De Gaulle nel luglio '64 propose ad Erhard il condominio franco-tedesco sull'Europa di Massimo Conti

De Gaulle nel luglio '64 propose ad Erhard il condominio franco-tedesco sull'Europa LA RIVELAZIONE IN UN'INTERVISTA AL NOSTRO INVIATO De Gaulle nel luglio '64 propose ad Erhard il condominio franco-tedesco sull'Europa « Se resteremo uniti, non dovremo più curarci dei piccoli paesi del continente », disse il generale - Erhard rifiutò, ed è convinto di aver fatto bene Allontanato nove mesi fa dal potere, non perdona nulla né ai socialdemocratici, né ai compagni di partito che lo abbandonarono - «La crisi economica fu montata ad arte», per rovesciarlo, ed ora gli affari non vanno meglio - Il governo di coalizione gli sembra pericoloso per la democrazia; la politica di apertura verso Oriente, dannosa o inutile - I tedeschi da soli non possono far nulla per l'unità - «La storia mi darà ragione», conclude (Dal nostro inviato speciale) Francoforte, agosto. Wisky di Scozia e sigari massicci attendono, come sempre, i visitatori del prof. Ludwig Erhard, il padre del « miracolo tedesco », l'uomo che per 18 anni ha guidato l'economia e la politica della Germania. Abbiamo appena cominciato a parlare (siamo in un albergo di Francoforte) e già il salotto è annebbiato dal fumo del suo sigaro. A 70 anni l'ex Cancelliere di Bonn mantie¬ ne le sue abitudini di sempre, senza rinunce o astinenze. La salute è eccellente, lo spirito morde, forse più di prima, l'esistenza è serena: il governo gli ha dato un milione di lire al mese di pensione e un poliziotto incaricato di assicurargli la tranquillità: per cinque anni, come prescrìvono i regolamenti. So che Erhard, da quando fu giubilato, non ha mai voluto pronunciarsi sulle sue vicende, né tanto meno si è fatto intervistare sull'argomento. Tento: « Signor professore — gli domando subito — perché lei fu costretto a lasciare la Cancelleria di Bonn nel novembre scorso? ». Erhard esplode: « I socialdemocratici erano affamati di potere. Dopo 17 anni di opposizione volevano andare, al governo, a tutti i costi. Io ero l'unico, grande ostacolo. Non c'era altra alternativa che la mia caduta. Ci sono riusciti. Eppure fui 10 nel 1965 a vincere le elezioni per la Cdu (la democrazia cristiana tedesca) » aggiunge con tono amaro, riflettendo sull'ingratitudine dei suoi amici dì partito. Ma la stasi dell'economia, i primi segni dell'inflazione, la crisi nella Ruhr:. non furono quelli i motivi che persuasero i democristiani a sostituire Erhard con Kìesinger, l'uomo che tollerava i socialisti al governo? «Niente affatto — replica Erhard —. L'economia tedesca, nonostante tutto, marciava, produzione e occupazione erano alte ». Si erano avvertiti, conviene, scompensi e contraccolpi. La congiuntura è fatta di alti e bassi, ed era scontato che al boom dovesse seguire una fase riflessiva. Perché prendersela con Erhard — chiedo —, cipè con l'uomo che aveva ricostruito la Germania dal nulla dandole un benessere senza precedenti in tutta la sua storia? Perché, dice, occorreva un pretesto. «La crisi economica fu montata ad arte. E ad arte venne creata attorno al mio governo un'atmosfera di bancarotta». Le origini del presente ristagno restano tutt'ora materia dì dibattiti in Germania, e i metodi per sanare la congiuntura suggeriti dai socialisti non sono ancora usciti dalla fase sperimentale. Erhard mi spiega che adesso le cose vanno peggio. Per. confutare la tesi è necessario che il governo faccia uscire l'economia dalle secche, il che non è ancora avvenuto. L'ex Cancelliere e ministro dell'Economia non esclude 11 rilancio; anzi, « non è pessimista ». Però se esso- seguirà, sarà'merito delVe. forze autoregolatrici del mercato. Per Erhard l'economia possiede risorse naturali che ne determinano la ripresa, al pari di un organismo vivente. Produzione e consumo sono l'istinto della società. Non crede, pertanto, che a stimolare la ripresa saranno gli espedienti dei socialdemocratici che pretendono di «guidare» l'economia. Il vecchio neoliberale formato dalla scuola di Oppenheim, scuote la testa: « Non si possono mescolare Keynes ed Einaudi. Anche se un pizzico di Keynes — ammette — talvolta non guasta». A nove mesi dal cambio della guardia alla Cancelleria, Erhard non riesce ancora a riconoscere i primi indizi dei promessi muta- mentì. Non è un progresso, intanto, che in Germania non esista più una opposizione consistente (il picce-: lo partito liberale è rimasto schiacciato fra i due colossi). Un paese come la Germania, ancora affascinato dal mito dell'autorità, ha bisogno d'una opposizione «viva», altrimenti va a finire che «l'opposizione si forma all'interno dei partiti col rischio di lotte intestine e fors'anche di scissioni ». Erhard parlandomi di «tensioni interne nei partiti », certamente vuole alludere alla fronda di Schroeder contro Kiesinger, nella democrazia cristiana. La Repubblica di Weimar, dilaniata dalle contese delle fazioni, dovrebbe servire di monito. Se questi, come dice Erhard, sono gli elementi negativi della sempre più difficile convivenza fra democristiani e socialisti (« ognuno dei due partiti confida, alla fine, di uscir vincitore», cioè di imporsi sull'altro), quali altri fattori o prospettive possono giustificare l'esperimento in corso? Neanche la nuova « Ostpolitik », la politica di aperture verso i paesi comunisti, rappresenta un fatto nuovo, nel giudizio dell'ex Cancelliere. Le missioni commerciali tedesche nei paesi dell'Est, preludio a normali rapporti diplomatici, furono una sua iniziativa, mi ricorda Erhard. E i suoi successori altro non avrebbero fatto che continuare l'opera già avviata. Erhard. lo sconfitto, non concede nulla ai suoi avversari: « Io non avrei mai firmato un accordo commerciale con la Cecoslovacchia che definisce il nostro paese Deutsche Bundesrepublik, (cioè Repubblica federale tedesca). Repubblica federale di Germania (« Bundesrepublik Deutschlands ») deve chiamarsi lo Stato di Bonn, rappresentando esso l'intero popolo tedesco ». I limiti della « Ostpolitik » tedesca, però, sono stati sempre chiari per Erliard: a E' inutile, mi ripete anche ora, tentare di ammansire Walter Ulbricht. Fin quando governerà il proconsole con il sostegno di 22 divisioni sovietiche le due Germanie resteranno estranee l'una all'altra. Da soli i tedeschi non riusciranno mai a sciogliere questi problemi più grandi di loro ». II gioco è complesso, per Erhard, fondato su rapporti di forza schiaccianti: la Russia, l'America... è una vi- | stone delle cose netta e definitiva, la sua, che tuttavìa adesso appare'': intaccata da forze e eventi nuovi. Erhard deve constatare che 'il gollismo ha una sua dinamica e un suo peso. Quando era Cancelliere, egli fece di tutto per rinsaldare le alleanze con gli Stati Uniti e con,la Gran Bretagna. Ma De Gaulle non gli dava tregua. A questo punto del lungo ragionamento mi accorgo che il mio interlocutore esita. Strappa boccate di fumo dal sigaro, la segretaria leva gli occhi verso di lui, sospesa. Poi Erhard mi dice queste testuali parole: «Nel luglio del 1964 De Gaulle venne da me con una proposta. Ricordo bene il suo discorso: "Se la Francia e la Germania resteranno unite, allora noi potremo governare sull'Europa. E non dovremo più curarci dei piccoli paesi del continente". Io rifiutai». Perché lei disse di no a De Gasale? «Perché io sono contro tutte le egemonie» spiega Erhard. Il generale, tuttavia, è pertinace nei suoi disegni, «ed anche oggi dà filo da torcere al governo di Bonn ». Le idee dei nuovi capi tedeschi, d'altra parte, non appaiono più definite come un tempo. L'orizzonte non è più limpido. Erhard resta convinto che i suoi tempi erano migliori: «La storia mi darà ragione». Massimo Conti L'ex cancelliere Erhard durante l'Intervista concessa al nostro inviato (Telefoto)