Odio agli stranieri

Odio agli stranieri Odio agli stranieri Negli ultimi mesi, spesso le notizie di singoli fatti accaduti in Cina erano poco credibili. I manifesti murali delle «guardie rosse» si contraddicevano. Inoltre la lingua cinese è ambigua. Un ideogramma può significare « disaccordo » o « rivoluzione», un altro esprime con gli stessi segni l'idea di «sanguinoso» o «decisivo». Ancora oggi qualche singola notizia può essere sbagliata. Ma ormai la massa di informazioni fornita dalle stesse fonti cinesi è tale, che il quadro complessivo non può mentire. E il quadro dice che l'amministrazione unitaria della Repubblica è in crisi. C'è stato il caso di Wuhan, poi quello di Canton. Tutti i viaggiatori di ritorno dalla Cina testimoniano di avere visto uomini uccisi per le vie delle grandi città, o di avere udito sparatorie. Un'idea del caos che è tornato in Cina, dopo diciassette anni, è data dal seguente commento della stazione radio del Kiangsi, provincia non più controllata dal potere centrale. «Ciò che rende difficile la nostra lotta — dicono i maoisti di radio Kiangsi — è che quando noi ci riuniamo, i nostri nemici pure si riuniscono; quando facciamo la rivoluzione, essi pure la. fanno; quando prendiamo il potere, essi pure lo prendono ». La Cina potè essere unificata nel '49, dopo un secolo di caos provocato dalle potenze coloniali e dai « signorl della guerra» cinesi, grazie a due condizioni. Anzitutto, era necessario che il governo fosse per la prima volta resistente ai « demoni » del settarismo e del separatismo; inoltre che la politica del potere centrale, ancorché rivoluzionaria, fosse in qualche misura duttile e realistica. Per molto tempo il gruppo dirigente della «lunga marcia », legato da un'ideologia marxista - leninista adattata alla Cina, apparve il più concorde fra i governi comunisti. Ma ora s'è frantumato. Mao e Lin Piao, dopo aver escluso dal potere il «krusceviano » maresciallo Peng Teh-huai, hanno rovesciato il potente sindaco di Pechino Peng Cen, il capo di Stato Maggiore Lo Jui-cing, e infine hanno dichiarato guerra al presidente Liu Sciao-ci e al segretario del partito comunista Teng Hsiao-ping. Il premier Ciu En-lai governa fra gli uni e gli altri, anche se appare più vicino ai puri maoisti. Numerosi leaders locali del partito e dell'esercito, nuovi «signori della guerra», seguono Liu Sciao-ci oppure colgono l'occasione per volgere le spalle all'autorità centrale. Essi non vincono, pur governando nella gran parte' delle province, poiché sono discordi anche fra loro; ma la Cina si disgrega. Per qualche tempo il maoismo fu anche moderato, valutando le condizioni effettive della Cina. Ma poi prevalse la tendenza verso un dogmatismo, che era dettato insieme dalla difficoltà di ottenere un rapido « decollo » industriale in Cina e dall' imperiosa tensione del nazionalismo. Collettivizzazione della terra prima della meccanizzazione agricola, utopia d'un comunismo senza basi tecniche (la riforma delle « Comuni ») e tentativo d'un « gran balzo in avanti » nello sviluppo industriale: proponendosì mete fantastiche, il regime provocò il collasso dell'economia. Dopo la morte di Stalin, Mao aveva avuto fretta di rivendicare alla Cina una funzione di guida nel comunismo mondiale, incontrando però nell'Urss obbiezioni motivate dalla circostanza che la Cina era una società inferiore in termini di sviluppo. Da qui l'utopia di Mao: tutti gli eventi successivi sono rilanci crescenti della stessa utopia, anche volgendo le spalle — in definitiva — all'economia e alla politica per proclamare una sorta di religione. Fino al punto che oggi, in Cina, il presidente Liu Sciaoci è giudicato come «rinnegato capitalista» poiché contro la pura eticità rivoluzionaria propone, per esempio, la restituzione dei premi di produttività agli operai. Ambedue le condizioni, sulle quali era nato lo Stato unitario di Mao Tse-tung, ora sembrano cadute. E' a questo punto che il gruppo di Mao e Lin Piao, nell'estremo tentativo di scongiurare lo sfaldamento dello Stato, moltiplica i tentativi di far leva sulla storica xenofobia della Cina. Le radici di quella xenofobia sono remote, ma tuttora fortissime. Risalgono alla Guerra dell'oppio, ai tempi in cui il 'Gàteau Chinois era diviso per sei (inclusa la cospicua parte dei russi) e a quando l'ingresso nel quartiere europeo di Shanghai era vietato per «i cani e ì cinesi». Nulla in Cina può favorire le spinte unitarie come il richiamo all'ossessione dei « diavoli stranieri », ancor-

Persone citate: Ciu En-lai, Mao, Peng Cen, Peng Teh-huai, Stalin, Teng Hsiao-ping