La «grande lotta» della Tunisia contro l'ignoranza e la fame di Giovanni Giovannini

La «grande lotta» della Tunisia contro l'ignoranza e la fame UN ANGOLO DI SAGGEZZA NELL'INQUIETO MONDO DELL'ISLAM La «grande lotta» della Tunisia contro l'ignoranza e la fame I Paesi arabi stanno discutendo a Bagdad di bloccare le vendite di petrolio, tener chiuso il Canale, ritirare i depositi dalle banche anglosassoni - Ma Burghiba, che non ha vie d'acqua da chiudere, poco petrolio e ancora meno capitali, risponde: « E' autolesionismo, dobbiamo pensare soprattutto a noi stessi » - In realtà il Presidente tunisino ha dato il via ad una grande campagna per lo sviluppo economico e sociale; fra l'altro, ha nazionalizzato e ridistribuito 400 mila ettari di terra (espropriando senza indennizzo anche 3 o 4 mila italiani) - Costrutta una scuola in ogni villaggio - Ma la situazione non accenna a migliorare: gli ultimi raccolti sono stati disastrosi, causa una siccità eccezionale (Dal nostro inviato speciale) Tunisi, agosto. Per parlare di politica a Tunisi, bisogna in questi giorni alzarsi presto. A mezzogiorno, in qualsiasi ufficio pubblico o privato, i vostri cortesi interlocutori si fanno impazienti, invitano a concludere le conversazioni. Seguiti dal loro popolo, i vari leaders fuggono verso il mare per sfuggire al caldo torrido dell'agosto africano. Arabi ed europei, vecchi e giovani, ricchi e poveri, gremiscono nel pomerìggio ogni spiaggia della splendida costa, da Cartagine a . La Marèa, da Sidi Bou Said a Gamarth. Di politica, si riparlerà il mattino dopo, e senza troppa foga. La gente segue con poca attenzione le poche notizie che i giornali locali dedicano al lento evolversi della crisi mediorientale. Dopo i ministri arabi degli Esteri a Kartum, sono oggi quelli « economici » a riunirsi a Bagdad per discutere delle sanzioni da applicare contro gli occidentali: blocco delle esportazioni petrolifere, chiusura indeterminata di Suez, ritiro degli ingenti depositi dalle banche anglosassoni. I tunisini hanno già detto il loro realistico parere su tutti questi « piani dì autolesionismo »: di più, ora, non vogliono aggiungere, facciano gli interessati quello che credono meglio. Loro, purtroppo, interessati non sono: non hanno vie d'acqua internazionali da chiudere o da tenere aperte, non hanno petrolio (per ora) da esportare o meno, non hanno depositi né grandi né piccoli *- nessuna banca estera. In attesa che la Nazione Araba («un obiettivo -* dico'no qui — non un datò-di. fatto ») cominci a realizzare se stessa prima dei grandi piani storici, la Tunisia ha da badare urgentemente r- casi suoi. Grande come mezza Italia, popolato da quattro milioni e mezzo di abitanti, il paese è povero, e non ha vergogna ad ammetterlo. Il suo presidente Burghiba ha il coraggio di definire la lunga lotta per l'indipendenza da lui vittoriosamente guidata. « le petit combat »: « le grand combat » è un altro, è quello che è in corso oggi contro l'analfabetismo, la miseria, la fame, l'arretratezza. In una parte del mondo tanto incline ad eroi che chiacchiere, basterebbe questa impostazione a far risaltare la taglia e la modernità dell'uomo. « Parliamo di meno, lavoriamo di più e « Tunisie d'abord », sono gli slogans che — in contrapposto a quelli altrui della « guerra continua» — rilanciano ora i giornali tunisini. I tempi sono più duri che mai, il paes- è agricolo, i raccolti dell'anno scorso sono andati male. L'olio d'oliva, principale merce d'esportazione (ZOVo del totale) è caduto dalle cinquantamila tonnellate del '65 alle venticinquemila del '66; il vino, da un milione ottocentocinquantamila ettolitri ad un milione duecentocinquantamila; il frumento, da cinquecentomila a trecentomila tonnellate; l'orzo, da duecentotrentamila a dicìottomila. Un disastro: in tutto l'interna si pud. parlare di miseria; in certe.-zone, di fame. Creando altri problemi, la gente delle campagne preme sempre più verso le città, soprattutto verso Tunisi che da trecentomila abitanti ha raggiunto i seicento, arriverà nel '70 — dice il suo sindaco — ad un milione. La colpa in gran parte è delle cose: la siccità è stata (e continua ad essere) eccezionale. Ma anche gli uomini ci hanno messo mano: in questi momenti difficili si è maggiormente sentito l'effetto dell'espulsione degli agricoltori europei di tre anni addietro. Burghiba, il « servo del capitalismo occidentale » — come l'ha chiamato fino a ieri la propaganda di Nasser — ha nazionalizzato nel 1964 qualcosa come quattrocentomila ettari della terra migliore. Il grosso apparteneva a francesi, ma più di trentamila ettari erano di tre o quattromila coltivatori italiani che oggi sono quasi tutti rimpatriati senza aver ricevuto un soldo di indennizzo (il problema dovrebbe finalmente trovare concreta soluzione durante la visita dell'on. Fanfani che sarà qui — notizia di fonte tunisina- — fra due settimane). Sul piano politico, il governo non dubita della bontà del provvedimento: « indipendenti siamo diventati non con la proclamazione ufficiale del '56 ma con la nazionalizzazione del '64 ». Sul piano economico, è però altrettanto chiaro che la sostituzione di improvvisate cooperative all'esperta conduzione dei vecchi proprietari ha favorito il regresso della produzione. « Certi agricoltori — leggo su L'Action, quotidiano del partito unico — oppongono una resistenza tenace all'introduzione di metodi moderni, sostenendo che alla maniera antica sono sempre riusciti a sfamare se stessi e coloro che vivevano con loro. Dimenticano che il paese ha oggi il doppio di abitanti di qualche anno addietro. Dobbiamo cambiare sistemi millenari, vincere abitudini passive fortemente radicate, tanto più difficili da strappare in quanto frutto di un •fatalismo religioso che ha lasciato il suo marchio durante secoli di decadenza ». Un qualche conforto ed una certa speranza, vengono dal sottosuolo: alla vecchia fonte di ricchezza costituita dai fosfati e dai minerali di ferro, si sta aggiungendo il petrolio, trovato ad El Borma dall'Eni (che ha già costruito la grande raffineria di Biserta e la rete di distribuzione). I dati quantitativi non sono di pubblica ragione: sembra che il ritmo produttivo possa toccare quest'anno i due milioni di tonnellate (due volte e mezzo il consumo interno locale). Come tutti i paesi nuovi, anche la Tunisia ha cercato di sviluppare la sua industria con troppo slancio. Col suo consueto realismo, Burghiba ha dato nell'ottobre scorso un colpo di arresto richiamando non solo alla austerità nei consumi ma anche a scelte fra tipi di produzione. Nel bilancio di quest'anno, gli investimenti sono stati ridotti di circa il venti per cento, la previsione del tasso di incremento da un eccessivo 7 per cento ad un ottimistico 5 per cento. Rimane più che mai di problematica soluzione il pareggio di una bilancia commerciale con esportazioni che superano di poco la metà delle importazioni. Le difficoltà sono obiettive, i tentativi di riforma strutturale sono stati più cauti che altrove. Come in agricoltura le nuove coopc rative si affiancano alle vecchie proprietà private (non straniere), così nell'indù stria le imprese pubbliche coesistono con quelle individuali. Sotto l'etichetta so cialista, Burghiba fa dell'empirismo, del prammatismo. e del possibilismo, la sua legge; e non è il solo. Il «candidato di sinistra» alla successione, il ministro del Piano, Ben Salah, definito dai borghesi un pericoloso estremista, scrive: « Stiamo costruendo una via tunisina al socialismo che preservi al massimo le nostre tradizioni ed eviti il più possibile ideologie a noi estranee, senza tener conto — ad esempio — di concetti come la lotta di classe o l'abolizione della proprietà privata ». «Il burghibismo — mi spiega a lungo un giovane intellettuale — è una filosofia tecnica dello sviluppo ». Più semplicemente, Burghiba stesso dichiara di essere insofferente di qualsiasi concezione rigida: « L'importante è non chiedere oggi altri sacrifici in vista di qualsiasi paradiso di domani a gente che soffre da troppo tempo e che ha bisogno di leggere, di mangiare, di vivere decentemente». Chi ha un salario di trentamila lire al mese, uno stipendio di cinquantamila, può essere soddisfatto; i disoccupati si confondono con i sottoccupati in maniera da rendere vaga ogni cifra statistica. « Per mangiare bisogna sapere leggere», è un altro monito del Presidente. Nella capitale stessa — leggo su La Presse — il quaranta per cento degli abitanti è analfabeta; nelle campagne l'ottanta per cento. Lo sforzo per l'istruzione è enorme, gli studenti di ogni ordine sono passati da centottantamila a ottocentomila, non c'è più villaggio miserabile senza scuola. Non avesse altro titolo, basterebbe questo ad assicurare a Burghiba un gran postonella storia del suo paese. Nel suo duro, difficile travaglio, la Tunisia guarda naturalmente agli altri grandi paesi mediterranei, alla Francia, soprattutto, ed all'Italia dalla quale è divisa da pochi minuti di jet fa meno di un'ora di volo, Tunisi è la capitale più vicina a Roma). Se un paese arabo merita comprensione e appoggio, questo è la terra di Habib Burghiba, prudente in politica estera, moderato in politica interna, l'uomo civile che arriva a chiamare « petit combat » quello che vittoriosamente condusse per la libertà, a definire « grand combat », al di sopra di ogni altro, quello che ancor oggi lo vede impegnato contro l'ignoranza e la miseria. Giovanni Giovannini