Sfidano l'oceano su tronchi d'albero per catturare la gigantesca «manta»

Sfidano l'oceano su tronchi d'albero per catturare la gigantesca «manta» Viaggio nei Sud dell'India, lungo le coste dei Kerala Sfidano l'oceano su tronchi d'albero per catturare la gigantesca «manta» I pescatori «malalayam», d'origine malese, affrontano il mare aperto sui «catamarani»: sono imbarcazioni primordiali, di legno leggerissimo, che scivolano veloci e sicure sulle onde e dove un bianco non riesce a rimanere in equilibrio neppure per un istante - La piatta e nera «manta», il pesce dalle grandi ali a punta, è una preda tenace, che resiste allo sforzo di venti uomini: la sua cattura è avventurosa e piena di incognite €2 Coste del Kerala, luglio. Li chiamano catamarani: sono le imbarcazioni più curiose di tutti i mari, e profondamente diverse da ogni altra. Dai tempi più antichi (e ovunque, nel mondo) l'uomo ha ideato e costruito i suoi mezzi per potersi muovere sull'acqua, nei fiumi, nei laghi, nell'Oceano, partendo dal principio della canoa scavata nel tronco dell'albero, uno spazio vuoto — cioè — protetto tutt'attorno dall'acqua, e per questo in grado di galleggiare; le più moderne navi dell'era atomica ■ ripetono ancora, nei loro principi fondamentali quello schema di costruzione primordiale. Nel Sud dell'India esìste un popolo di pescatori che naviga, invece, sull'Oceano seguendo un altro principio; è gente d'origine malese, di lingua malalayam sparsa lungo un arco di coste di quasi mille chilometri, da Capo Comorin allo Stato del Kerala. I loro catamarani non sono tronchi scavati, come le canoe, né hanno parti che ne proteggano i fianchi, la prua, la poppa. Sono tre tronchi di legno (uno più lungo al centro, due più corti ai lati) sui quali i pescatori sanno stare con le loro reti, il timone e in alcuni casi anche un piccolo albero dalla vela triangolare, senza alcuna protezione dalle onde del mare. I tronchi del catamarano non sono scavati né hanno bordi, e navigano sulle onde sicuri e veloci perché non possono mai essere riempiti d'acqua da un colpo di mare, in quanto l'acqua stessa passa e ripassa ad ogni istante sopra l'imbarcazione, che è costruita proprio per non offrire alcuna resistenza. Come facciano i pescatori a restare a bordo con i loro attrezzi senza essere spazzati via ad ogni istante (l'onda dell'Oceano Indiano, dritta, quasi verticale, è un muro d'acqua che impressiona anche nei giorni di bonaccia) è un fatto quasi inspiegabile; io sono salito sul catamarano del capo-pesca di un villaggio nei pressi di Trivandrum, ma alla prima ondata mi sono trovato in mare, portato via come un fuscello; e son tornato a riva a nuoto. Invece i pescatori restano un'intera giornata in alto mare, senza perdere uno spillo di quanto hanno a bordo. Capo Comorin, dove più numerosi sono i catamarani malalayam perché più ricca è la pesca, è la punta estrema meridionale dell'India; una roccia protesa nell'Oceano, sulla quale è stato edificato un tempio. Quello sperone è sacro per gli indiani: dal tempio una vasta gradinata scende sino al mare per permettere ai pellegrini di bagnarsi senza pericolo, in una sorta di piscina naturale protetta dalle onde. Tutt'attorno la costa è sabbiosa, d'un abbacinante candore, messo in risalto dalla linea della foresta di cocco. Subito alle spalle della zona verde, alte montagne si stagliano nel cielo, veri e propri picchi dolomitici come solo ho visto (di eguale bellezza, in paesaggio marino) a Bora Bora, isola polinesiana del Pacifico. Davanti alle coste, il mare è punteggiato di vele di catamarani alla pesca; le vele sono nere, e macchiano armoniosamente tutto l'orizzonte. Nei villaggi, i catamarani son tirati a terra senza fatica, perché i tronchi che li compongono sono di legno leggerissimo; più diffi- citi invece da portare in secco sono le grandi prede che talvolta incappano nelle reti gettate nell'Oceano. A Capo Comorin abbiamo assistito alla cattura d'una gigantesca manta portata a riva — pòi — dallo sforzo congiunto di una ventina di pescatori dalla forza erculea; la bestia (dalle grandi ali a punta, piatta, nera sopra e bianca nel ventre) era ancora viva mentre veniva trascinata sulla spiaggia e la notizia correva lungo tutta la costa, la gente usciva dalle capanne e s'ammassava attorno alla preda, ancora in grado — ogni tanto — di vibrare un gran colpo d'ala sulla sabbia, spaventando le donne e i bambini che si ritraevano spauriti. «Pesa oltre 500 chili», ci dice uno dei pescatori che abbiamo interrogato con l'aiuto di un interprete. « E cosa ne fate? » ho chiesto, incuriosito, perché sapevo che la manta non è commestibile. « Seccata al sole, sarà poi tagliata e battuta, a pezzo a pezzo dalle donne. Ne fanno farina di pesce, buona a mangiare con il riso e il curry» è la risposta. Pescatori altrettanto singolari ho visto a un centinaio di miglia da quelle coste indiane punteggiate dalle vele dei catamarani; sono i pescatori singalesi, i pescatori della grande Isola di Ceylon, proprio di fronte all'India meridionale. Tanto la pesca con i catamarani — e le grandi catture che permette — è un fatto collettivo, rumoroso, avventuroso, pieno di incognite e di sfida all'Oceano; tanto la pesca dei singalesi è un fatto silenzioso e solitario (anche se talvolta gli uomini che la praticano si riuniscano in gruppo di qualche decina). AI primo istante — nello scorgerli — si resta stupiti: « Quelli sono ì nostri pescatori » ci dicono al villaggio, e vediamo uscire dall'acqua lontani, nel mare, alti trespoli come quelli dei pappagalli. Poi, a poco a poco, comprendiamo. I pescatori singalesi, quand'è «bassa marea», si spingono lontano dalla riva con i loro lunghi pali a forma di «T», e nel posto adatto piantano il palo nella sabbia e attendono l'alta marea; quando il livello delle onde comincia a crescere salgono sul trespolo con la loro canna da pesca, e si ritrovano in mare dove l'acqua è abbastanza profonda e permette una buona pesca. Nel silenzio e nell'accecante luce del sole, appollaiati e immobili, in quel loro singolare rifugio fanno trascorrere le sei ore dell'alta marea, rac¬ cogliendo in un sacco ì pesci che a mano a mano abboccano. Nel riflesso del sole, l'obbiettivo puntato su di loro — come pochi giorni prima lo era stato sui pescatori dei catamarani — coglie un'immagine che sintetizza (con le semplicità e le chiarezze del riquadro regolare della macchina fotografica) l'isolamento umano di queste comunità di pescatori dei mari indiani, misura dell'immensità dello spazio nel quale sono immersi da sempre, e misura di un tempo che trascorre con tanta lentezza, battuto non dai nostri frenetici secondi ma dal regolare, più armonioso ritmo dell'onda dell'Oceano. Folco Quilicì Il vento gonfia le grandi vele nere del « catamarani ». Le rudimentali Imbarcazioni sfidano sicure le onde del mara

Persone citate: Bora Bora, Folco Quilicì

Luoghi citati: India