De Gaulle conferma tutta la sua politica di Sandro Volta

De Gaulle conferma tutta la sua politica DELUSIONE A PARIGI PER IL DISCORSO De Gaulle conferma tutta la sua politica Ribadita l'opposizione agli inglesi nel Mec e all'egemonia americana sull'Occidente - Nel Vietnam e nel Medio Oriente "abbiamo assunto una posizione francese" - Solo un cenno al viaggio in Canada - Rispondendo ai critici, ha detto: "Tireremo diritto" (Dal nostro corrispondente) Parigi, 10 agosto. Le dichiarazioni sensazionali che molti aspettavano dal discorso che il generale De Gaulle ha trasmesso stasera attraverso la radio e la televisione non ci sono state. Tenuto conto della suspense che era stata creata scegliendo l'insolita data a pochi giorni dal Ferragosto, ossia durante la tradizionale vacanza politica, con l'annuncio dato dal Generale in uniforme su una nave da guerra mentre navigava verso il Canada, non si può tacere che le sue parole di stasera hanno deluso l'opinione pubblica. De Gaulle ha ripetuto infatti cose che aveva già affermato moltissime volte, senza portarvi il più piccolo elemento nuovo: si è trattato d'una specie di riassunto della sua ideologia, esposto in un'ammirevole sintesi, ma niente di più. «Di tanto in tanto — ha detto egli stesso all'inizio dell'allocuzione — è opportuna una visione d'insieme di ciò che può avvenire nel nostro paese». E a questo impegno si è attenuto fino alla fine del discorso, che è durato soltanto venti minuti. Il primo obbiettivo della sua politica ha detto che è la pace, dalla quale dipende tutto il resto. Per De Gaulle la pace non è assicurata dalle dichiarazioni, dalle proclamazioni tipo « guerra alla guerra », che hanno dominato gli ultimi cinquanta anni di storia europea, durante i quali, oltre a due conflitti mondiali di un'estensione senza precedenti, non si è mai cessato di guerreggiare in Africa, in Oriente e in Asia. La pace, secondo De Gaulle, richiede «all'estero, una azione energica e continua; all'interno, la preparazione di mezzi di difesa appropriati alla loro epoca». Partendo da questa concezione, il Generale ha affermato che « dietro lo stato d'un mondo sconvolto e pericoloso, tenuto conto delle capacità inaudite di distruzione delle armi nucleari, niente, assolutamente niente, importa tanto quanto rifare, grazie alla pace, la nostra sostanza, la nostra influenza e la nostra potenza». Nel concetto di pace, egli ha innestato cosi quello di grandeur, in uno strano miscuglio di pacifismo e di nazionalismo che lo ha portato a dichiarare: «Per quanto possa essere potente l'attrazione dell'America per gli eu ropei, noi lavoriamo a determinare la comunità dei Sei a diventare, per parte propria e per proprio conto, una realtà politica e, perciò, un elemento essenziale d'un equilibrio pacifico nel mondo ». Non ha detto però in che senso egli lavori per creare la realtà politica europea e, avendo poco dopo affermato di opporsi «allo sconvolgi mento che porterebbe l'ingresso della Gran Bretagna nella Comunità europea », non ha eliminato il sospet to di intendere quella « realtà politica» come afferma- dell'egemonia francese sui cinque associati. Tanto più che non è una realtà rivolta allo sviluppo della solidarietà internazionale che egli intende, ma a conquistare alla Francia un'indipendenza intesa nel senso più strettamente nazionalista. «Affinché la Francia abbia presa sulla pace — ha detto — per ciò che concerne essa stessa e, in quanto possibile, per ciò che concerne gli altri, le occorre l'indipendenza ». Quale indipendenza? «Ri¬ tirandosi dalla Nato, la Francia, per parte sua, si è disimpegnata dalla soggezione all'America. Così non si troverà trascinata, eventualmente, in nessun contrasto che non sia il suo e in nessuna azione di guerra che non abbia voluto. Essa può così, in un mondo che molti abusi vecchi e nuovi tengono in effervescenza, sostenere, seguendo la sua vocazione, il diritto di ogni popolo a disporre di se stesso ». Ma per mantenere l'indipendenza e far valere la propria personalità non basta alla Francia di avere una politica e un esercito propri; lo spirito e il movimento della nostra epoca le impongono di compiere uno sviluppo moderno, e a questo proposito il Generale non ha mancato di rivolgere i soliti attacchi a «ciò che bisogna ben chiamare la scuola della rinuncia nazionale ». Ha parlato poi delle realizzazioni compiute dal suo governo nel campo economico, sociale e finanziario; ha detto che « rompendo un conformismo assurdo e antiquato, la Francia ha preso una posizione propriamente francese sulla guerra dei Vietnam, sul conflitto del Medio Oriente e sulla costruzione di un'Europa che sia europea »; Ina, dedicato all'incidente canadese soltanto un inciso insignificante, e ha concluso che « la Francia, abbandonando il sistema dei blocchi, ha dato forse il segnale di un'evoluzione generale verso la distensione internazionale e, perciò, appare ai devoti dell'obbedienza atlantica, condannata a ciò che essi chiamano l'isolamento, mentre, nell'universo, una massa umana immensa la approva e le rende giustizia ». Poi, con un riferimento letterario al Mefistofele di Goethe, ha concluso: « Ascoltando il consiglio di Mefistofele, lo sfortunato Faust andò da una disgrazia all'altra fino alla dannazione finale. Francesi, noi non faremo lo stesso. Mettendo da parte il dubbio, questo demone di ogni decadenza, noi tireremo diritto». Sandro Volta

Persone citate: De Gaulle, Faust, Goethe