Lo Stato è lento a pagare di Ferdinando Di Fenizio
Lo Stato è lento a pagare la cifra dei « residui passivi » continua a salire Lo Stato è lento a pagare Il bilancio 1967 ha ereditato 4000 miliardi di spese non effettuate negli anni precedenti, per svariati motivi: in primo luògo, lungaggini burocratiche e parlamentari L'approvazione del Rendiconto generale dello Stato, per l'esercizio 1966, concede un nuovo dato al problema dei residui passivi. Tema molte volte discusso, anche in sede parlamentare e per il quale fu creato, mesi fa, uno speciale gruppo di lavoro in seno alla Commissione della spesa pubblica. Ritornano così vecchie questioni. Per qual motivo, non soltanto i residui passivi sono così elevati, ma tendono ancora ad aumentare? Si può fare qualcosa, per rendere il loro totale più omogeneo, al fine di giungere a caute generalizzazioni? Ma soprattutto, quali provvedimenti si potrebbe. ro adottare, al fine di frenare la dinamica ascendente di questo totale? Una domanda, quest'ultima, che presuppone il concludersi di una precedente analisi, di carattere causale. Innanzi tutto, eccoci al concetto generale di «residuo » pel bilancio. Il nostro Paese, come sappiamo, ha adottato un bilancio statale di competenza. Quanto a dire, che accoglie previsioni di entrate e di spese che « competono » ad un determinato esercizio e che, dopo la legge Curti, riguardano un certo anno solare. Può darsi ora che una data entrata, per tributi, che avrebbe dovuto essere effettuata in un certo periodo, non si realizzi, perché non si riesce, ad esempio, a rintracciare il debitore. Come può anche darsi che certe spese (ad esempio, per stipendi al personale statale) che dovrebbero effettuarsi in un certo periodo, non possano essere liquidate e pagate in quel tratto di tempo. Ad esempio, perché il gioco dei documenti non è ancora completo e la Corte dei Conti non ha ancora dato il suo benestare. Ebbene, in questi casi sorgono residui di entrata e di spesa. Sono partite che si iscrivono nel Rendiconto generale, a fine esercizio; e si registrano nei corrispondenti capitoli, nel bilancio del nuovo esercizio. Ma sono tenute separate dalle registrazioni normali, di competenza. Di esse si dice che riguardano i « residui » degli esercizi precedenti. La gestione normale si affianca così ad una gestione residui. Ambedue influiscono sulla gestione di cassa della Tesoreria, in unione alle «gestioni speciali », eccetera. * * In qual misura però giocano quelle due gestioni, sui pagamenti correnti? Possiamo rispondere grossolanamente, con quattro cifre, proprio pubblicate in questi giorni. L'esercizio 1967 si iniziò con provisioni di entrate per 7786 miliardi di lire. I residui attivi, a fine '66 — assicura la Corte dei Conti nel suo processo di parificazione — sono pari a 1665 miliardi. Lo stesso esercizio, a suo tempo, si iniziò con previsioni di competenza per 8950 miliardi. I residui passivi, che si affiancano a quelle spese, sono a fine 1966, pari a 4080 miliardi. Non c'è che dire, una bella cifra. Per di più, che tende a crescere seppure, di recente, più a rilento. Al concludersi del secondo semestre del '64, entrando in vigore la legge Curti, i residui passivi erano pari a 3415 miliardi di lire. A fine 1965, erano globalmente saliti a 3771 miliardi di lire. Il dato ultimo, a fine '66, si esprime, come abbiamo visto, in 4080 miliardi. Volgendo la propria attenzione ai residui passivi di bilancio si ha, dunque, più di una ragione plausi bile. * * Perché si accumulano i residui, specie passivi? Per una folla di motivi disparati. In alcuni casi per cause di carattere meramente contabile; per la sistemazione obbligatoria — ad esempio — dei rapporti attivi e passivi che uniscono la gestione statale e le gestioni re¬ gionali. Si può pertanto provvedere a « depurare » il totale generale da queste partite, scarsamente significative. In altri casi, poi, non ci si trova di fronte a veri e propri residui, quanto a dire ad impegni di spesa che abbiano dato luogo a veri accantonamenti. Si hanno di fronte solo « stanziamenti» in bilancio, da utilizzare in futuro per certi fini. Il processo di riduzione del totale (4000 miliardi) che apporta una diminuzione di circa 300 miliardi per il gioco delle scritture contabili, ne apporta una seconda di circa 1000 miliardi, se si decide di eliminare dai computi i residui di stanziamento. Resta comunque, anche a fine '66, una cifra globale di circa 2700 miliardi che non può essere ulteriormente ridotta. Ed è su di essa che conviene ragionare. La ricerca, ora, conviene si rivolga ai fattori causali dei residui passivi, veri e propri. Al solito, procediamo enumerando. Frimo fattore, l'abituale lentezza dei «centri di spesa» appartenenti alla Pubblica Amministrazione, in Italia. Quella lentezza, tuttavia, non è dovuta soltanto a comportamenti burocratici; ma anche ad una legislazione poco efficiente e moderna. Secondo elemento: le mutazioni di recente intervenute nei compiti, anche economici, affidati alle Amministrazioni dello Stato.; Impegni di spesa per. lavori pubblici, ad esempio, riguardano erogazioni che si debbono distribuire, quanto meno, lungo un intiero triennio. Il permanere di scritturazioni nei conti dello Stato, per altrettanto tempo, è allora inevitabile. Terzo elemento infine; e non di secondaria importanza: le conseguenze di certe procedure parlamentari, sulle scritturazioni di bilancio. Quando, per esempio, certe spese sono approvate dalle Camere a fine esercizio, il tempo per realizzarle manca; e si generano residui. Come apporta residui, d'altro canto, la non tempestiva approvazione del bilancio preventivo e l'inizio dell'«esercizio provvisorio » che dà luogo a spese effettuate soltanto «per dodicesimi », ritardando lavori anche cospicui. * * Da ciò, una conseguenza. Lo studio approfondito dei residui non giova soltanto ad eliminare una opinione infondata. Che i residui siano la maliziosa conseguenza di un certo comporta¬ mento del Tesoro, desideroso di una politica finanziaria restrittiva. Ma indica altresì i mezzi attraverso i quali, se mai, i residui potrebbero essere limitati, in futuro. Qualche acconcia modificazione a talune prassi parlamentari, nel campo finanziario; la revisione delle norme istituzionali, in fatto di controlli sulle spese; la riforma burocratica, che generi nuovi comportamenti negli uffici pubblici; da ultimo l'abbandono — per quanto riguarda la finanza statale — del «bilancio di competenza», per adottare invece un bilancio di cassa. Il quale, per sua natura, non desta il sorgere di residui. Tuttavia, questa grossa innovazione — che interessa anche la programmazione — non apporta soltanto vantaggi. Ma può recare altresì svantaggi, in ispecie ad una collettività, come la nostra, facile agli entusiasmi finanziari, non sufficientemente vagliati col metro delle possibilità concrete. Saremmo propensi pertanto a non adottare nessuna misura precipitosa. Si dovrebbe invece eliminare, nel frattempo, il mitico alone che circonda il totale dei residui passivi. Ferdinando di Fenizio
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