basti pensare alla vuotaggine di tanti libri d'oggi, alla gratuità di tante ricerche e sperimentazioni, intese a procurare o affinare gli strumenti, i mezzi significanti, quando non sì ha niente da dire. Ne offre larga testimonianza l'annata letteraria in corso, una delle più piatte fra le ultime (libri come quello di Palazzeschi fanno storia a sé), delle più squallide, malgrado gli altoparlanti dei premi letterari (complici, spesso, di quella estroversione). Una letteratura che offrirebbe un'occasione più unica che rara, all'avanguardia, per farne tabula rasa, solo che questa, a sua volta, non poggiasse sul vuoto. (E poi. diètro il mero formalismo, sia pure atteggiato scientificamente a linguismo, più che la rivoluzione finisce sempre con delinearsi la reazione: in questo caso, appunto, il disimpegno). Ora, Bigiaretti mostra di saper bene tutto questo, e va d'accordo con Bompiani sui punti basilari; ma ha anche il senso dei propri limiti. Gli accenni alla sua formazione letteraria avvenuta fra le due guerre, all'insegna della poesia pura e della prosa d'arte, per cui spesso i tentativi dì racconto e di romanzo scivolavano verso il compromesso della narrazione lirica, stanno dunque a significare che quello che a Bompiani pare il cinquanta o sessanta per cento, in effetti è tutto ciò che, allo stato attuale, egli si sente di dare. E questa consapevolezza lo induce a ironizzare garbatamente su una situazione che pur giudica grave, e per alcuni lati drammatica; a non pronunciarsi sulle possibili alternative. Bompiani, al contrario, è perentorio (sebbene, come editore, abbia fatto più dì una eccezione a tale perentorietà): crede in certi principii immutabili nel variare degli ideali e delle ideologie, e che costituiscono il perché o il mistero della vita: come quello della morte. Bisogna rifarsi da essi, indipendentemente da questa o quella credenza religiosa. E reca ad esempio II Gattopardo, il cui successo ascrive, molto giustamente, non alla « storia ben fatta », alla «scrittura ricca e morbida», al «fascino di un mondo perduto », bensì al « senso della morte». Ma è proprio in questo scarto fra certezza di rimedio e difficoltà di attuarlo, l'interesse' del libretto, lo stimolo, dicevo, a riferimenti e a chiarificazioni: in questo essere, insieme, denuncia e testimonianza di una crisi. Arnaldo Bocelli

Persone citate: Arnaldo Bocelli, Bigiaretti, Libero Bigiaretti, Palazzeschi, Valentino Bompiani