Salvare la Giordania ormai agonizzante è interesse di Israele e dell'Occidente di Francesco Rosso

Salvare la Giordania ormai agonizzante è interesse di Israele e dell'Occidente POVERA E DISARMATA, NON PUÒ' RESISTERE DA SOLA Salvare la Giordania ormai agonizzante è interesse di Israele e dell'Occidente Di tutti i paesi arabi, ha subito la disfatta peggiore: ha perduto ventimila uomini, gran parte delle risorse economiche, l'equilibrio interno Ma ha sopportato il disastro con grande dignità, senza violenze xenofobe - Praticamente occupata dagli iracheni, minacciata dalla Siria, non è in grado di fare il primo passo verso la pace - Solo gli occidentali, di cui resta amica, e gli israeliani possono aiutarla - Per futuri accordi, occorre affrontare anzitutto il problema dei duecentomila profughi: essi rappresentano una tragedia umana ed una carica di dinamite (Dal nostro inviato speciale) Amman, 4 agosto. La Giordania agonizza, le sue speranze di sopravvivere come nazione si spengono un poco più ogni giorno, e se non interverrà un fatto decisivo, per esempio un accordo diretto con Israele, fra sei mesi potrebbe scomparire dalla carta geografica. E sarebbe un destino ingiusto, oltre che nefasto alla presenza occidentale in Medio Oriente. Ingiusto perché se arabo che non volesse la guerra con Israele. Re Hussein ha dovuto subirla per non essere indicato come traditore della causa araba, e non essere travolto da una sommossa interna dei palestinesi organizzati da quel Mohammed Shukeiry, vergognosamente fuggito da Gerusalemme appena echeggiarono le prime cannonate. Accettò la situazione per lealtà, pur sapendo quale sarebbe stato il suo destino, che aveva lucidamente la Giordania era il solo pae- descritto a Nasser nel drammatico colloquio del 25 maggio quando, inutilmente, tentò di persuadere il presidente egiziano a revocare il blocco di Akaba ed evitare la guerra. Il suo esercito ha combattuto valorosamente, anche gli israeliani riconoscono che i giordanici sono i soli soldati arabi che hanno opposto resistenza accanita^ fino a farsi sterminare. Hanno perduto, e quelli che sono tornati salvi a casa hanno trovato la tragica eventualità di scomparire come nazione. Ma hanno sopportato la sconfitta, e le sue conseguenze, con esemplare dignità. I militari salvatisi dal disastro non sono fuggiti buttando le armi; si sono presentati con disciplina ai loro comandi. Amman è rimasta calma, non c'è stato un tentativo di sommossa, di violenza xenofoba. Il Libano non ha sparato un colpo di fucile, ma a Beirut la folla ha saccheggiato le ambasciate d'Inghilterra e d'America. Ih Libia, così lontana dal fronte, il furore arabo contro l'Occidente ha raggiunto vertici di violenza inaudita, con massacri di inermi. La Giordania, unico paese belligerante uscito distrutto dalla guerra, ha dato esempi di altissima civiltà. Non ha saccheggiato ambasciate, non ha perseguitato nessuno, non ha addossato le cause della sconfitta a nessuno, non fa processi a nessuno; non ha rotto le relazioni diplomatiche con Stati Uniti, Inghilterra e Germania federate, non si è chiusa a covare uno sterile rancore. Oggi si entra in questa Giordania smembrata con la libertà di prima. Ho ottenuto il visto d'ingresso in due minuti, e gratis per giunta. Provino i giornalisti occidentali a chiedere un visto per l'Egitto, la Siria o l'Irak; non lo otterranno così facilmente. Detto ciò, e mi sembrava doveroso farlo, s'impone l'altro problema, se la Giordanki può sopravvivere come nazione. Durando le condizioni attuali, può resistere sei mesi; poi sarebbe il tracollo, morirebbe d'asfissia. Ma potrebbe crollare anche domani per un moto comunista interno, provocato dai profughi palestinesi esasperati dalla fame. Con la Cisgiordania, il settore di Palestina occupato dagli israeliani, la Giordania ha perduto quasi tutte le sue terre produttive, il 48 per cento delle industrie manifatturiere, il 53 per cento delle attività commerciali, i 35 milioni di dollari che 00-tzì anno le procurava il turismo con Gerusalemme e gli altri Luoghi Santi. Ciò significa la fine della sua economia. La sola speranza di salvezza, l'ho detto, sarebbe un negoziato con Israele, ma è un'avventura piena di incognite. Re Hussein, per quanto ben disposto, deve tener conto della massiccia e pericolosa presenza dei profughi palestinesi che gli sono caduti sulle braccia fuggendo dai territori occupati da Israele. Sono duecentomila, attendati nel deserto, una massa turbolenta che, alla disperata, può provocare disordini interni, eccitata com'è da venti anni di feroce propaganda anti - israeliana da Radio Cairo. Una sommossa dei profughi darebbe il pretesto a Siria, Irak e Arabia Saudita di intervenire, cioè di spartirsi la Giordania. Ed è questo il destino nefasto per l'Occidente cui accennavo all'inizio; con la Giordania scomparirebbe dal Medio Oriente l'unico paese filo-occidentale, il solo paese arabo a regime democratico parlamentare. Israele, anziché avere ai confinì la Giordania che, anche in passato, è sempre stata il suo nemico pia. mansueto, avrebbe la Siria e l'Irak: due paesi ormai totalmente controllati dalla Russia, due nemici che lungo 650 chilometri di frontiera lo sottoporrebbero a continue aggressioni. Hanno interesse le Potenze occidentali e, soprattutto, ha interesse Israele a vedere scomparire la Giordania? Trascuriamo gli aspetti umani della situazione, che pure sono di tragiche dimensioni, guardiamo ì fatti con realismo; la fine della Giordania sarebbe la fine della presenza occidentale nel Medio Oriente. E non si illuda De Gaulle di imporre il suo prestigio per l'atteggiamento filo-arabo assunto nella crisi arabo - israeliana; la Francia uscirebbe perdente come tutti gli altri paesi, la sola vincente sarebbe la Russia. Salvare la Giordania significa ristabilire un equilibrio politico nel Medio Oriente. Potrebbe farlo Israele, con un gesto che dia a re Hussein la possibilità di avviare negoziati senza perdere in dignità. L'accordo con la Giordania potrebbe sbloccare la situazione attuale, indurre gli altri Paesi arabi a trattare. Ed i giordanici sperano, o forse lo dicono soltanto, che gli israeliani si ritirino dal settore di Palestina che hanno occupato. Non credo che Israele sia disposto a tanto, ma ho l'impressione che i giordanici accetterebbero, anche soluzioni differenti, per esempio una federazione economica giordano - palestinese - israeliana, con libera circolazione per tutti, senza necessità di passaporti e visti. Ma per avviare simili trattative è necessario risolvere subito il problema dei profughi. Israele ha fatto qualcosa, concedendo ai fuggiaschi la possibilità di tornare alle loro case in Palestina, però a condizioni molto restrittive. Il termine per presentare le domande di ritorno scade il 10 agosto, un periodo di tempo troppo breve e. inol¬ tre, gravato da infinite complicazioni burocratiche, perché la Croce Rossa, incaricata dell'operazione, possa portare a termine la sua missione. In un mese, da che Israele ha deciso di accettare il rimpatrio dei fuggiaschi, forse un migliaio di palestinesi hanno riattraversato il Giordano per tornare a casa. Attendati, e molti anche senza tenda, sotto il sole furente di giorno e nel rigido freddo del deserto la notte, rimangono circa duecentomila disperati, che sono il più angosciante problema della Giordania. Senza risorse, priva di tutto, deve assicurare "Imeno l'essenziale a questo esercito di affamati che sono come una carica di dinamite nei suoi fianchi già dilaniati dalla guerra. Costoro non hanno di che mangiare, ma hanno la radio transistor per ascoltare Radio Cairo e la propaganda di Nasser. E se tentassero una marcia della fame su Amman, che accadrebbe? I soldati beduini fedeli a re Hussein sparerebbero per disperderli? E se lo facessero, come reagirebbero le brigate di soldati irakeni, giunti tardi per combattere contro Israele, ma in tempo per attestarsi nei punti strategici più vitali della Giordania e sulle colline che dominano Amman? Sono interrogativi drammatici, cui non si può dare risposta. Nella situazione in cui si trova, re Hussein non può chiedere all'Irak di richiamare le sue truppe, che sono una minaccia per la sicurezza giordanica; non può prendere l'iniziativa di negoziati diretti con Israele senza essere accusato di tradimento dagli altri Paesi arabi; gli rimangono le fedeli truppe beduine della Legione araba, ma straziate dalla sconfitta, e senza- armi. La Giordania è entrata in guerra con 170 carri armati; ne ha salvati cinque. Aveva trenta aerei del veccYio tipo Hunter Mark 8: l'aviazione israeliana glieli ha annientati. La Russia ha offerto di riarmargli l'esercito, ma re Hussein ha rifiutato, benché Inghilterra e America non rispondano alle sue urgenti richieste di aiuto. La Giordania è sola, povera, disarmata, frustrata per la sconfitta, mentre le truppe irakene che praticamente la presidiano sono dotate di armi modernissime e potenti carri armati. La Giordania, dunque, deve proprio morire? E' un destino che non merita. Francesco Rosso

Persone citate: De Gaulle, Hunter Mark, Mohammed Shukeiry, Nasser, Radio Cairo, Re Hussein