Tramonto della borghesia che ha creato l'Europa

Tramonto della borghesia che ha creato l'Europa UNA SVOLTA NULA STORIA DELLA SOCIETÀ Tramonto della borghesia che ha creato l'Europa Per i giovani, borghese è sinonimo di conformista, negato ad ogni slancio; suona come nel 1890 suonava il vocabolo « filisteo », preso dai tedeschi. Ma ogni trattato di storia scorge nella borghesia l'artefice dello Stato moderno. Dell'era, della libertà, delle preoccupazioni- di giustizia sociale; dell'industria, della ricerca, del benessere per tutti; del progresso, in urta parola. La formazione di una borghesia nei liberi comuni, le rivendicazioni comunali, l'alleanza di re intelligenti con la borghesia per abbattere jl potere della feudalità, infine là pretesa dei borghesi di non accettare più la supremazia dei nobili vengono considerate le tappe attraverso cui si giunge allo Stato moderno, all'attuale fase della civiltà. Peraltro quando si parla di borghesia si sottintende: commerciante, manifatturiera,' imprenditoriale. Giacché una classe intermedia tra i grandi capi ed i lavoratori manuali — intendenti, segretari, causidici, medici — è sempre esistita; ma non a questi si pensa quando si esalta l'opera della borghesia. Bensì ai « lombardi », banchieri del basso medioevo, ai manifatturieri e commercianti attraverso l'Europa — la descrizione da storico che Bacchelli ci dà dell'azienda assisiate del padre di S. Francesco in « Non ti chiamerò più padre > —, ai primi armatori. Per guardare ad un' ambiente più vicino a noi, tra i personaggi dei « Promessi sposi », sono borghesi l'Azzeccagarbugli,. il podestà, iparas^iti ariv ' -in**»* alla, tstóolfrjjfi 3pn RBJJ drigo, i modesti funzionari di polizia che appaiono nella vicenda di Renzo durante i tumulti di Milano; ma quelli sono borghesi senza merito; la borghesia benemerita appare nel padrone del filatoio bergamasco dove troverà impiego Renzo, è evocata nella mercantessa che al Lazzaretto è compagna di Lucia. Quando i meridionalisti deplorano che da loro mancasse l'opera della borghesia, non dimenticano che ivi fiorirono i legali più acuti, i polemisti in favore della sovranità statale, nella cui scìa sovrasta Giannone, i, maggiori filosofi ed economisti; solo, non si ebbero gl'imprenditori. Un fortunato ciclo della borghesia italiana va all'incirca dal secolo XII al periodo delle grandi scoperte geografiche ed è coronato, specie in Toscana, dall'affermarsi di alcu1 ne potenti famiglie, anzitutto i Medici. Un secondo dal Settecento ad oggi, e del pari emergono nomi noti nella finanza mondiale. Ora siamo ad una voltata della storia. In tutti i periodi che conosciamo la classe imprenditoriale è disposta a piramide: imprenditori minimi, piccoli, medi, grandi, grandissimi: c'è chi sale ' chi si abbassa, chi ascende ai patriziato e non è più imprenditore, chi decade a subordinato; ma questi strati rimangono. E l'imprenditore, fosse anche l'artigiano con un solo garzone, è l'uomo indipendente, che sceglie il suo lavoro ed i suoi collaboratori, attua i suoi propositi, vive il rischio di ogni giorno ed ha la fierezza di questo rischio. Credo che tra non molto tutto questo apparterrà al passato. Ignoro se gli economisti siano in grado di meglio sapere quanto possano in questa evoluzione infittirsi della popolazione, facilità degli scambi non solo tra nazioni ma tra continenti, automazione (e così impianti industriali sempre più potenti), benessere e quindi minori orari di lavoro, penetrazione dell'idea di giustizia sociale ed intervento dello Stato nei rapporti di lavoro ■subordinato, col meccanismo della previdenza sociale, le leggi che limitano il potere dell'imprenditore, la creazione dei grandi monopoli. Ma sotto i nostri occhi si sta formando un assetto che in certo modo può dirsi socialista, anche se poco abbia in comune con il socialismo quale lo videro fino alla seconda guerra mondiale politici e, teorici. Ili alto una costellazione di grandissimi imprenditori, in imprese che oltrepassano quasi sempre i confini nazionali; al di sotto comincia il mondo del lavoro subordinato. Gli uomini politici, spinti da forze più grandi di loro, muovono ogni giorno una pedina che porta nella direzione opposta a quella in cui vorrebbero andare; .predicano à tutti il rispàrmio, dichiarano di voler salvare il pìccolo imprenditore, l'artigiano, il coltivatore diretto, ricordano che non s'industrializza una zòna senza il sórgere d'industrie secondarie o terziàrie. Ma al tempo stesso non possono non scoraggiare il risparmio con la sia pur lenta svalutazione della moneta, col colpire gl'investimenti cari ai piccoli risparmiatori; creerebbero disoccupazione se frenassero l'acquisto di beni di consumo; e non possono sovvertire la legge economica per cui la grande impresa può tare a dipendenti e clienti condizioni migliori. Spingono l'industria in zone non propizie; lo Stato la sorreggerà; ma esigerà impieghi un certo numero di lavoratori. In questi anni ho avvicinato vari proprietari, di piccole t»M«idjii •elettrici» teas^njjt^ill'Ehel; ho visto 1fà felicita "cii quelli che sono potuti divenire dipendenti del grande ente; ma ho anche conosciuto proprietari di aziende che pur rendevano, che avevano atteso sentori di nazionalizzazione per far prendere ai figli altre vie: dipendenti di grandi società o d'imprese statali. Credo si tratti di un fenomeno mondiale. Penso appartenga anche ad un passato che più non ritornerà il professionista che impiegava i suoi risparmi nell'acquisto di terra ed aveva l'ambizione della tenuta modello (esemplare anche in questo Einaudi, che riusciva a produrre vini pregiati); il fisco, la legge sui contratti agrari, la necessità di dedicarsi interamente alla terra perché non sia passiva impediscono questi ritorni. Chi amasse i raffronti storici, sempre pericolosi, potrebbe dire che avremo in avvenire una alta e media borghesia comparabile ai dignitari ed ufficiali degli antichi signori, una borghesia di dipendenti (anche la libera professione spesso è tale solo più di nome: medici legati ad enti previdenziali, le cui fortune sono connesse ad una legislazione; avvocati e commercialisti impegnati quasi solo da una o due grandissime imprese, si allontanano dal vecchio quadro del professionista). Essa dovrà dimostrare la fallacia di vecchi detti, l'insostituibilità dell'occhio del padrone. Credo che l'attaccamento ad una grande impresa possa altrettanto del senso della proprietà; l'esperienza di ciò che hanno rappresentato e rappresentano i dirigenti dei grandi rami delle massime industrie lo conferma. Soggiungo che è umano questo attaccamento diminuisca man mano che scemano rango e grado di responsabilità ed altresì che è molto più facile dove c'è la materialità del grande stabilimento, il recinto dove si è venuti ogni 'giorno da quando si aveva ventiquattro anni e si era freschi di laurea, il complesso di edifici che si è visto crescere giorno per giorno, che non dove c'è il gruppo. Penso occorra maggiore sforzo per questa aderenza alla impresa che deve riprodurre lo stato d'animo dell'antico proprietario se si appartiene allo staff, dcll'lri, che può chiamare alla direzione d'imprese molto diverse, od allo stato maggiore delle massime banche, dove pure si passa dall'uno all'altro comando. Ed altresì che l'attaccamento sia più facile dove c'è il rischio, la responsabilità di migliaia di dipendenti, il cui numero nell'interesse della nazione deve accrescersi e non diminuire, che non dove si tratti d'imprese sul tipo degl'istituti di credito di diritto pubblico, la cui attività influisce molto su tutta la «vita nazionale, ma la cui esistenza e le - cui sorti sono fuori discussione. Occorre accettare l'idea — ingrata a moltissimi, in particolare agli appartenenti alla mia generazione — che sta finendo l'epoca in cui ogni uomo poteva divenire imprenditore, essere padrone del ' proprio 'tempo, rischiare: siamo entrati nell'era del lavoro subordinato. In quqsta, la borghesia deve mostrarsi erede delle buone qualità dei suoi maggiori. A. C. Jemolo

Persone citate: A. C. Jemolo, Bacchelli, Einaudi, Giannone, Penso

Luoghi citati: Europa, Milano, Toscana