Torino d'agosto di Marziano Bernardi

Torino d'agosto Torino d'agosto E' diventato un luogo comune dire e scrivere, quasi a consolazione di chi non può lasciare ' le città arroventate dalla vampa estiva, che queste città stesse fatte quasi deserte e silenziose dalla fuga della gente in ferie, svelano ai rimasti il loro volto più «vero », la loro anima più « autentica », assumono un aspetto di misteriosa, surrealistica stupefazione celata ai cittadini nelle altre stagioni, e insomma appaiono inconsuetamente « belle ». Probabilmente è una specie di miraggio eccitato dalla gran calura, e un poco anche dall'inusitata solitudine; perché la realtà storica, estetica, sociale di qualsiasi aggregato urbano vive in pienezza soltanto per l'esatto rapporto fra le sue possibilità di capienza e struttura, e il numero e l'attività di coloro che l'abitano. Ma una cosa e certa: che il senso insolito dell'abbandono e del silenzio suscita, come ur. torpido delirio, fantasie prima ignorate e diverse per ogni città. Torino d'agosto è un titolo che non può adattarsi a Milano o a Roma, a Firenze o a Bologna, a Genova o a Venezia, a Napoli o a Palermo, considerate nel medesimo agosto. Torino semivuota d'abitanti e di traffico nei torridi giorni dell'estate ha una sua particolare magìa che tiene in parti uguali del razionalistico e del metafisico. E' la sua voce segreta, persino inquietante, che scende al cuore di chi in essa è nato, e l'ama. Strano a dirsi, non fu un torinese a intenderla per farne l'unica espressione pittorica moderna tipicamente italiana. « Era una torrida estate dell'anno 1911 »: Giorgio De Chirico, ventitreenne, diretto a Parigi passava per Torino. Vi si fermò due giorni. Visitò l'Esposizione inaugurata in primavera. Ma vide ben altro: le piazze immense deserte (le ricòrdo, ragazzo: tutti si riversavano nei padiglioni al Valentino), le vie diritte, geometriche, le ritmiche arcate dei portici a perdita d'occhio. Leggiamo nelle sue «Memorie»: il suo primo quadro venduto a Parigi «raffigurava una piazza con dei portici ai lati; in fondo, dietro un muro, appariva un monumento equestre simile a quei monumenti dedicati a militari ed eroi del Risorgimento che si vedono in tante città italiane e specialmente a Torino ». Qualche anno dopo dipingeva un quadro simile intitolato « Malinconia torinese ». Era nata la pittura metafisica: nata a Torino. Sfortuna o fortuna per Torino non aver nelle sue piazze gli antichi capolavori abbaglianti di Firenze, di Venezia, di Padova? Lasciatemelo dire sottovoce: io credo fortuna. Un capolavoro — ottocentesco — l'abbiamo anche noi, e tutti lo sanno. Il resto? Più che monumenti, statue-ritratti di torinesi insigni, Lagrange, Gioberti, Paleocapa fattosi torinese per patriottismo, Cesare Balbo, Massimo d'Azeglio... hanno la giusta misura artistica ed umana perché nel gran traffico della città attiva nessuno le guardi; eppure a me paiono bellissime. Undici mesi dell'anno, modeste e mute, se ne stanno in disparte; ma le ferie d'agosto sono la loro rivincita. Guardatele sull'imbrunire, quando la vampa meridiana s'intenerisce d'un primo sollievo notturno; o meglio, se siete mattinieri, che l'afa vi ha tolto il sonno, nel crescere dell'alba avvolte d'aria inumidita sotto il cielo perlaceo. Intorno non c'è anima viva, non rompe il silenzio nemmeno il pigro tram che passa lontano. Lo so, è certamente un'illusione: ma davvero mi sembra che in quelle figure di marmo o di bronzo qualcosa frema, si agiti, palpiti. E allora, a ten dere l'orecchio, come non cogliere un bisbiglio? Cari concittadini illustri, scienziati, scrittori, statisti, educatori di generazioni inte- tdtldaddentgrzsnpivtivdgbBfisri1Pmctnslqccb1cdlcvt're, padri e promotori della mia città operosa, che mi dite? Nel semplice, limpido, cordia- le linguaggio del vostro seco- lo, forse parlate di lotte, di fa- e o i , , - tiche, di vittorie, di sconfitte: di studi e di scoperte per tut- ta l'umanità, voi eredi delPIl- luminismo ch'è tanta parte dello spirito torinese ancora adesso. Parlate degli ultimi re di Sardegna e del primo re d'Italia, di età sonnolente e di età radiose, della Restaurazione e del Risorgimento; sì, certo parlate — voi che fra tutti gli italiani più ne avete, a Torino, diritto — delle « Speranze d'Italia ». E' agosto, siamo soli, parlate pure liberamente, non abbiate vergogna dei capelloni e del costume beat che imperversa. Fra poco di nuovo vi rinchiuderete nel silenzio, tra l'altrui chiasso e il via vai indifferente. Mi spiace non trovare nella vostra compagnia un concittadino che ne sarebbe ben degno, precursore delle vostre libertà intellettuali: Giuseppe Baretti. « O terre, o mari, o fiumi, o valli, o monti, che sono sul punto, d'attraversare, rannicchiatevi, ristringetevi, impicciolitevi un tratto, perché 10 vi possa attraversar presto! Perché io presto possa trovarmi da quel punto del globo chiamato Londra a quel punto .del globo chiamato Torino! »; di Londra, li 12 agosto 1760. Il secolo già discende l'arco. Son passati cent'anni da quando il Guarini ha cominciato ad alzare le sue fabbriche portando la tensione del barocco torinese a un'acme che 11 Juvarra acquieterà in classiche modulazioni; e sfilata la fulgida coorte di quelli che diedero alla capitale sabauda l'impronta più eccelsa; fra pochi decenni alla città un nuovo stile suggerirà nuove misure. Pieno Barocco, Neoclassico tardo. Fantasia e ragione, il duplice volto di Torino. Ma chi lo vede dal settembre al luglio?. Ce lo restituiscono questi deserti giórni d'agosto Nel centro « storico », i palazzi fastosi, memoria di gare dell'aristocrazia con la Corte, ti par di scorgerli per la pri'ma vòlta, coi' loro grandi' balconi sinuosi, i portali solenni, le volute agli angoli delle finestre, la conchiglia juvare sca che suggella gli archetti Via San Domenico: è l'ombra di Gian Giacomo Rousseau, giovinetto in livrea di domestico, che esce da Casa Solaro ripensando alla sua madama Basile? E questo omino che lascia cauto, un poco strascicando la gamba una volta incatenata, l'atrio di Palazzo Barolo e si dirige lungo via delle Orfane alla Consolata per la messa, non è il pallido Silvio, quello delle «Mie prigioni»? Altissime sul fastigio di Palazzo Madama, mentre il cielo s'imporpora di luce bollente al tramonto, si librano ormai senza peso le statue del Baratta, aerei fantasmi come gli angeli dei ponti romani nei quadri infocati del visionario pittore Scipione; e si spalanca smisuratamente la gialla facciata secentesca del Palazzo Reale fra il balzo dei Dioscuri del neoclassico Abbondio Sangiorgio. E' la Torino aulicamente illustre, che ascoltò le trombe vittoriose del principe Eugenio; ed era anche allora una ben calda giornata. Ma c'è l'altra Torino, ottocentescamente raziocinante pur nel suo romanticismo (ma chi ci dice se Cavour fosse più realista o romantico?), che si di lata per le strade a scacchie ra, monotone e grige, centovent'anni fa percorse dai pa trioti del Risorgimento, esul dai regni e ducati del l'assola tismo, si chiamassero Francesco De Sanctis o Antonio Fontanesi: e anche al ritorno delle loro immagini la città vuota è propizia. Vie che si trasformano in viali dilungati fino alla periferia, dove d'un tratto è sceso il silenzio sul lavoro operaio. Sparite le migliaia d utilitarie e motorette dai pur/, zali della Mirafiori. Il gigante dorme; dall'inizio dell'autostrada alle rive del Sangone sosta, e finalmente forse sorri de, la vita di centomila fami glie torinesi. Lo scenario delle Alpi, incerto nelle tremule ca ligini della pianura, non ha più spettatori. Torniamo sui nostri passi in cerca d'un po' di frescura nelle viuzze del centro medioevale., a . via Santa Maria, entriamo nel ? ]a chiesuola in penombra; - quest'ora, s'intende, non c'è - nessuno. E' qui, in questa can- dida musica delle vittonian volte di Santa Maria di Piaz za, che in un lontano Ferra gosto dolce nella memoria in contrai, in un angolo buio prima del terzo altare, il signor Borgarello, balivo del re di Francia, prefetto d'Avigliana, uomo dottissimo in scienze economiche, morto nel 1551, come lessi nell'epigrafe sotto 1 suo busto. Perché mi balzò il cuore ravvisando in quel personaggio di marmo il nobile Melchiorre Borgarello? Perché (credo che fossimo in pochi a saperlo) egli era stato il più remoto possessore finora conosciuto del Castello del Valentino: quando quella che sarebbe diventata la superba reggia di Madama Reale era ancora una modesta «vigna» suburbana n mezzo ai boschi, nei quali mio caro signor Borgarello doveva aggirarsi felice durante riposi che gli concedeva l'annona di Avigliana. E questa è un'altra delle piccole scoperte che si possono fare a Torino d'agosto. Marziano Bernardi