Le società moderne non vogliono «eretici» di Remo Cantoni

Le società moderne non vogliono «eretici» Le società moderne non vogliono «eretici» Conflitti e tensioni sociali non sono un aspetto patologico o disgregatore della vita comunitaria, svolgono anzi una loro influenza normale e indispensabile per la vitalità dei gruppi e la dinamica complessiva della società. Consenso e conflitto, equilibrio e lotta sono funzioni o requisiti necessari che non possono mai venir meno nei processi sociali. Questa la tesi di fondo che Lewis A. Coser, sociologo assai noto della Brandeis University nel Massachusetts, svolge con acutezza nel suo bel volume Le funzioni del conflitto sociale (Feltrinelli, 1967). Il conflitto sociale, diversamente da quanto affermano i teorici dell'equilibrio, affascinati dal modello dell'armonia c dell'integrazione nelle relazioni interpersonali, non è un fattore solo negativo o dissolvente nel sistema sociale: sostiene Coser, in polemica esplicita con l'atteggiamento oggi prevalente nella sociologia americana. Quest'ultima, capeggiata da figure di rilievo come Talcott Parsons, George A. Lundberg o Elton Mayo, concentra la propria attenzione sui problemi dell'adattamento, della coesione, dell'ordine e diviene, consapevolmente o inconsapevolmente, uno strumento di sostegno dello « status quo ». I teorici dell'equilibrio — sostengono i loro avversari come Coser, il tedesco Ralph Dahrendorf o lo scomparso C. Wright Mills — trascurano il conflitto perché sono conservatori, perché guardano la realtà con occhiali rosa che la deformano invece di metterla a fuoco, perché sono guardiani dell'ordine costituito e vogliono salvaguardare le strutture sociali esistenti. Mentre la vecchia generazione dei sociologi americani era costituita da pionieri e riformisti come Ward, Small, Ross, Veblen, Cooley, la « nuova generazione > (afferma Coser) non vuole in alcun modo trasformare le strutture sociali, bensì adattare gli individui alle strutture che già esistono. La vecchia generazione vedeva nel conflitto il fermento e il tonico del mutamento sociale; la nuova generazione, ormai agganciata al potere, vede nel conflitto una specie di malattia sociale, un morbo «endemico » che svolge una funzione corrosiva e dissociativa destinata a sconvolgere il normale stato di equilibrio del sistema sociale. Nel mondo di ieri i ribelli, gli eretici, i non-conformisti venivano considerati pionieri di un mondo nuovo. Nel mondo di oggi l'aureola romantica che avvolgeva i dissenzienti o i suscitatori di conflitti è caduta. Nonostante la presenza di alcuni gruppi giovanili che si identificano con la protesta chiassosa e vistosa e teorizzano alquanto vagamente il dissenso e il rifiuto, la tendenza dominante nelle società moderne è quella di considerare tradimento, insubordinazione o eversione ogni apostasia dall'ordine costituito, ogni rifiuto di allinearsi con i detentori del potere, ogni trasgressione delle norme vigenti II conformismo di ogni colore intensifica oggi la sua pressione, stringe le sue ma glie e dispone di strumenti sempre più potenti per imporsi. Chi non si integra, chi dissente in forme non previste e accettabili per il siste ma, è perduto o rimane, nella migliore delle ipotesi, un per sonaggio marginale. Le onnipotenti comunicazioni di mas sa si incaricano quotidianamente di richiamare all'ordì ne il dissenziente; gli prescrivono, con una persuasione più o meno occulta, le ricette di comportamento e i modi consentiti per sfogare le cariche conflittuali. La tensione conflittuale può placarsi, ad esempio, nelle competizioni sportive che ricreano le fazioni e l'agonismo, oppure nella partecipazione al culto della violenza celebrato su larga scala negli spettacoli o, ancora, nella fabbricazione programmata di capri espiatori, bersagli dell'odio pubblico su cui sfogare una aggressività accumulata e repressa Lewis A. Coser è nato a Berlino nel 1913 e ha lasciato l'Europa nel 1941 dopo avere studiato alla Sorbona. I suoi ri tono Georg Simmel, il geniale filosofo tedesco morto nel 1918 e autore di una Sociologia che resta ancor oggi un testo classico; sono Siegmund Freud e Max Weber. Ma sono anche, paradossalmente, gli stessi sociologi americani funzionalisti contro i quali Coser conduce una polemica interna. Egli riprende alcune fra le tesi più caratteristiche di Simmel, le arricchisce con gli insegnamenti della psicoanalisi e le ritrascrive nel linguaggio moderno della scuola sociologica « funzionalistica ». Così riformulate, le tesi simmeliane sulla fecondità del conflitto sociale, mantenuto peraltro entro limiti istituzionali, non vengono già contrapposte ai postulati della scuola funzionalista e strutturalista, bensì inserite nelle teorie stesse di quella scuola e chiamate a svolgervi un'azione di stimolo e rinnovamento. Il conflitto tra gli uomini, i loro interessi, le aspirazioni, i valori e le idee in antagonismo, sostiene Coser, purifica l'aria, elimina il cumulo pericoloso delle tendenze conflittuali represse e consente, nelle società pluralistiche e flessibili, una libera espressione. « Un cielo così tempestoso non si rasserena senza un temporale > ripete Simmel con lo shakespeariano Re Giovanni. Il conflitto ha, cioè, una funzione liberatrice per gli individui e i gruppi e può favorire e incrementare la coesione sociale. Esso è una buona « valvola di sicurezza » per evitare le esplosioni distruttive del sistema sociale. Ciò che l'ottimismo di Simmel non poteva prevedere nei primi anni del Novecento è un fenomeno patologico messo in luce da Freud e tristemente confermato nella psicologia individuale e collettiva. Le tendenze conflittuali, sempre presentì nella struttura psichica, possono scaricarsi nelle direzioni più impensate, anche sostituendo gli obiettivi reali del conflitto con oggetti irreali. Se non esiste o non si individua l'antagonista reale, se le normali vie di deflusso dello spirito conflittuale sono inibite e represse, come avviene nelle educazioni autoritarie e nelle società a struttura rigida, un nemico fittizio può fungere da capro espiatorio e venire eretto in bersaglio alternativo o di comodo. Ad esempio l'antisemitismo, la xenofobia, i presunti « nemici del popolo », gli invisibili « cospiratori » o i troppo visibili negri, i « sovversivi » o i « controrivoluzionari » fungono spesso, nelle società pri- j ve di flessibilità, come capri espiatori, come valvole di sicurezza che la ragion di Stato escogita per convogliare e dirottare altrove cariche represse di aggressività e di frustrazione che metterebbero in pericolo l'equilibrio del sistema sociale. L'analisi funzionale del conflitto non va dunque confusa con la ingenua e non scienti CORRENTI DELLA SOCIOLOGIA AMERICANA fica apologia di ogni conflitto. Vedere nel conflitto la fonte della vita, come fecero in passato Eraclito, Hegel o Marx, c una tesi vera solo parzialmente, perché alcuni conflitti non alimentano ma distruggono la fonte stessa della vita. Una idealizzazione indiscriminata del conflitto non è più possibile nell'era atomica e dopo le esperienze dell'esasperazione conflittuale che sfocia nello sterminio e nel genocidio. Ma ricorrere, nell'analisi della realtà sociale, a un modello conflittuale non significa difendere il massacro. Vuol dire piuttosto accertare la presenza nell'uomo di tendenze conflittuali e trovare per esse canali civili e socialmente utili di scarico. Significa, scientificamente, invitare i teorici dell'equilibrio a prender atto dell'importanza e del significato dei conflitti senza minimizzarli o considerarli patologici. La realtà non è idillio o mutuo consenso, è anche lotta e tensione. I due modelli dell'equilibrio e del conflitto sono entrambi validi, sono anzi complementari. Senza equilibrio o consenso la vita precipita nel caos e diviene incontrollabile. Senza conflitto la vita ristagna ed è impensabile. Remo Cantoni

Luoghi citati: Berlino, Europa, Massachusetts