La lenta morte di Baudelaire

La lenta morte di Baudelaire CENT'ANNI FA SCOMPARIVA IL POETA DEI «FIORI DEL MALE» La lenta morte di Baudelaire Per l'anagrafe Charles Baudelaire morì il 31 agosto 1867. Ma per la storia letteraria il poeta delle Fleurs du Mal è morto qualche anno prima. Quando la sifilide cerebrale distrusse in pochi mesi l'uomo, riducendolo l'ombra del « dandy t che era stato, il poeta per ribellarsi trovò nella propria mente soltanto alcune bestemmie che furono le sue ultime preghiere. L'impotenza fu così drammatica, tanto tenace la ribellione, che quel lungo brontolìo di bestemmie e di preghiere, dopo un secolo, merita ancora un ricordo. Anche l'ultima nota, lugubre e straziante, esalta un talento che aveva composto canti e inni ben più sonori. In una Parigi estiva, pochi amici accompagnarono il convoglio funebre al Cimitero di Montparnasse. Non c'era Victor Hugo ancora in esilio, né Théophile Gautier lontano in Svizzera. La tanto amata Apollonie Sabatier viaggiava in Italia, Sainte-Beuve aveva accusato un impegno, Leconte de Lisle non era stato informato. Confortavano la madre un poeta, Théodore de Banville, un pittore, Manet, un critico, Louis Vcuillot. Fra tutte, significativa la presenza di Vcrlaine. La nuova generazione era rappresentata dal suo uomo più prestigioso. Presenti ed assenti ricordavano anche troppo le ultime vicende di una vita bruciata a soli quarantasei anni. La salute di Baudelaire non era mai stata prospera. Comunque, le prime inquietudini si erano manifestate soltanto nel '64, durante i primi mesi del soggiorno a Bruxelles. Il poeta aveva accusato il clima e, da allora, il Belgio sarà il suo « inferno ». Seguirono le nevralgie, i disturbi allo stomaco, le idee funeree. « Come è difficile avere del coraggio per ogni giorno! *. Nel febbraio del '65 venne il primo serio attacco; poi, i sintomi si aggravarono con vertigini, svenimenti, cadute. Mentre il medico curava l'isterismo, Baudelaire sentiva arrivare la paralisi. Non s( diede per vinto. Gli amici lo sorvegliavano e lui, nottetempo, si cacciava nelle taverne, abusava del vino, di ogni eccitante, e finiva sotto i tavoli. Nel marzo del '66 giunge la crisi decisiva, che gli toglie la capacità di scrivere. Detta la sua ultima lettera alla madre il 30 marzo. Allontanato dalla clinica di Bruxelles per le eccessive bestemmie, rientra a Parigi e trova un po' di pace presso il dottor Duval. Manet manda due quadri per rallegrare la stanza, la moglie del pittore gli suona Wagner al pianoforte, anche da lontano Hugo lo incoraggia. Ma l'ottimismo è di breve durata. L'ammalato si accanisce contro la madre: la reclama al capezzale, la tormenta, la sfrutta, l'allontana a Honfleur, la richiama per l'ultima volta nell'aprile del '67 per soffrire nelle sue braccia. Gli ultimi mesi sono un'agonia senza storia. La morte del poeta fu non meno penosa. L'ultima favilla del gran fuoco bruciò nel luglio del '66 alla stazione parigina dopo il ritorno definitivo da Bruxelles. Il fedele Asselineau era andato ad attendere l'amico e vedendolo così incanutito, il braccio paralizzato, incapace di articolare parola, non aveva nascosto lo smarrimento. L'impressione dolorosa non sfuggì al poeta che, lucido ed acuto, rispose con una risata « lunga, sonora, persistente ». Fu questa l'ultima difesa del poeta che nel diario intimo ordinava a se stesso « di ripetersi ad ogni istante di essere il più grande degli uomini ». Da almeno due anni Baudelaire lottava contro tutto quanto indeboliva una simile fiducia. Già nel luglio del '64 al suo editore non nascondeva la consapevolezza di dover pagare duramente il coraggio « di aver osato dipingere il male con qualche talento ». In Belgio, constatando la poca gloria che gli veniva dalla sua poesia, aveva giocato all'impertinente, si era atteggiato a ladro, a spia, a pornografo. Aveva persino messo in giro la favola di aver assassinato e fatto a pezzi suo padre. A suo scorno, il mistificatore era stato creduto. Si convinse, allora, che * per estere compresi bisogna essere volgari » e giunse al punto di vantarsi « di nuo- tare nel disonore come un pesce nell'acqua ». Sincerità per sincerità, con gli intimi si vantava pure, di pregare quotidianamente per quanti l'amavano. In tutti i modi il poeta si sforzava di dominare il proprio destino e di risvegliare il fuoco della sua poesia. Per i mesi del '65 le faville del maglio si trovano ovunque nella corrispondenza. Assilla gli editori perché gli pubblichino almeno quattro libri che dice di aver pronti. Legge un articolo contro Heine e'i poeti satanici e medita una fiera ri¬ sposta. Quando ha già perso l'uso della parola trova ancora il coraggio per segnalare a un amico un verso ritmicamente falso. Scrive ad Ancelle e lo assicura di progettare una raccolta di novelle. In realtà, pensa sempre a Mon coeur mis à nu che definisce « Un mostro che parla di lutto ». Le belle lettere a Sainte-Beuve e Manet del maggio '65! Al critico ricorda i suoi poemi in prosa, « lavoro difficile che esige ' 'un'eccitazione "costante, la luce, la folla, la ' musica »; per il pittore trova parole che paragonano l'amico a Chateaubriand , e a Wagner. Quando i lettori gli scrivono, ne prova soddisfazione e, più ancora, sente vergogna « per la miseria in cui vive, per la sua umilian te situazione, per i suoi vizi ». Gli pare di essere perseguitato da tutti e non soltanto dagli editori. La Revue de Paris non 10 paga, il Figaro lo respinge. 11 poeta si sfoga con la madre, 10 sfogo lo rende ottimista e nello slancio architetta una ventina di volumi che dovrebbero toglierlo dalla miseria. Ma chi gli presta più fede? Ormai tutti sanno che se il poeta « possiede perfettamente la scienza della vita, ha perso tuttavia la forza per metterla in pratica y. Tante faville sparse al vento non provocano più l'incendio. La grande vena lirica si è spenta a poco a poco negli ispirati poemi in prosa. Sola rimane la confessione bruciante delle lettere che mettono a nudo un cuore generoso nella sincerità come nella ribellione. Quando anche sui tumulti del cuore cade il silenzio definitivo, allora soltanto parlano i grandi occhi limpidi che sognano paradisi non artificiali, che ancora aspirano a trovare « la frenesia quotidiana y, che chiedono perdono a tutti; gli occhi del poeta infaticabile che non dimentica di aver scritto che « per guarire di tutto, della miseria, delia malattia, della melanconia è indispensabile avere il gusto del lavoro *. Già paralizzato, nei mesi in cui la vita gli era diventata intollerabile, Baudelaire continuava a ripetersi la norma che avrebbe voluto finalmente attuare: « Se vuoi che la vita ti sia leggera, lavora ogni giorno *. Non altrimenti, auando già 11 poeta era morto, l'uomo ancora vivo s'illuse che, ribellandosi alla sua condizione, avrebbe potuto ritrovare il giusto cammino alla lirica. L'illusione durò per tutto il tempo dell'agonia. Poi. con il poeta morì anche l'uomo e la solitudine distrusse definitivamente i socrni di tutta una vita con l'inesorabile d'i-v-zza trip "'cordata. Franco Simone Charles Baudelaire nel 1864: la malattia era agli inizi

Luoghi citati: Ancelle, Belgio, Bruxelles, Italia, Parigi, Svizzera