L' Albania ripete tutte le follie della «rivoluzione culturale» cinese di Massimo Conti

L' Albania ripete tutte le follie della «rivoluzione culturale» cinese IL PAESE E9 UNO SPECCHIO FEDELE DELLA CRISI MAOISTA L' Albania ripete tutte le follie della «rivoluzione culturale» cinese Chiuse le moschee, le chiese cattoliche ed ortodosse - I templi saranno trasformati in palestre e circoli - I preti mandati a lavorare - Gli intellettuali ed i burocrati costretti a zappare la terra: «Fa bene a tutti il lavoro dei campi» - In poche settimane scomparsi da Tirana decine di letterati; distrutte le loro opere - Vietati in teatro tutti i «classici» (compresa «La Locandiera» di Goldoni) - Le donne obbligate a portare i tacchi bassi e la «treccia alla contadina » - Questi eccessi, come le fanatiche « guardie rosse », mascherano la profonda crisi economica in cui si dibatte il regime di Enver Hoxha (al potere da 22 anni) - I revisionisti accusati pubblicamente con fogli murali sono degli imputati di comodo per nascondere gli errori della politica del dittatore (Dal nostro inviato speciale) Tirana, 5 settembre. Dàlia Cina l'Albania , ha mutuato anche la rivoluzione culturale; e negli eventi dell'Albania si ritrovano* decantati, i motivi 'delle torbide esperienze maoiste. Così l'indagine sull'Albania'porta a conclusioni valide anche per la Cina: nell'uno e nell'altro Paese la «rivoluzione » è travestimento ideologico di regimi in crisi, risorsa estrema di dittatori alle corde. Le difficoltà' di Mao. almeno in parte, restano materie di congetture. Quelle di Enver Hoxha, il despota albanese, vanno ravvisate nella crisi, sempre più grave, dell'economia. Mao ed Hoxha diventano così i protagonisti d'una involuzione già scontata nel pensiero di Lenin, una delle cosiddette . malattie infantili del comunismo. Per 1 converso, l'esperienza della vicina Jugoslavia segna il puntp d'arrivo. Qua però si perdano le previsioni della scienza ■leninista. E' chiaro, infatti, che non sì va oltre. Vado a vedere la moschea di Tirana che è il tempio principale della città essendo la maggioranza degli albanesi di fede islamica, e là trovo chiusa. L'hanno fatta chiudere l'altro giorno le « guardie rosse » trasformandola subito in curiosità archeologica. Spiega infatti il cartello affisso sul portale: « Monumento dell'antica civiltà skipetara ». Cerco la chiesa cattolica, quella dei Salesiani (sono circa centomila i cattolici albanesi) e trovo anche laggiù gli ingressi sbarrati. Davanti alla chiesa moderna che rievoca lo stile romanico la gente tira via in fretta. Dove saranno ora ì Salesiani? « Al lavoro — mi informa la guida albanese — li abbiamo mandati a lavorare nelle fabbriche e nelle campagne ». Ai preti ortodossi, infine, le guardie rosse hanno reciso la barba, poi li hanno trasferiti anch'essi nelle colonie dì lavoro. Ora i templi delle tre comunità religiose verranno adibiti a circoli, luoghi pubblici, pale¬ stre. « Sono stati gli stessi preti, in alcuni casi, a smettere l'abito talare e a consegnare le chiese al popolo...». «Di loro volontà?». «SI, spontaneamente ». La dazione della libertà di culto mantenuta in altri Paesi del socialismo è caduta di colpo, in Albania come in Cina. Il taglio è stato netto. A Durazzo assieme con la moschea hanno chiuso anche il cimitero islamico. A Kavaje, per eccesso di zelò, sono arrivati a cambiare anche la figura d'una marca di sigarette, un cammello davanti a una moschea. Il cammello è rimasto, la moschea è stata sostituita con una fabbrica. Negli intellettuali, come nei preti, la rivoluzione culturale scopre adesso vestigia del vecchio costume, e quindi ostacoli al progresso. Sarebbero essi i corresponsabili della infelice condizione del Paese. Fra le persecuzioni degli intellettuali ed il peggioramento della situazione economica (apertamente confessata dal regi- me con la mancata pubbli: cazione dell'Annuario statìstico del 1966) si danno rapporti di stretta e diretta evidenza. Se ùn tempo gli intellettuali venivano messi alla frusta, adesso essi spariscono dalla circolazione. In poche settimane sono scomparse da Tirana più di quaranta personalità della cultura, per lo più scrittori. Le loro opere sono state distrutte come focolai d'infezione ideologica. Dal repertorio del Teatro di Tirana risultano bandite, per la nuova stagione, tutte le opere classiche, dai « Masnadieri » di Schiller alla nòstra « Locandiera ». Proprio come è avvenuto in Cina. « Dove li avete mandati — domando — i vostri intellettuali? ». « Lavorano in campagna. Fa bene a tutti il lavoro dei campi ». Ritrovo nella memoria le immagini della campagna albanese: campi di tabacco e di girasoli con le teste annerite, fulminate dal sole, e moltissime donne al lavoro. Poi gruppi di uomini, ed anche ragazzi, che risalivano su autocarri scortati, dopo la giornata passata sui campi. E che subito mi parvero, più che villici, gente di città. Non ci sono soltanto preti e scrittori fra i nuovi abitanti della campagna, ma anche migliaia di funzionari dell'amministrazione pubblica, primi fra tutti (il dato è significativo) quelli che lavoravano nei dicasteri e nei settori preposti all'economia. Finora i funzionari e gli impiegati dell'amministrazione sostituiti per ordine di Hofia sono cifefi., cpie» quantamila, né sembra che la rivoluzione culturale si feitmerà- qui. La ^rotazione fra città e campagna, fra cure urbane e fatiche della terra viene ascritta fra le conquiste più recenti della rivoluzione culturale. Il lavoro in campagna è stato reso obbligatorio per tutti: 30 giorni all'anno per i funzionari dei ministeri e i quadri dell'esercito, 100 giorni per i dirigenti di cooperative agricole, 120 per i funzionari e gli impiegati dell'industria e del commercio. Ai lavori dei campi vengono dedicate anche le vacanze estive degli studenti. Qui la « rivoluzione » sconfina nell'irrazionale, al limite della superstizione. Per Hoxha. discepolo di Mao, il lavoro in campagna ha virtù taumaturgiche. Esso è tolto a simbolo di quel marxismo rurale che i maoisti oppongono al marxismo cittadino identificato nelle società di tipo sovietico, e che degenera, poi nella categoria delle « aree rurali » un giorno sicuramente vittoriose sulle aree industruili. L'Albania — per spiegarci con un esempio — è area rurale, l'Italia, sua vicina, area industriale. Siamo condannati alla decadenza. A Tirana e altrove la rivoluzione culturale offre motivi di curiosità. C'è la ginnastica obbligatoria per tutti nelle fabbriche e negli uffici, prima che cominci il lavoro; le donne devono portare i tacchi bassi e, possibilmente, la treccia contadina. E' sconsigliabile uscire con ex preti, osservare le festività religiose, e dare del « signore » invece che del « compagno ». Ma la novità più eccitante sono i « flet rrufè » che, alla lettera, vuol dire « fogli lampo ». Sono cartelli scritti a mano, e affìssi su tabelloni o in bacheche, che dovrebbero servire a scoprire negligenze e disordini, abusi e arbitri. Per mezzo di questi « fogli lampo », prodotto della rivoluzione culturale in Cina e in Albania, ognuno dovrebbe essere in grado di esercitare il diritto alla critica: l'operaio contro il dìrettore dell'impresa, l'impiegato contro il capo ufficio, il cittadino contro il sindaco. E. nella realtà, si è assistito a denunce che, alla mentalità degli albanesi, sono parse clamorose. Ha fatto rumore il caso del sindaco di Tirana attaccato da « fogli lampo » perché faceva mancare l'elettricità ad alcuni quartieri di operai; e c'è stata anche molta curiosità per il giudi- ce che si mostrava contrario alle cause di divorzio discusse fuori del tribunale: cioè nella stessa casa delle parti interessate, con l'assistenza e il consiglio di tutti gli inquilini, oltre che del'magistrato, come si conviene ora in tempi di rivoluzione culturale. Del Rettore dell'Università di Tirana, bersaglio anch'esso dei « fogli lampo », si continua a parlare ancora. Le colpe del Rettore non appaiono .chiare, ma tutti sanno che una mattina egli trovò, attaccata alla porta del suo ufficio, questa comunicazione dei ÀuoA^ ftudfntk. .^t^rr^agno rettore, voi siete uno sporco burocrate. E siamo pron' ti a spiegarcene le ragioni ». Anche queste pubbliche denunce si iscrivono nel dìsegno del partito che mira a colpire i pretesi responsabili del disagio economico, nonché a combattere, come dicono qui, la degenerazione del potere. Rinchiudere nei campi di lavoro forzato preti, scrittori e «burocrati» è stato molto facile per il regime. Più difficile, invece, risulta il compito di col¬ pire i responsabili, veri o presunti, dì errori e abusi: anche se si tratta, ovviamente, di piccoli e medi funzionari. So che per affiggere «fogli lampo» occorre in ogni caso il beneplacito dei rappresentanti del partito che sono sparsi dappertutto, come gli agenti del « Sigurimi », la polizia del regime. E mi risulta che ora, in molte fabbriche ed uffici,, alle bacheche dei «fogli lampo » sono stati apposti dei lucchetti. Il diritto alla critica appare già rigorosamente disciplinato. Per Enver Hoxha, che è al potere da 22 anni con una cerchia di personaggi inattaccabili, il primo bilancio della rivoluzione culturale è senza dubbio positivo. Sono stati trovati dei responsabili per la crisi economica, i malumori delle masse hanno avuto sfoghi fittizi, denunce e critiche continuano ad aiutare la delazione che è fondamento di tutti i regimi di polizia. Attraverso l'Albania, colonia di Mao, si può capire la Cina. Massimo Conti A 70 chilometri dall'Italia Giornale murale in una via di Durazzo. Sul grande cartellone, in realtà quasi sempre spoglio, i cittadini albanesi avrebbero in teoria la possibilità di esprimere le loro critiche ai dirigenti scrivendole sui «fogli lampo»