Nazional-socialista lo scrittore Péguy?

Nazional-socialista lo scrittore Péguy? UNA FIGURA ANCORA DISCUSSA Nazional-socialista lo scrittore Péguy? Attorno a Péguy l'interesse continua. In questi giorni giungono nelle librerie altri due libri dedicati allo scrittore. L'uno, quello di Jean Delapòrtc (Péguy dans son temps et dans le nótre, Paris, Plon, 1967, pp. 512) è una precisa c ben documentata agiografìa, che lo esalta come ispirato maestro del nostro . tempo. L'altro, quello di Hans A. Schmitt (Charles Péguy: The Decline of an Idcalist, Louisiana State University Press, 1967, pp. 211) si propone di dimostrare come Péguy rappresenti una notevole manifestazione letteraria di un nazional-socialismo europeo, i cui sviluppi francesi attendono di essere storicamente valutati. A chi dobbiamo credere? A quali commenti di un'opera ormai nota possiamo affidarci per conoscere la vera originalità di Péguy? Dirò, in primo luogo, dell'agiografìa. Non mi par dubbio che, dal 1873 al 1914, per oltre quarantanni, Péguy ha fornito con la sua vita eccezionale tutti gli elementi necessari al riconoscimento della sua santità. Nato povero, educato da una madre impagliatricc di sedie, l'allievo precoce giunge a Parigi già aureolato dalla fama della sua intelligenza. Con entusiasmo e con disciplina conquista prò? fessori e compagni. Per la sua originalità un anno è promosso, per la sua indipendenza Un altro anno è bocciato. Attratto dalla filosofìa e dal socialismo, il giovane cerca tenacemente la sua strada e per anni s'illude di essere destinato alla carriera universitaria. Ma lo bocciano nuovamente all'esame di abilitazione e, da quel momento, il migliore discepolo di Bergson diventa il nemico dichiarato della Sorbona. Isolato sul piano universitario, presto Péguy viene isolato anche sul piano politico. Proprietario di una libreria, diffonde il suo socialismo, ma non sa vendere i libri. Tuttavia, non tanto nuoce allo scrittore la sua incapacità commerciale, quanto la sua indipendenza ideologica. Già allora Leon Blum giudica che Péguy è venuto o troppo presto o troppo tardi. Certo è che, in quegli anni, il convinto « Dreyfusard » si attira l'inimicizia di Lucien Herr, l'opposizione di Jaurès, lo sdegno dei compagni di Orléans che denunziano la sua incapacità di riconoscersi ridicolo. Sempre più solo, Péguy non sa come nutrire moglie e figli, ma trova il denaro per avviare la spericolata impresa dei Cahiers de la Quìnzaine. Fondati negli anni in cui la Francia realizza finalmente le sue aspirazioni repubblicane, i Cahiers partecipano alla lotta tra clericali e anticlericali per il controllo delle scuole confessionali; sviluppano e diffondono gli argomenti difesi dai riformatori sociali contro i conservatori; fino al 1905 esitano fra gli apostoli della pace e i fautori della guerra cedendo, poi, a questi ultimi. Anche più coscientemente, contro i difensori del progresso la rivista appoggia i denigratori della civiltà moderna che, in nome di una tradizione cristiana, denunziano la decadenza morale del mondo materialista. Sempre in prima fila, Péguy abbraccia tutte le cause difficili, si dichiara fedele al Cristianesimo, ignora il conformismo, sdegna il compromesso clericale, combatte a destra e a sinistra senza curare la propria popolarità. E' in prima fila anche alla battaglia della Marna. Mentre guida all'assalto i suoi soldati muore a Villeroy il 5 settembre 1914, tredici giorni dopo Ernest Psichari, sedici giorni prima di Alain Fournier. Péguy muore come aveva sempre desiderato: sulla strada,- al sole, di fronte a Dio. La morte conclude una vita votata al sacrificio della propria persona, tesa alla scoperta di una vocazione. Ben valutando questi ed altri non meno significativi gesti, il Delaporte riprende la tesi, - sostenuta la prima volta dai fratelli Tharaud (Notre cher Péguy, 1926), acutamente sviluppata da B. Guyon (1960), riaffermata ancora nel '65 da Marioric Villiers. Péguy, tanto nelle sue polemiche politiche come nelle sue discussioni religiose, sia negli anni del suo disciplinato socialismo come nel periodo della conversione al Cristianesimo, nella difesa di Dreyfus contro i poteri costituiti o di Bergson condannato dalla Curia romana, sempre come pacifista o come nazionalista lo scrittore difende le cause che abbraccia con la più assoluta integrità morale. Per questi studiosi, l'integrità di Péguy sintetizza l'insegnamento di una opera letta la quale, secondo Romain Rolland, tutto il resto diventa insipida letteratura. La tesi di Hans Schmitt è più nuova. Lo storico non accetta affatto la tradizionale difesa dell'integrità morale di Péguy. Nel socialista, troppo presto diventato avversario di Jaurès, egli denuncia il lento processo di un chiaro declino intellettuale e questo declino illustra con i seguenti fatti concreti. La fedeltà agli ideali della giovinezza che Péguy avrebbe approfondito nell'età matura, per buona parte è un'invenzione dei Tharaud che miticizzarono il periodo trascorso dallo scrittore al collegio Sainte-Barbe. Nella commozione della morte, non a caso sfruttata da Barrès e da Maurras, gli amici abbondarono in ricordi. Tutti i compagni di scuola si vantarono di aver imprestato a Péguy almeno un pennino. Sull'onda della nostalgia, i Tharaud ricostruirono tutto di memoria e persino Édouard Herriot inventò di aver fatto assegnare una borsa di studio al condiscepolo. Fra tanti errori di fatto, l'eroismo del soldato coprì la evoluzione reale del pensatore. Il quale, se nel mondo parigino dei suoi anni volle essere un isolato, nella realtà storica partecipò a quel trionfo degli opposti nazionalismi europei per i quali la prima guerra mondiale fu soltanto l'inizio della tragedia futura. La macchia nera che condiziona una vita è il comportamento di Péguy contro Jaurès. Per fedeltà a se stesso, il moralista non poteva compiacere all'uomo politico. Al momento della crisi di Tangeri del 1905, le accuse si fecero violente e, da allora, il capo socialista fu sempre denunziato nei Cahiers come un «traditore» che non voleva fare la guerra alla Germania. L'attacco ostinato e quasi astioso si concluse nel '14 quando in Notre Jennesse lo scrittore non esitò a chiedere per Jaurès la pena di morte. Prima, vittima di una tragica estate, Jaurès' non fu condannato a morte, ma assassinato. In tasca gli trovarono l'ultimo scritto di Péguy. Alla luce degli avvenimenti successivi, Hans Schmitt non esita a condannare Péguy come l'emulo del tedesco Moeller van den Bruck e dell'italiano Corradini. E, certo, sul piano politico, il socialismo romantico di Péguy fu un'utopia e il suo impegno nazionalistico il prologo della tragedia. Tuttavia, denunziata la passione politica, non credo possibile risolvere in essa tutta la personalità di Péguy. Riscatta l'uomo una vocazione poetica che, fiduciosa della missione storica della Francia — gesta Dei per Francos — da questa seppe trarre una nuova ispirazione. So molto bene quanto, fuori di Francia, sia difficile comprendere questa ispirazione. Ma nessuno s'illuda di valutare una civiltà ricca della storia di dieci secoli senza penetrare le ragioni che hanno fatto di Péguy l'ultimo poeta di un mito che in Carlo Magno, in Giovanna d'Arco, in Luigi XIV e in Napoleone ha trovato le sue più alte espressioni. Péguy voleva essere un professore di storia in Sorbona. In realtà, attraverso una lotta politica sovente ingenerosa, trovò la sua vocazione di poeta. L'ultimo poeta epico francese percorse la propria strada in modo tanto singolare e unico che, per uscire dalla solitudine e ritornare fra gli uomini, dovette cercare la morte. Franco Simone

Luoghi citati: B. Guyon, Francia, Germania, Louisiana, Parigi, Péguy, Tangeri