L'incerto futuro della Cina tra esercito e guardie rosse

L'incerto futuro della Cina tra esercito e guardie rosse UN PAESE, 0RANDE COME UN CONTINENTE, SCONVOLTO DAI DISORDINI L'incerto futuro della Cina tra esercito e guardie rosse La rivoluzione culturale è stata organizzata dalle autorità per «galvanizzare» le masse - In un primo tempo tutto andò bene, poi il movimento è sfuggito al controllo dei capi e si sono delineati contrasti gravissimi fra i militari e gli attivisti del partito - Due episodi, il caso del generale destituito a Wuhan e i «deviazionisti» fucilati a Shangai Mao Tse-tung, sempre riconosciuto da tutti come la guida suprema, cercherebbe ora un compromesso fra le opposte fazioni (Dal nostro Inviato speciale) Hong Kong, 29 agosto. Il potere nasce sempre dalla canna del lucile, ha detto a suo tempo Mao Tse-tung, aggiungendo in seguito che la rivoluzione culturale deve incentrarsi su una doppia tensione: quella dell'esercìto, che è esercito del popolo, e quella delle «Guardie rosse» che debbono considerarsi grande potente riserva dell'Armata di liberazione. Nelle ultime settimane due tensioni si sono allentate, essendosi verificati tra esercito e «Guardie rosse» dissetisi e incomprensioni culminati nell'episodio di Wuhan: quel comandante, come si ricorderà — la notizia è ora ufficialmente confermata —, nell'intento di ristabilire l'ordine a suo modo di vedere turbato dalle «Guardie rosse», spinse il suo zelo fino a fermare addirittura due ministri venuti dalla capitale insieme con una delegazione di attivisti, impedendo loro per due giorni di ripartire alla volta di Pechino. Il generale Tsao, è questo il suo nome, comandava la regione di Wuhan, uno dei più grandi centri industriali della Cina, sullo Yang-Tse. Le «Guardie rosse» avevano occupato diverse fabbriche rallentando la produzione e provocando la reazione di quegli operai. Ne erano seguiti tumulti piuttosto gravi. L'agitazione era al colmo quando giunsero il ministro della Sicurezza Pubblica e quello della Propaganda: costoro, anziché deplorare le « Guardie rosse » come pretendeva il generale Tsao, le avrebbero appoggiate, sicché il comandante, forte della dispasi- zione del Comitato Centrale del partito dei primi del settembre '66, secondo cui i giovani rivoluzionari debbono trarre insegnamento dall'Armata di liberazione e rispettare i sedici punti in cui è articolata la decisione sulla grande rivoluzione culturale emessa dal Comitato Centrale del partito l'8 agosto 1966. « cicchettò » ministri e attivisti col risultato di perdere il posto. La destituzione del generale Tsao ha avuto come conseguenza quella di far perdere là faccia all'esercito e se ne sono visti i risultati nella provincia meridionale di Kwangtung (Cantoni, dove i soldati si sono irrigiditi nei riguardi delle « Guardie rosse », e nella Manciuria (Hagchun) dove, al contrario, quei comandanti per evitare grane han lasciato loro mano libera. Senza un esercito unito non ci può essere rivoluzione culturale, così come la intende Mao. vale dire un permanente disordine costruttivo, una diatriba politica intesa a riformare l'uomo cinese al fine di dare alle masse popolari (esercito e civili) il controllo del potere eliminando ogni deviazionismo, ogni tendenza revisionista. Gli ultimi avvenimenti avevano messo Mao di fronte a due alternative: o accettare un compromesso, evitando non già una guerra civile armata, ma che dal disordine « programmato » si scadesse nel caos sfasciando il paese economicamente e politicamente, o lasciare che le cose precipitassero col rischio di provocare un « colpo » militare riportando così la Cina ai drammatici anni venti e trenta. Da un articolo del Quotidiano del popolo diffuso oggi con grande rilievo dalla agenzia « Nuova Cina » si dovrebbe dedurre che Mao ha scelto la prima delle due alternative, presumibilmente su pressione del maresciallo Lin Piao il quale nei giorni scorsi aveva convocato a Pechino i comandanti delle più importanti regioni della Cina. L'esercito è la pietra miliare della rivoluzione culturale, afferma il lungo editoriale del Quotidiano del popolo, citando una massima di Mao: « Senza una armata popolare il popolo è nulla. Senza il concorso di un esercito del popolo non può esserci una autentica dittatura del proletariato, non può aversi la rivoluzione culturale ». La garanzia del successo finale della ri'voluzlóne culturale, scrive il quotidiano di Pechino, riposa sulla leadership del grande capo supremo Mao Tse-tung e sull'invincibile Armata di liberazione a lui legata da lealtà, amore e ammirazione. Il ruolo-guida della rivoluzione culturale è riconfermato all'esercito in termini perentori: «Dovrà essere più che mai il sostegno delle masse rivoluzionarie, la guida della sinistra rivoluzionaria, assistendo l'industria e l'agricoltura, esercitando le sue funzioni squisitamente tecniche nonch'è addestrando militarmente e politicamente i civili ». Dopo aver elogiato l'opera dell'esercito che non solo ha assistito il popolo ma ha sempre garantito la sicurezza del paese vigilando le frontiere, le acque territoriali e lo spazio aereo il Quotidiano del popolo ammette i dissensi, la crisi di fiducia verificatasi tra esercito e attivisti, scrivendo che «ci sono stflti momenti di incertezza (...) ma adesso, rinvigorendosi la lotta contro i deviazionisti, i legami tra le masse e l'esercito si sono consolidati». Tuttavia per dar maggiore impulso alla rivoluzione culturale « è necessario che l'Armata di liberazione si avvicini maggiormente a tutti i rivoluzionari proletari, alle "Guardie rosse", alle masse ». cosi come è indispensabile che il popolo « lanci uno straordinario movimento su lar- ga scala per sostenere l'esercito ». Popolo e armata indissolubilmente uniti è il nuovo « slogan strategico » diffuso da Pechino. Una volta compreso questo slogan potremo tutti fare una corretta analisi dell'attuale situazione, avere infine le idee chiare, stabilire una volta per sempre i compiti del popolo e dell'esercito, la natura delle reciproche relazioni. Realizzata la indispensabile « mutua assistenza » potremo marciare avanti senza dubbi ed esitazioni, assicurando il successo della rivoluzione culturale, un evento senza precedenti nella storia del mondo. Il fondo del Quotidiano del popolo si conclude con un panegirico del maresciallo Lin Piao « grande capo dell'Armata di liberazione. Da quando egli ha . assunto il comando dell'esercito questo ha alzato lo stendardo del pensiero di Mao. E il nostro amato capo supremo Mao Tse-tung e il suo pensiero traggono maggiore autorità dalla gloriosa Armata di liberazione ». Qui a Hong Kong i sinologi vedono nell'articolo del Quotidiano del popolo la conferma della grave frattura — secondo alcuni già in atto, secondo altri sul punto di verificarsi — tra le « Guardie rosse » e l'Armata. L'editoriale, essi ritengono, è un tentativo di « salvare la faccia » all'esercito che l'aveva perduta dopo i fatti di Wuhan, e si domandano se basterà a evitare il processo di disgregazione in cui la Cina rischia di precipitare. La situazione è tuttora « fluida » in Cina, concludono i sinologi, citando due notizie: una da Shangai dove quella radio ha an¬ nunciato la fucilazione di due « deviazionisti » colpevoli di aver distribuito manifestini contro il potere centrale, l'altra da Hangchun in Manciuria dove quel comandante, il generale Ko Yu-fa, ha ammesso a un raduno di militari e di civili d'aver errato lasciando troppo mano Ubera alle «Guardie rosse » ree di gravi disordini. Tutti i sinologi, peraltro, convengono su di un punto: la situazione è grave ma non irrimediabile, se Mao, come sembra, ha scelto la strada del « compromesso », può darsi che ancora una volta, a simigliamo di quanto avvenne dopo il fallimento del « grande balzo in avanti », egli finisca con l'avere partita vinta, consolidando il suo potere personale indubbiamente scosso negli ultimi tempi. Igor Man Un'altra scena dei violenti scontri che sono scoppiati ieri di fronte all'ambasciata cinese a Londra. [Ampio servizio in prima pagina). Un gruppo di funzionari di Pechino, armato di accette e bastoni, ha aggredito passanti, giornalisti e agenti di Scotland Yard. Quattro cinesi, due poliziotti e due fotoreporter, feriti, sono stati ricoverati in ospedale. Nella foto, gli agenti mentre tentano di separare i contendenti (Telefoto « Ansa »)