Tra l'Italia e l'isolata Albania esistono ancora vincoli tenaci di Massimo Conti

Tra l'Italia e l'isolata Albania esistono ancora vincoli tenaci QUALCHE SEGNO DI UNA POLITICA ALBANESE P1V INDIPENDENTE Tra l'Italia e l'isolata Albania esistono ancora vincoli tenaci Nel commercio con Tirana, occupiamo il secondo posto dopo la Cina - L'italiano, non più insegnato nelle scuole, è ancora diffuso - C'è interesse per il nostro paese, si ascolta la nostra radio - E' una base di partenza che potrebbe dare buoni frutti, se davvero l'Albania sta cercando una sua «via nazionale » - Sembra che il governo incominci a preoccuparsi dell'egemonia cinese ed a ricercare il dialogo con tutti i vicini, sull'esempio romeno - Per ora sta riscoprendo le glorie patriottiche: la statua di Scanderbeg,- l'eroe della resistenza ai turchi, ha sostituito nella capitale quella di Stalin (Dal nostro inviato speciale) Tirana, 11 settembre. C'era una statua di Stalin, sulla piazza principale di Tirana, ma ora l'hanno portata altrove: ha dovuto far posto a una figura di Scanderbeg a cavallo che sta per giungere da Roma, opera di artista italiano. A Tirana e nelle altre città i monumenti a Stalin sono ancora numerosi. E' palese però che Scanderbeg, l'eroe degli skipetari, comincia ad aduggiare la gloria di Stalin. A Kruja, la vecchia capitale nascosta fra le montagne di granito, stanno restaurando adesso il castello del principe eroe: l'unico personaggio, in tutta la storia dell'Albania, che riuscì a raccogliere attorno a sé il popolo, nella difesa della patria. La tavola di marmo che spicca all'ingresso della rocca è anche essa recente. La dedica a Scanderbeg, « l'eroe nazionale che per 25 anni contrastò gli invasori turchi, il partito comunista albanese che lottò contro i nazi-fascisti ». Al Museo di Tirana vedo che hanno cominciato a raccogliere i documenti più remoti della civiltà skipetara. Si tenta di portare alla luce una continuità etnica e culturale che finora era rimasta confusa, in molteplici intrecci e sovrapposizioni, con la storia d'altri popoli. Le convinzioni appaiono già salde, definitive: « Noi albanesi — stabilisce la guida del museo — siamo i discendenti diretti degli Illiri. E' illirica la nostra civiltà, la nostra stessa lingua ». Ci troviamo di fronte, senza alcun dubbio, ad una vasta impresa di archeologia politica. Ora che il regime si è messo in cerca di consensi, esso avverte il bisogno di scavare nella storia e nelle tradizioni. Marx. Lenin, lo stesso Stalin non bastano. E' necessario il ricorso a simboli e, quindi, a contenuti diversi, che soltanto l'idea nazionale sembra in grado di offrire. Sono pratiche di società bor- ghesi queste, giudicate con severità dai maestri del socialismo. Eppure vi sì ricorre ancora con frequenza. Dopo l'esplosione del nazionalismo romeno, sì approssima, forse, il momento dell'Albania. Dell'Albania si è detto che essa è più simile a una colonia che ad un Paese alleato della Cina; che la contropartita ai soccorsi di Pechino è data da una totale adesione dei capi albanesi alle idee di Mao; e, ancora, che la presenza in Albania di migliaia di tecnici, funzionari e soldati cinesi serve a conservare, il più a lungo possibile, l'« eterna amicizia». Sembra però che da qualche tempo i capi albanesi s'apparecchino a stabilire, se non delle alternative, almeno qualche riserva alla loro politica. Per il momento gli indizi sono piuttosto tenui: ma sul loro significato non si accampano dubbi. Dopo tanti anni di stretta quarantena nel campo socialista, Tirana ha ristabilito rapporti diplomatici con la Polonia, ha firmato accordi di commercio con l'Ungheria, e cura infine sempre più frequenti, cordiali contatti con la Romania. Contro la Jugoslavia la polemica è ancora feroce, alimentata anche dal problema dei 915.000 albanesi che vivono nelle regioni del Kossovo e della Metoja, sotto il regime « revisionista » di Tito (gli abitanti dell'Albania sono 1.700.000). Anche qui però stanno maturando le novità. E' un fatto che da alcuni mesi, sulla frontiera, jugoslavi e albanesi non si scambiano più fucilate, come in tutti questi anni passati. E che i commerci fra i due. Paesi, nelle*, 'spàzio d'un anno, riV sultano raddoppiati. Si arriva ad affermare, da personalità di Tirana, che l'« Albania intende stabilire normali rapporti di buon vicinato con i Paesi limitrofi ». Quanto manca, ancora, alla coesistenza? A motivare queste indagini in prospettiva, c'è anche la constatazione che l'Albania, nonostante la soggezione alla Cina, si sta ingegnando di migliorare i rapporti economici con i Paesi occidentali, a cominciare dall'Italia. L'anno scorso l'Albania acquistò merci italiane per 5.252 milioni di lire, con un aumento del 36,1 per cento rispetto al 1965; e ci fornì prodotti per 1106 milioni di lire con un aumento del 22 per cento. Dopo la Cina, l'Italia è il Paese che commercia di più con l'Albania. Sul piano politico i nostri rapporti con Tirana restano rigidi. E' chiaro però che se avvenissero laggiù mutamenti sostanziali, l'Italia sarebbe il primo Paese a coglierne gli effetti. Abbiamo con l'Albania legami e contatti che durano da secoli. Ancora oggi, nonostante tutto, la presenza dell'Italia è viva in Albania. Nelle scuole l'insegnamento dell'italiano è stato abolito, ma la nostra lingua è ancora corrente. In una strada di Durazzo ricordo di aver sentito due giovanotti albanesi che parlavano italiano j su cadenze della Puglia. Voci e immagini del nostro Paese giugono ogni giorno in Albania come messaggi d'un altro mondo — vicino eppur tanto lontano — per i pochi, fortunati proprietari di radio e televisori. Dell'Italia mi sono state chieste notizie con pungente in- j teresse e curiosità. Un barbiere mi ha domandato se esistesse ancora, da noi, una squadra di calcio che un ] tempo era famosa, la Juven(us. , C'è un rapporto fra la ri- j cerca di valori nazionali in- 1 trapresa ora dal regime, e . i suoi tentativi di rompere la quarantena, dopo anni di fiero isolamento da ogni al- | tro Paese che non fosse la Cina? Da analisi accurate detta politica di Tirana il j nesso emerge in maniera univoca. Come si scorgono anche, con sempre maggiore j nitidezza, analogie fra albanesi e romeni. Non dovremmo meravigliarci se. fra j qualche tempo, anche i capi „ 0 10 100 150 300 ,o Tncais di Tirana scoprissero una « via albanese al socialismo » riscontrandovi poi qualche peculiarità non del tutto consona alle idee di Mao. Già l'agricoltura albanese ha offerto spunti di contrasto fra Tirana e Pechino suscettibili, forse, di inasprimento. La Cina ha condizionato la sua ulteriore assistenza economica al potenziamento dell'agricoltura, visto che il costoso tentativo di industrializzare il Paese ha dato scarsi risultati. All'aumento medio annuo dell'8,7 per cento previsto per la produzione industriale fino al 1970 (un tasso molto modesto date le condizioni dell'Albania) si contrappone, per volontà di Pechino, un incremento dell'agricoltura dell'11,5 per cento. L'arretratezza dell'agricoltura albanese è un dato obiettivo, e il suo ritardo salta subito agli occhi osservando le campa¬ gne. Nella zona agricola che si stende fra Tirana e il Lago di Scutari ricordo d'aver visto, in 140 chilometri di strada, due soli trattori, uno dei quali era in riparazione. I capi albanesi, di certo, si rendono conto dell'esigenza di migliorare l'agricoltura. Ma i dettami di Pechino in favore dell'agricoltura paiono qui eccessivi, se non sospetti. E' sicuro che i cinesi hanno avvertito la correlazione fra le velleità industriali dei capi di Tirana e le prime luci del nazionalismo skipetaro. Gli albanesi, per parte loro, non hanno dimenticato la storia. E vi ricordano in ogni circostanza, che a provocare la rottura clamorosa con Mosca ci fu una strana pretesa di Kruscev, già nota ai romeni: quella di trasformare l'Albania « nel giardino dell'impero sovietico ». Massimo Conti

Persone citate: Kruscev, Lenin, Mao, Marx, Stalin