Trieste e la politica internazionale negli anni amari del dopoguerra

Trieste e la politica internazionale negli anni amari del dopoguerra Un problema prima sentimentale e poi diplomatico Trieste e la politica internazionale negli anni amari del dopoguerra Un professore francese, G. B. Duroselle, ha ricostruito molto bene la questione triestina dal 1943 al 1954 - Ma è difficile, per uno straniero, capirne gli aspetti «risorgimentali» - Lo studio riconosce solo in parte i meriti di De Gasperi - Sottile politico, con un caldo senso umano, non temporeggiava per immobilismo: attendeva l'occasione migliore per un buon accordo Può essere interessante, per tutto il pubblico colto, un libro di G. B. Duroselle, titolare alla Sorbona, edito dalla Fondazione Carnegie, che tratta degli sviluppi politici della questione triestina dal 1943 al 1954, anno in cui Trieste ritornò all'Italia. L'interesse può derivare anche dal fatto che le vecchie generazioni del nostro paese hanno sempre in fondo al loro cuore quella città, per cui tanti morirono durante la prima guerra mondiale. Dopo il secondo conflitto sorse un'acutissima tensione nelle relazioni italo-jugoslave: forze armate d'ambedue le nazioni furono spostate al confine; morti e feriti si ebbero nei tumulti avvenuti nel capoluogo giuliano; peggioramenti temporanei si verificarono, perfino, negli stessi rapporti tra l'Italia ed i suoi alleati occidentali. Nel fortunato clima delle odierne eccellenti relazioni tra la nostra repubblica e la Jugoslavia, con l'animo disteso dai molti anni di tranquillità, la visione del problema appare ora sotto luce non più drammatica, anche a coIoto che sostennero, come chi scrive, una parte molto attiva in quel lontano periodo. Il volume del professore alla Sorbona — che costituisce un'opera veramente egregia e di grande valore storico — non può, però, andare esente da qualche, critica da parte italiana e, probabilmente, rilievi saranno prodotti anche dall'opposta sponda. Dev'essere stato certamente diffìcile, per uno storico, il cercar d'obbiettivare una situazione che fu, per la sua parte maggiore, frutto di., sentimenti. ,e di emozioni e, perciò,, tipicamente subbiettiva. Il mondo internazionale non direttamente interessato al problema sosteneva, infatti, allora, di non comprendere perché Italia e Jugoslavia si contendessero con tanta tenacia « un fazzoletto di terra ». Quel mondo non riusciva a capire che la lotta per Trieste, dal 1943 al 1954, era l'ultimo atto del nostro Risorgimento e si svolgeva in un clima di patriottismo assolutamente puro (scevro, cioè, da ogni considerazione economica o, talvolta, anche logica), di pathos, dia carboneria», uguale a quello che aveva dato vita ai movimenti del secolo scorso. Per la Jugoslavia si trattava di ottenere uno sbocco al mare per la Slovenia; il problema riguardava la progressiva affermazione della coscienza nazionale, vecchia di un solo secolo, ed il desiderio di riunire, in un solo Stato, gli-sloveni, ovunque essi abitassero, essendo maggioranza, o minoranza. Perciò, quando il Duroselle mette a confronto i documenti italiani e jugoslavi di quel periodo, senza trarne conclusioni, non aiuta certamente a capire la situazione; perohé quei documenti sono politici e non storici, in quanto ambedue i contendenti non potevano essere obbiettivi. Altre volte la non rara omissione di qualche importante particolare, o l'attribuzione ipotetica di un'opinione all'uno o all'altro protagonista, costituiscono pennellate che cambiano la pittura della realtà vera. Dalla massa dei molti personaggi che agirono sulla movimentata scena si elevano due grandi statisti: De Gasperi e Tito. Ma, forse, e l'una e l'altra figura non risultano ben. delineate. Non appare, dal libro di Duroselle, il fatto ch'essi giocarono tra loro — come usava dire Churchill — una difficile partita a scacchi, in cui ogni mossa era perfettamente e preventivamente calcolata. Talvolta sembra, invece, che Tito fosse un incontrollato impulsivo e De Gasperi un ostinato sentimentale. Tra 1 grandi protagonisti di quella che, per molti profughi, fu una vera tragedia, De Gasperi solo seppe unire il calcolo politicò ad un grande senso di umanità e di responsabilità nei riguardi di coloro che furono le vittime del travagliato pe¬ riodo. Egli seppe equilibrare la comprensione del dramma degli esuli con le esigenze della ragion di Stato. Il Duroselle si domanda perché il vecchio presidente non avesse accettato, quasi con ostinazione, di spartire il territorio, secondo la situazione di fatto allora esistente, mentre altri, successivamente, subito aderirono a tale concetto pensando, forse, di avere conseguito un successo di portata addirittura storica. Chi ha conosciuto la politica di De Gasperi, potendola vedere dall'interno e non solo dall'esterno, sa benissimo che egli, da anni, conosceva perfettamente la realizzabilità dell' accordo italo-jugoslavo di spartizione, che i comunisti ed i fascisti chiamavano «l'infame baratto», ma che pure una certa parte sana dell'opinione pubblica deprecava. Per De Gasperi la spartizione secondo lo statu quo significava altri profughi, altri umani dolori ch'egli si sforzava di risparmiare. Ma lo statista italiano, anche per quanto riguarda la politica pura, non ignorava che smuovere un problema internazionale, quando si hanno ben poche carte in mano, significa risolverlo a proprio danno; perciò egli parve un immobilista, mentre era soltanto un temporeggiatore. Ed il tempo, infatti, po¬ co dopo la soluzione della questione triestina, gli diede ragione. Nei primi mesi del 1955 Kruscev si recò a Belgrado e gli americani tagliarono gli aiuti alla Jugoslavia. Era questa od altra simile l'occasione che De Gasperi aveva a lungo aspettata, per smuovere, con probabilità di successo, l'impasse di Trieste. Forse occorrerebbe che qualcuno, ad integrazione dell'opera preziosa del Duroselle, spiegasse meglio i fondamenti della politica di De Gasperi, che non era un sentimentale, ma un vero statista dotato, però, anche d'un senso di profonda umanità. Diego de Castro