L'esercito in Cina sembra spaccato in due

L'esercito in Cina sembra spaccato in due L'esercito in Cina sembra spaccato in due Dopo la rivolta della guarnigione di Wuhan (non ancora domata), una parte dei generali si schiera con gli insorti - Gravi disordini in alcune province - Arresti ed epurazioni per stroncare la ribellione - La I e la II Armata (20 per cento degli effettivi) sarebbero contro Mao (Nostro servizio particolare) Parigi, 4 agosto. Alla fine di' luglio, gli incidenti di Wuhan hanno di nuovo attirato l'attenzione sulla lotta politica in Cina. Da qualche tempo non se ne parlava più: le notizie provenienti dall'interno erano troppo scarse e frammentarie, e a Pechino la lettura dei manifesti murali costituiva spesso — per un occidentale — causa di incidenti, quando non provocava addirittura l'accusa di spionaggio. Di ritorno da" un viaggio nel Sud del paese, e poi nella provincia centrale di Hupeh, il ministro della Sicurezza, gen. Hsieh Fu-ci, è stato accolto a Pechino come un trionfatore; ma la visita si è risolta in un fallimento. Hsieh Fu-ci è stato insultato dalla folla, e le ingiurie rivolte a tutto il governo attraverso la sua persona denunciano la gravità dei problemi ancora insoluti. Per la prima volta si sono rivelati chiaramente i contrasti che dividono l'esercito e le divergenze tra i capi politici ed alcuni comandanti militari. Partito per regolare certe questioni civili ed accelerare l'organizzazione dei nuovi istituti rivoluzionari, Hsieh Fu-ci è tornato con un serio problema militare da risolvere. Una parte degli alti comandi ha fatto l'autocritica. Il gen. Chén Tsai-tao, comandante della guarnigione di Wuhan, sarebbe agli arresti; il gen. Liu Feng, vice di Chen Tsai-tao, ha proclamato nel Quotidiano del Popolo la sua' fedeltà a Mao. L'autorità del maresciallo Lin Piao (ministro della Difesa) aveva fatto finora dell'esercito l'intelaiatura del movimento rivoluzionario; adesso il prestigio ed i compiti delle forze armate nella rivoluzione culturale sembrano scossi. Col passare del tempo, la capacità politica dell'esercito di ricreare l'unione nazionale pare dubbia in più di una regione del paese. Radio Pechino ha parlato di riunioni di massa in parecchie città per sostenere la missione del ministro Hsieh Fu-ci e condannare i militari ribelli di Wuhan: innanzi tutto a Wuhan stessa, poi a Tientsin, nell'Hopeh ( provincia di Pechino), a Chengtu (nello Szechuan, dove sono scoppiati negli ultimi mesi incidenti violentissimi) e a Dairen. Per contro manifesti apparsi sui muri della capitale assicurano che la città di Nanning (capoluogo del Kwangsi, che confina con il Nord Vietnam) ha adottato una risoluzione in appoggio ai « reazionari di Wuhan »; ed il corrispondente della Trance Presse cita parecchie manifestazioni nelle vie di Pechino contro i dirigenti di una provincia nordorientale — il Kirin — che si sarebbero schierati con il comandante della guarnigione di Wuhan. Queste lotte confuse alla base contrastano con la stabilità deirér/ttipe al vertice. Eliminati dal partito il segretario Teng Hsiao-ping, il capo dello Stato Liu Sciao-ci ed il responsabile della propaganda Tao-cin, il gruppo dirigente costituito alla fine dell'inverno è rimasto praticamente lo stesso. Il maresciallo Ciu Teh, ex vice Presidente della Repubblica, ha mantenuto il suo posto nell'ufficio politico malgrado i violenti attacchi che gli erano stati rivolti; sono ancora in carica due personalità criticatissime, il ministro degli Esteri Chen Yi e quello dell'Agricoltura Tan Chenlin; solida continua ad essere la posizione del primo ministro Ciu En-lai, la cui buona sorte non stupisce meno del prestigio sempre crescente di Lin Piao. II potente maresciallo si atteggia apertamente a delfino, e Mao non compare più in pubblico se non ha a fianco il suo ministro della Difesa. Lin Piao è presentato come un esempio, il miglior allievo di Mao ed il suo « più fedele compagno d'armi». L'influenza del maresciallo nell'esercito sarà tanto più necessaria ora che riprende la lotta contro i «rappresentanti della borghesia » infiltratisi nei militari. Tra gli alti comandanti sussistono ancora i forti legami nati durante la guerra civile ed il conflitto contro il Giappone. Come rivela una serie di interessantissimi studi pubblicati a Tokio dal giornale Asahi. la Prima Armata (quella del Nord-Ovest), sarebbe tuttora assai sensibile al prestigio dell'ex ministro della Difesa, maresciallo Peng Teh-huai. La Seconda Armata, di stanza nello Shantung, è stata trasferita: sarebbe rimasta sotto l'autorità di Chen Yi. Ma gli effettivi dell'una e dell'altra non supererebbero il 20 per cento di tutte le truppe. Il grosso dell'esercito è costituito essenzialmente dalla Terza e dalla Quarta Armata, ciascuna delle quali rappresenta il 40 per cento degli effettivi totali. La Terza, di stanza a sud-ovest dello Szechuan, dipendeva un tempo dal maresciallo Lin Po-cheng; ' la Quarta (nella regione di Pechino, a Wuhan ed a Canton) è sotto il comando diretto di Lin Piao. Lin Po-cheng, ex membro dell'ufficio politico di cui occupava nell'agosto del '66 il quarto posto, è stato in seguito destituito. Apparteneva a quel gruppo di militari del Sud-Ovest parecchi dei quali furono1 silurati durante la rivoluzione culturale: tra di essi il maresciallo Ho Lung, il maresciallo Peng Teh-huai e l'ex responsabile politico dell'esercito, Liu Ci-cien. Il rilancio della campagna contro Peng Teh-huai e l'ex capo di Stato maggiore Lo Jui-cing, entrambi esclusi da tempo dal potere, sorprende. Ha scritto Bandiera rossa il 31 luglio: «Peng Tehhuai e Lo Jui-cing, appoggiati da un'alta personalità che ha preso la via del capitalismo (Liu Sciao-ci), hanno reclutato dei disertori, accettato ribelli, costituito fazioni per soddisfare ai propri interessi personali; inoltre hanno mantenuto rapporti illegali con paesi stranieri e fomentato complotti per usurpare il potere del partito e dell'esercito ». Queste accuse, che implicano il tradimento, si spiegano sul piano politico: rivolte a personalità ormai lontane dal potere, servono per attaccare l'uomo che li proteggeva, Liu Sciao-ci. Ma Liu è ancora capo dello Stato, e rifiuta con fermezza di confessarsi «agente del capitalismo infiltratosi nel partito ». Secondo i giornali murali, egli pretende di non essere considerato un « nemico del popolo » ed afferma di avere « sbagliato » in buona fede. Alain Bouc Copyright dl « Le Monde » a par l'Italia da «La Stampa» Profondi contrasti tra i capi militari