Amaro bilancio di un anno di «rivoluzione culturale» in Cina di Giorgio Fattori

Amaro bilancio di un anno di «rivoluzione culturale» in Cina ii paese m tumulto, esercito e partilo divisi Amaro bilancio di un anno di «rivoluzione culturale» in Cina Giorgio Fattori, alcuni mesi fa, condusse per « La Stampa » un'approfondlta Inchiesta nella Cina comunista. Ora, ad un anno dall'esplosione della rivoluzione culturale, traccia un bilancio della più recente politica cinese, giovandosi della sua esperienza diretta e di un metodico esame delle fonti d'informazione disponibili in Occidente. Il 18 agosto di un anno fa a Pechino, quasi scaturite dal nulla, comparvero le Guardie Rosse. La rivoluzione culturale ribolliva, da mesi, ma il mondo e la Cina stessa ne presero coscienza quando sulla Piazza della Pace Celeste alcune centinaia di migliaia di giovani sventolarono per la prima volta un piccolo libro rosso: il vangelo di Mao. Il gioco era fatto, ora lo sappiamo con esattezza, dopo l'undicesimo congresso del Comitato centrale comunista che si era svolto pochi giorni prima. L'ordine delle citazioni nel comunicato dell'agenzia ufficiale cinese diede al mondo, quel 18 agosto, la sensazione del terremoto politico. Ma in Cina due mesi dopo nessuno sembrava non sapere nient'altro, se non che sotto la bandiera di Mao bisognava liquidare i superstiti borghesi. Li avevano presi e bastonati. A Pechino alcuni alti dirigenti erano stati destituiti. Che cos'altro c'era da fare? Da allora sono accadute molte cose, non tutte comprensibili: a distanza di un anno si può tentare solo un bilancio provvisorio. « La lotta è felicità » ha detto Mao una volta. Scatenando settecento milioni di cinesi, sino allora sorridenti e disciplinati come nella rigida regola di un convento, il dio presidente, ha voluto salvare l'anima della rivoluzione. Era un suo vecchio sogno, ma la realtà è sembrata più volte sfuggirgli di mano. Si possono individuare quattro tempi fondamentali delle lotta. x 1) La prima mossa'è geniale. Saitando il partito, malsicuro e diviso, n'eiràgostò del '66 vengono lanciate come forza d'urto le Guardie Rosse: debbono condurre la prima ondata di epurazioni e stabilire una occupazione permanente delle città. E' la fase più spettacolare della rivoluzione culturale. Protette dall'esercito, le Guardie Rosse arrestano i borghesi, devastano sedi di partito e musei, iniziano la caccia ai veri e falsi revisionisti. Sono milioni di giovani che si spostano attraverso la Cina, assoluti padroni del campo. In tutto il mondo nasce rapidamente il loro mito. 2) Alla fine dell'anno la tattica maoista cambia. Le Guardie Rosse, nella loro furia estremista, hanno provocato enormi disordini e paralizzato la produzione. La Cina sembra sull'orlo del collasso economico e l'opposizione riorganizza le file spostando il terreno di lotta nei centri industriali dove le posizioni di Liu Sciao-ci, capo dei sindacati, sono molto forti. Il gruppo di Mao risponde creando nelle fabbriche il movimento dei « ribelli rivoluzionari » che si oppongono alle rivendicazioni salariali e agli scioperi di protesta contro le Guardie Rosse. La rivoluzione culturale passa cosi dalle mani degli studenti a quelle degli operai maoisti, sempre con l'appoggio delle truppe di Lin Piao. Scoppiano incidenti gravi a Shanghai, a Nanchino e in Manciuria, nel gennaio e febbraio del '67. 3) In primavera la situazione diviene meno tesa e da Pechino partono ripetuti appelli di pacificazione. La rivoluzione culturale punta ora al controllo dei centri agricoli dove si infittiscono le sostituzioni dei funzionari legati all'ex segretario del partito Teng Hsiao-ping, nemico di Mao. E' un'operazione delicata e complessa, condotta soprattutto dall'esercito. 4) Rinnovato quasi dovunque il partito, la rivolu zione culturale inizia in estate l'attacco decisivo con tro Liu Sciao-oi. Le accuse si fanno scoperte e più violente, ma per la prima volta i generali delle armate dislocate in provincia si inseriscono nella lotta per il potere. Ha inizio l'epurazione dell'esercito: « non abba-' stanza politicizzato », lamentano ambiguamente ì giornali di Pechino Gli al tissimi comandane filosovie tici sono stati eliminati con un paziente lavoro di anni; ma i quadri militari non sembrano più compatti nell'appoggiare la fase conclusiva della rivoluzione: l'arresto e il processo pubblico dei « nemici di Mao ». E' soltanto dall'esercito che può nascere l'alternativa della rivoluzione culturale. Recenti, confuse notizie hanno affacciato improvvisamente l'incognita di un colpo militare, l'ipotesi di una guerra civile. E' una eventualità che può capovolgere le posizioni di forza. « Il potere è sulla punta dei fucili » dice Mao Tse-tung. Questa parola d'ordine è stata la chiave strategica della nuova rivoluzione, la vera arma dei successi contro i rivali di partito: ma se i fucili dell'esercito cambiassero bersaglio, non sarebbero i libretti delle Guardie Rosse a fermarli. Giorgio Fattori R US S I A Le zone tratteggiate indicano le province dove dilaga la rivolta contro Mao

Persone citate: Giorgio Fattori, Mao, Teng Hsiao-ping