Le speranze dell'Algeria di Giovanni Giovannini

Le speranze dell'Algeria LA GUERRA NON È COSTATA NULLA ALLO STATO Plt ESTREMISTA Le speranze dell'Algeria Malgrado la forsennata propaganda, Algeri è tranquilla e piena di vita - Forse Boumedienne, un militare valoroso, pensa soprattutto a raccogliere aiuti da tutte le parti per migliorare le condizioni del paese - Uscito con tremende devastazioni dalla vittoriosa rivolta antifrancese, ha ancora molta miseria, due milioni di cittadini su tredici quasi senza lavoro, il 70 96 di analfabeti - Le centinaia di miliardi ricevuti da Parigi, da Mosca, dall'Oriente e dall'Occidente consentono di superare questi anni difficili - Per il futuro può contare sui minerali, sul petrolio e sul gas, che vorrebbe vendere anche all'Italia (Dal nostro inviato speciale) Algeri, agosto. Al convegno dei ministri degli Esteri arabi a Kartum ha prevalso, si dice, la moderazione: forse sarebbe più esatto notare che ha cominciato ad imporsi un'ombra di realismo. Una cosa è la demagogica propaganda, un'altra la crudezza dei fatti. Alle tesi degli estremisti f« avventuristi», come li chiama, ammonendoli. Mosca stessaj si oppone la volontà delle grandi potenze, la forza militare degli avversari, la divisione interna del mondo arabo. E, passata l'ondata di frenesia militaresca, i tredici popoli ed i loro governanti si ritrovano alle prese con tutti i loro quotidia- ni problemi economici, acuiti dall'amara sconfitta. Ad Algeri la situazione sembra migliore: non c'è da rassegnarsi a riprendere le esportazioni di petrolio (sempre regolarmente assorbito dalla Francia) verso l'ostile Occidente, o a sistemare masse di profughi affamati o a riaprire canali. La « città bianca ». calcinata dal sole a specchio di un mare che sembra rame fuso, appare tranquilla e piena di vita: sotto gli striscioni che ricordano come « la guerra continui », la folla gremisce pigramente caffè, ristoranti, spiagge. E' ancora la più europea delle capitali arabe, e solo a conoscere la grande periferia, ad addentrarsi nell'interno, ci si ricorda che siamo in un paese ancora prostrato da sette anni di rivoluzione, vittoriosa ma pagata con un milione di morti. L'Algeria, dice qualcuno, non vivrebbe senza l'aiuto militare dell'Unione Sovietica e quello civile della Francia, ed è un giudizio grossolano ma non infondato. Quale sia il valore del materiale bellico ieri come oggi fornito dai russi, è impossibile calcolare: ed anche l'entità dell'appoggio economico di Parigi non è nota con precisione. Si sa che, a fondo perduto o in prestiti a lunga scadenza e basso tasso di interesse, Parigi ha doto al nuovo Stato trecento miliardi di lire dal 1963 al '66, ed altri centoventicinque si è impegnata a versarne entro il 1970. A queste cifre sono, però, da aggiungere altre molto cospicue per gli stipendi dei trentamila « cooperatori » (specie insegnanti) francesi in Algeria, per borse di studio, missioni, rimborsi di vario tipo. Ma soprattutto Parigi provvede a finanziare direttamente — e qui il segreto è assoluto — le falle del bilancio algerino. I rappresentanti gollisti, che assumono volentieri un atteggiamento fra il diplomatico ed il funzionario di prefettura, ammettono compiaciuti che « finanziariamente parlando, la pace di oggi non costa alla Francia molto meno della guerra di ieri ». E' un sacrificio che rende (non solo in petrolio): sotto le schermaglie diplomatiche, la simpatia, l'ammirazione, l'amicizia degli algerini verso il vecchio nemico sono profonde in maniera che sorprende. Oggi poi, con la politica antiisraeliana di De Gaulle, siamo agli abbracci. Gli stessi sentimenti non sono invece nutriti, come ho già avuto occasione di notare, per ì russi, che pure non si limitano al già gravoso aiuto militare. Al tasso del 2,5Vo con scadenza a dodici anni, l'Unione Sovietica ha versato o sta versando all'Algeria qualcosa come centotrenta miliardi di lire: più di metà per il grande complesso siderurgico in costruzione ad Annaba (Bona), il resto in trattori, attrezzature per pozzi petroliferi, dighe, bonifiche. Aiuti notevoli, anche se nettamente inferiori al francese ed al sovietico, vengono da molti altri paesi. Perfino la Cina, nel tentativo di affermare una sua presenza accanto a quella russa, ha concesso — senza interessi ed a scadenza indefinita — un prestito di una trentina di miliardi, con i quali si sta cercando di sviluppare la cultura del riso e del tè. Una trentina di miliardi, l'Algeria li ha avuti dal soHto ricchissimo sovrano del microscopico Kuweit (sempre alla ricerca di assicurazioni presso i- suoi colleghi rivoluzionari),' ed un'altra trentina, (per la costruzione di un oleodotto) dalla Gran Bretagna che, insieme con la Francia, è interessata all'impianto di liquefazione del gas ad Arzew. L'elenco potrebbe continuare con la Rau, la Jugoslavia, la Repubblica federale tedesca, la Cecoslovacchia, la Bulgaria, la Banca Mondiale, la Comunità Europea. Manca invece l'indicazione degli Stati Uniti, ma la loro Agency for International Development distribuisce gratuitamente dal '63 generi alimentari — destinati a bambini, inabili al lavoro, operai di certi settori e zone — per un valore di dodici miliardi all'anno. Nelle settimane scorse, lo sbarco dei sacchi che portano il marchio della fraterna stretta fra due mani, ha incontrato qualche difficoltà: ad Orano i portuali avevano abbandonato il lavoro per unirsi alla folla che manifestava contro gli Stati Uniti. A questo insieme di aiuti internazionali, vanno aggiunte le rimesse dei sei-set tecentomila algerini che lavorano in Francia e che ogni anno mandano alle famiglie qualcosa come centoventicinque miliardi di lire. Sono complessivamente cifre che dovrebbero incidere notevolmente sul tenore di vita di una popolazione che non arriva a tredici milioni di abitanti, e di un paese che non può essere definito povero. Grande come otto Italie, l'Algeria ha un ottavo del territorio — dov'è praticamente concentrata tutta la popolazione — ricco d'agricoltura, e gli altri sette ottavi dove la sabbia del deserto si rivela sempre più apportatrice di favolosa prosperità (in petrolio — da 26 milioni di tonnellate nel '65 a 34 nel '66 — e soprattutto in gas). La situazione, invece, è ancora questa: un reddito medio che si aggira sui duecento dollari per persona all'anno, e cioè un quinto di quello italiano: una disoccupazione o sottoccupazione (distinguere è spesso difficile) di due milioni di unità (non ostante l'esercito di emigrati in Francia), costantemente aggravata dall'afflusso sul mercato del lavoro di altri cinquantamila giovani all'anno; un analfabetismo che coinvolge (ad essere benevoli) il 70 per cento dell'intera popolazione. Per l'Algeria di Boume¬ dienne, e di Ben Bella, il bilancio appare disastroso. Le giustificazioni non mancano, prima fra tutte quella — da ricordare sempre — delle devastazioni materiali e delle vittime umane di sette anni di lotta conclusasi vittoriosamente solo cinque anni addietro. L'esodo di un milione di coloni francesi tra VI e '62 ha lasciato improvvisamente il corpo della nazione algerina sema la sua testa economica: dai contadini e dagli operai che hanno assunto l'autogestione delle aziende agricole o industriali o commerciali, non si può pretendere la capacità di coltivare, produrre o vendere a livello internazionale. Si aggiunga il tentativo di una tortuosa via araba al socialismo (sulla quale non è il caso di avventurarsi in questa sede), e appariranno chiari tutti i motivi di una situazione tanto grave quanto confusa. (E' di questi giorni, in piena crisi del Medio Oriente, il riaccendersi della lotta tra ministri-tecnocrati come quello dell'Industria, e sindacati « progressisti » dell'Ugta). Nella battaglia per la costruzione di uno Stato moderno, nemmeno questi due anni di regime di Boumedienne hanno fatto segnare un qualche sensibile progresso. Per fortuna dell'Algeria, c'è in misura crescente il petrolio che va alla Francia, con reciproco vantaggio. La stessa Francia e l'Unione Sovietica, i due grandi protettori, stanno costruendo ad Annaba (Bona) un gigantesco — forse troppo — impianto siderurgico che. potrà giovarsi sia del minerale, sia dell'energia disponibili in larghissima misura nel paese. Ma la terza grande e decisiva carta in cui spera l'Algeria è il gas: da Hassi R'Mel, un oleodotto dì seicento chilometri lo porterà fino ad un grandioso impianto di liquefazione a Skikda (Philippeville) da dove apposite cisterne salperanno verso i mercati europei. Verso quali? La Francia si è già impegnata ad assorbire un terzo della produzione, ma gli algerini guardano anche all'Italia che, con l'esaurimento delle sue riserve padane, ha sempre più bisogno di gas; attingerà presto a quello libico, e dovrà rivolgersi anche altrove. , Le « cattedrali nel deserto » (e qui siamo nel Sahara) dell'acciaio, del petrolio, del gas, daranno sicuramente in un prossimo futuro all'Algeria quei mezzi finanziari che sono necessari, ma non sufficienti, a costruire uno Stato moderno e — progressista o no — progredito. A Huari Boumedienne, non ostante il proclamato estremismo, i suoi fedeli attribuiscono la dura determinazione di impegnare sempre più il suo popolo nella guerra contro la pigra rassegnazione ed il vacuo verbalismo, nella battaglia — sono parole sue che ho già citato — per il lavoro, la produzione, la cultura. Sarà lui, un soldato vero, a far capire ai suoi.che per la vita ed il prestigio di una nazione, vai più l'auto del carro armato, il fertilizzante della bomba, il trattore agricolo del caccia supersonico? Se la fiducia dei seguaci, se la stima di molti osservatori stranieri sono fondate, l'Algeria — forse anche il mondo arabo — avrebbe trovato l'eroe nuo¬ vo e vero di cui ha disperata necessità; nella storia della sua gente, un grande posto spetterebbe a questo piccolo e silenzioso, schivo ed enigmatico colonnello. Vedremo, siamo in un mondo imprevedìbile: per ora nelle strade di Algeri sventolano sempre gli striscioni con « la guerra continua » (ma il sole rovente sbiadisce i caratteri, presto saranno illeggibili). Giovanni Giovannini t

Persone citate: De Gaulle, Hassi R'mel