I cinesi hanno trasformato l'Albania in una fortezza di Massimo Conti

I cinesi hanno trasformato l'Albania in una fortezza AL DI LA' DEL MARE ADRIATICO, LA PRESENZA DI MAO I cinesi hanno trasformato l'Albania in una fortezza Le basi di Valona e Saseno ospitano sommergibili venuti dal Mar Giallo, nelle montagne si scavano gallerie alle quali nessuno può avvicinarsi - Si parla di postazioni di artiglieria, depositi di bombe e missili - Nel Paese i cinesi cercano di farsi vedere il meno possibile, non vestono la solita casacca blu, stanno per conto loro - Ma sono dappertutto, molti di più dei 2000 funzionari dichiarati dalla propaganda - La dipendenza del governo, nei confronti della Cina, è assoluta, anche per motivi economici - Le pagnotte nere e squadrate che si vendono a Tirana, sono fatte per metà con grano inviato da Pechino e il debito degli albanesi verso la Cina è già di centoventi miliardi di lire - Gli attivisti portano un unico distintivo, il profilo di Mao, e tutti i movimenti rivoluzionari-estremisti d'Europa hanno qui la loro sede (Dal nostro inviato speciale) Tirana, 2 settembre. I cinesi sono a 70 chilometri dall'Italia — la distanza fra la penisola e l'Albania, colonia di Mao, nel punto più stretto del Canale di Otranto — e molti sono i dubbi suscitati dalla loro inquietante presenza. Gli interrogativi si addensano fino a precipitare in gravi ipotesi. La minaccia, dal punto di vista militare, non è inconsistente. I nidi di sommergibili scavati nelle rocce fra Valona e l'isola di Saseno non sono rimasti vuoti, do-, po la partenza delle unità sovietiche nell'estate del '61, al tempo della rottura fra Mosca e Tirana. E non è più un segreto, ormai, che fra le montagne del Dajtì si continuano a scavare gallerie guardate da lunghi camminamenti alle quali, peraltro, nessuno può avvicinarsi. Sono gallerie e cunicoli che si perdono fra le schiene di monti cinerei dove Scanderbeg, l'eroe degli skipetari, contrastò per 25 anni gli invasori turchi. Saranno postazioni d'artiglieria, oppure depositi, o — peggio — basì per i missili? Opere militari, di certo. Gli esperti militari albanesi e i loro consiglieri cinesi hanno impostato una strategia su queste impervie montagne. Qui la stessa bomba atomica si ridurrebbe, come dice Mao, a una tigre di carta. Dicono che sono duemila i cinesi stabilitisi in Albania dopo la rottura fra Mosca e Tirana. In realtà sarebbero molti di più. Ho cercato qualche ragguaglio sui compiti di questi cinesi ed ho ottenuto sempre risposte identiche: « Sono tecnici. Aiutano il nostro Paese a costruire il socialismo. Questa è la migliore risposta alle sanzioni e al boicottaggio economico che contro l'Albania hanno decretato i revisionisti krusceviani d'accordo con la cricca titoista ». Ci sono le prove però che, oltre ai tecnici, Pechino ha inviato in Albania i suoi proconsoli, funzionari di governo e di partito, agenti dei servizi di informazione e parecchi militari. Uniformi cinesi, naturalmente, non se ne vedono in giro. E' palese, nei cinesi, lo sforzo di mimetizzarsi. Ho scorto cinesi tra le fòlle di Tirana, Shkodra ed Elbasani; ma a diffe- rema dei loro compatrioti sparsi in altri Paesi, non si distinguevano per le giacchette blu abbottonate fin sotto il mento. Vestivano come gli albanesi: gli uomini in maniche di camicia, senza cravatta, le donne con abiti di cotonina stampata, di rozzo taglio occidentale, piuttosto lunghi. Ho visto cinesi anche su una spiaggia di Durazzo, in costume per il bagno. Gente in vacanza, i forse. Erano intenti a una partita di palla a volo, con un gruppo di albanesi. Appena mi hanno-scorto con la macchina fotografica, si sono coperti la faccia. Ieri sera assistetti ad un film di propaganda che era stato stampato in Cina, dato che l'Albania non dispone ancora di buone attrezzature cinematografiche. Poco fa, alla stazione centrale di Tirana che ricorda con le sue baracche l'epoca dei pionieri, sono sceso da un trenino che era stato fabbricato in Cina. Mi aggiro per le strade affocate di Tirana (ancora 38 gradi all'ombra) e non scorgo che rare automobili, qualche vettura di funzionario, macchine della polizia. Trovo anche un taxi sgangherato con motore a due tempi. Passano autocarri carichi di cocomeri, e mi sembrano, a prima vista, di fabbricazione russa, tanto sono simili a quelli che circolano per Mosca. Invece sono anch'essi, a giudicare dagli ideogrammi, di provenienza cinese. Nella « Via delle Barricate», al centro della città, indugio a considerare una fila dì botteghe, di spacci, dì fondachi e di bancarelle, e subito mi rendo conto della profonda miseria ohe affligge il popolo albanese, dopo vent'anni di dittatura comunistica. Laggiù i manifesti del partito e le scritte di propaganda tengono con frequenza il luogo delle mercanzie; e servono a coprire un poco la nudità avvilente delle vetrine. Delle poche merci esposte una gran parte viene dalla Cina. Arrivano dalla Cina, fra le altre cose, alcune stoffe assai ruvide, i pennelli per la barba, le penne stilografiche, le lampadine, le scatole di latte condensato e, almeno in parte, il pane. Le pagnotte nere e squadrate che la gente di Tirana si porta via dagli spacci serrandole sotto il braccio, — come in tempi di carestia o di guerra — vengono confezionate per metà con granocinese. O meglio, con il grano che le navi cinesi recano all'Albania dalla Francia, dal Sudamerica e dal Canada. Più dì dieci milioni di dollari sono stati sborsati dai cinesi in un solo anno per l'acquisto del grano che è servito a sfamare gli albanesi. Negli appelli, negli slogans e nelle scritte di propaganda vòlti a pungolare l'operosità delle masse corroborandone la fiducia nel regime, la parola che ricorre con maggior frequenza è «Buka», pane. La lotta per il pane continuerà ancora, perché anche in questo Paese del socialismo l'agricoltura non riesce a superare la crisi. Nel rovinare le loro economie agricole i regimi comunistici dispiegano capacità senza fondo, che sono all'origine di fatti e situazioni misteriosi. In Russia l'agricoltura è il cruccio perenne dei governanti, da mezzo secolo. L'Albania, prima della collettivizzazione delle terre decisa nel 1958, era costretta a importare dalle 27.000 alle 57.000 tonnellate di grano all'anno. Adesso deve importarne 140 mila. Ribelle a Mosca perché insofferente della sua egemonia, l'orgoglioso Paese degli skipetari si ritrova ora a vivere degli aiuti cinesi. Gli scambi commerciali con la Cina sono caratterizzati da un passivo cronico che tocca già (si parla soltanto dei prodotti, non già dei servizi, dei crediti e degli aiuti tecnici) i duecento milioni di dollari (120 miliardi di lire): cifra cospicua per uno Stato con poco più di un milione e settecentomila abitanti. L'indebitamento degli albanesi verso la Cina è fenomeno progressivo. Le modeste realizzazioni dell'ultimo piano quinquennale albanese sono dovute per lo più all'intervento della Cina che ha costruito 22 pìccoli stabilimenti tessili e chimici, impianti minerari, una centrale idroelettrica. Ed anche il nuovo piano quinquennale avviato nel 1966 presuppone la più larga assistenza tecnica ed economica della Cina. Gli aiuti di Pechino, alla fine del piano, risulteranno aumentati nella misura del 70 per cento. L'Albania, dunque, vive di elemosine. Dire che l'Albania è un satellite di Pechino è troppo poco, torse. Con maggior approssimazione alla verità la si può definire una colonia. A questo punto può apparire quasi superfluo il tentativo, sempre ripetuto dagli osservatori occidentali, di scoprire quanti siano i ci¬ nesi sull'altra sponda dell'Adriatico, e quali siano le loro attività al di fuori del campo tecnico. Il dato fondamentale è che la soggezione economica di Tirana a Pechino ha posto condizioni di vassallaggio politico ancor più rigide di quelle che legano alla Russia il regime di Cuba o la Mongolia. Il maoismo, in Albania, non è più un'astrazione ideolo¬ gica. Qui i profili dorati del despota cinese sono l'unico distintivo che portano ora gli attivisti del partito. Le opere di Mao e quelle di Stalin riempiOTtO le librerie dopo il bando posto a tutte le opere prodotte dal pensiero borghese, dai romanzi alla poesia. Opuscoli e libretti che amplificano ì motivi della propaganda cinese sono a disposizione di tutti nei luoghi pubblici, negli alberghi, perfino negli scompartimenti dei treni. Sono questi gli indizi più evidenti della progressiva cinesizzaeione del Paese: quelli che l'Albania non riesce a sottrarre alla curiosità dei suoi pochi visitatori. E le apparenze aiutano l'intelligenza della realtà preclusa. L'importanza politica della colonia cinese sull'Adriatico non appare più trascurabile della sua funzione strategica E' certo che, oltre al sostegno in campo intemazionale, l'Albania offre a Mao una base di segrete attività che includono lo spionaggio politico ed economico. Anche come nucleo ii irradiazione ideologica e di sovversione, l'Albania si sta rivelando un proficuo investimento per la Cina. Parliamo soprattutto dei funzionari dei movimenti maoisti d'Europa che si intravedono negli alberghi di Tirana e di Durazzo. Massimo Conti A 70 chilometri dall'Italia ^Alessia ÀKSIONI tsun HOt Merooe ne smise* hùa. La vetrina di un negozio di calzature a Tirana: un grande manifesto del partito con scritte propagandistiche non riesce a mascherare la scarsità dei prodotti esposti

Persone citate: Del Mare, Mao, Stalin