Gli arabi non trattano con Israele ma ridanno il petrolio all'Occidente di Ferdinando Vegas

Gli arabi non trattano con Israele ma ridanno il petrolio all'Occidente Conclusioni ilei "vertice,, «fi JKsti*tnxm Gli arabi non trattano con Israele ma ridanno il petrolio all'Occidente Un comunicato esclude « il riconoscimento giuridico e i negoziati di pace con Israele » - Le forniture di petrolio saranno riprese perché «costituiscono un mezzo efficace per consolidare le nostre economie» - Creato un fondo comune (alimentato dai paesi petroliferi) per aiutare le nazioni più colpite dalla guerra - L'Egitto avrà 95 milioni di sterline, la Giordania 40, la Siria 5 - Nasser dichiara: il Canale di Suez resterà chiuso finché gli alleati arabi pagheranno il loro contributo finanziario Le difficoltà di Nasser Le previsioni pessimistiche che correvano alla vigilia del «vertice» arabo di Kartum sono state confermate: l'Occidente avrà il petrolio, anche se con Israele «non si tratta». Il ritiro della Siria, che era rappresentata appena dal ministro degli Esteri, ha accentuato la spaccatura tra « estremisti » e «moderati», rendendo sempre più difficile la posizione di centro occupata da Nasser. L'ironia della storia ha voluto cosi che a rendere il cattivo servizio al Presidente egiziano sia stata proprio quella Siria, per difendere la quale dalla presunta minaccia di aggressione israeliana egli aveva aperto la crisi da cui è derivata la guerra. A parte questa amara riflessione, il colpo deve essere stato particolarmente duro per Nasser, perché lo priva dell'appoggio siriano, che avrebbe dovuto avallare le sue aperture possibiliste. La situazione di Nasser, dunque, non è invidiabile. Che egli debba rimproverare in primo luogo se stesso per essersi lanciato cosi alla leggera in una tragica avventura è fuori discussione; ed è anche giusto che debba pagare di persona, per lo meno lottando aspramente per superare tutte le difficoltà in cui si trova avviluppato. Il problema politico fondamentale, ora, è appunto questo: se la consumata abilità di Nasser riuscirà anche questa volta a trarlo a riva, come è avvenuto in altri momenti critici della sua carriera di rivoluzionario prima e poi di uomo di Stato. Il paragone con Suez regge fino ad un certo punto, perché allora Nasser poteva sostenere, non a torto, di essere stato attaccato congiuntamente da Israele e da due grandi potenze europee, Francip e Inghilterra; sicché la sconfìtta militare si trasformava in una vittoria morale e il prestigio di Nasser ne era rialzato, presso i dirigenti e presso le masse popolari. Adesso, le masse sono rimaste fedeli a Nasser e lo si è vistò il 9 giugno, quando non aveva neppure finito di annunciare le dimissioni che già cominciavano le manifestazioni di piazza per fargliele ritirare, come infatti avvenne. A livello più elevato, fra i dirigent* militari e civili, le cose devono essere andate in maniera molto diversa, come dovevano dimostrare gli sviluppi che ora si vengono conoscendo. Se la responsabilità prima e massima era di Nasser (ed egli, dimettendosi, l'aveva accettata), corresponsabili erano pure i maggiori dirigenti civili e soprattutto gli alti gradi militari, ignominiosamente sconfitti. La scure dell'epurazione si abbatté quindi sul maresciallo Amer, comandante in capo delle Forze Armate, e su circa 600 ufficiali superiori, fra i quali un centinaio di generali. Portati in alto dalla rivoluzione, costoro si erano ben presto trasformati in una casta di privilegiati, « grossi e grassi», come li ha definiti senza pietà il maresciallo sovietico Zakharov, venuto in Egitto ad esaminare la situazione militare dopo, la disfatta. E' il fenomeno dell'imborghesimento e della burocratizzazione, che fatalmente subentra quando si ritira l'onda rivoluzionaria; lo stesso contro il quale cerca di lottare Mao con la sua disperata « rivoluzione culturale ». Nasser, che non è certo un Mao, ma anch'egli un nazionalista borghese come i suoi ufficiali, si è accontentato di potare i rami secchi; e non solo per giusta punizione o per aderire ai suggerimenti sovietici, ma anche per elementare precauzione. Sin dall'indomani della sconfìtta, infatti, era diffuso al Cairo (lo riferiva il 20 giugno il corrispon¬ dente di Le Monde) un clima di complotto; si diceva persino che la « borghesia militare » avesse colto l'occasione della guerra per sbarazzarsi, attraverso la sconfìtta, dell'uomo che ne minacciava i privilegi con il « socialismo » all'interno e con l'interminabile guerra dello Yemen all'esterno. Per qualche mese la situazione è sembrata tornare normale, sinché è esplosa la notizia dell'arresto del maresciallo Amer e di altre personalità, riportata anch'essa da un'ampia corrispondenza a Le Monde dal Cairo. Appare evidente che Nasser, in partenza per Kartum, abbia voluto proteggersi le spalle; ma certamente, se non un complotto, qualche cosa dì grave stava maturando, se Nas- ser si è spinto fino a fare arrestare, annunciandoglielo di persona, Amer: il suo fraterno amico e compagno d'armi, dai tempi degli studi comuni alla Accademia militare, trent'anni fa, braccio destro ed ex delfino, parente d'acquisto (la figlia di Amer è cognata di Nasser). Benché manchino notizie più precise, dai precedenti pare doversi desumere che l'opposizione di Amer e degli ufficiali suoi amici fosse di destra, pronta tuttavia, per giustificare l'eventuale colpo, ad accusare il Presidente di cedimento a Kartum. Forse più consistente e minacciosa, anche se non ha dato luogo finora ad episodi clamorosi, è l'opposizione di sinistra, che predica la fine del « potere personale», la lotta contro la « nuova borghesia » e « l'integrazione del movimento nazionale arabo nel movimento rivoluzionario mondiale ». Solo « la mobilitazione del popolo sotto la bandiera socialista », secondo costoro, permetterebbe di regolare favorevolmente il conflitto con Israele. Cosi Nasser si trova preso tra due fuochi, all'interno dell'Egitto e nel mondo arabo, al Cairo e a Kartum. Riuscirà a districarsi senza scottarsi né a destra né a sinistra? Ferdinando Vegas Israele (2 milioni di abitanti) ed i Paesi arabi con una popolazione di circa 100 milioni. In nero le zone occupate dall'esèrcito di Tel Aviv dopo II recente conflitto