Cos'è la Pop Art di Marziano Bernardi

Cos'è la Pop Art UN «PRODOTTO» PIÙ CHE UN FATTO ESTETICO Cos'è la Pop Art La bomba della Pop Art esplose in Italia nel '64 alla Biennale di Venezia come una piccola atomica nient'affatto « pulita ». La gente invitata alla « vernice » della sezione americana, distaccata dai Giardini ed allestita dal prof. Alan Solomon nell'cx-consolato degli U.S.A., s'aggirò sbalordita fra bizzarri, inconcepibili oggetti che non si sapeva se chiamare pitture o sculture o che altro, giganteschi sandwkhes di- cartone e di plastica, telefoni e macchine da scrivere « molli », bandiere stellate e bersagli da tirassegno dipinti che sembravano veri, simulazioni di scatolame alimentare, arnesi da cucina ed apparecchi igienici, riproduzioni di cartelli pubblicitari con strani inserti simbolici dei mass-media e della società dei consumi, « fumetti » su scala colossale frammisti a composizioni tipografiche, uccelli impagliati fra bottiglie di coca-cola, imitazioni in colori acrilici di indumenti da supermarket. Erano le opere di Rauschenberg, Noland, Johns, Dine, Stella, Chamberlain, Oldenburg. Era l'ingresso ufficiale dell'arte Pop in Italia. Come al solito — e lo diceva lo sbigottimento del pubblico, l'avrebbe detto tosto il ruggente coro della critica — eravamo in ritardo. Da almeno un paio d'anni a New York le mostre della Pop Art non stupivano più nessuno, anzi piacevano enormemente, perché giudicate «facili da guardare», divertenti e comprensibili, e di « effetto rilassante ». Togliamo questo giudizio dall'utile libro, Pop Art, appena ora stampato dall'editore Mazzotta di Milano con istruttivi testi di Lucy R. Lippard, Lawrence Alloway, Nancy Marmer, Nicolas Calas e una copiosissima eccellente documentazione illustrativa. Ma il bello è che la nuovissima sperimentazione figurativa (per adesso preferiamo non dirla « arte »), così tipica del costumx e della psicologia U.S.A., era da tempo nata in Europa e precisamente in Inghilterra. La sua stessa denominazione, che vuole indicare arte popolare, meglio popolaresca nel senso che a tutti è immediatamente accessibile, mentre in verità gli oggetti comuni che rappresenta intenderebbero inserirsi in un contesto di « arte colta », sembra sia dovuta a Lawrence Alloway, ma divenne corrente fra i componenti àcW'lndependent Group, costituitosi nell'inverno 1952-53 a Londra in seno alYlnstitute of Contemporary Art: tra. il 1954 ed il '57 si cominciò a parlare di Pop Art. I Ihl pIn Inghilterra fu fortemente osteggiata, quantunque uno dei più insigni pittori inglesi contemporanei, Francis Bacon, già ne fosse stato quasi un precursore derivando certe sue teste urlanti dai fotogrammi dèi'Incrociatore Potem\in; e si sa che « l'uso della fotografia, citata e parzialmente trasformata, è naturalmente un elemento centrale negli sviluppi futuri dell'arte Pop ». D'altronde, osserva la Lippard, se la Pop Art è fenomeno tipicamente americano, i suoi prototipi, almeno in teoria, si ritrovano in due artisti europei: Fernand Léger, secondo il quale c oggi un'opera d'arte si deve poter paragonare a qualsiasi oggetto industriale*, e Marcel Duchamp, che andava molto più in là. Perché per lui il prodotto dell'industria diventava addirittura realtà artistica con la scelta dei ready-mades (oggetti confezionati) da presentare nelle mostre d'arte; sì ch'egli nel 1917 polemicamente esponeva lo scandalistico Fountain, ch'era poi un orinatoio in porcellana. (Mezzo secolo prima Antonio Fontanesi ammoniva gli allievi: « Il motivo bello è più ancora entro di voi, che fuori di voi*; se anche il Duchamp aveva il « motivo bello» dentro di sé, e lo vedeva in quella forma, è chiaro che in mezzo secolo il concetto dell'arte è assai mutato). Ad ogni modo i precedenti l d fi g— comprese le scatole di fiammiferi c i biscotti « di marca » introdotti da Giorgio De Chirico nei suoi dipinti metafìsici — hanno un'importanza relati va: che di questo passo potremmo balzare fino al verismo illusionistico dei violini e dei liuti del Baschenis o al vasellame degli interni secen¬ teschi olandesi, prendendo come pedana il trompe-l'oeil d'uno Sciltian. L'arte Pop, con la sua seconda nascita, è un regalo al mondo dell'America attuale; e benché la Lippard non ne riconosca autentici rappresentanti che cinque artisti di New York — Warhol, Lichtenstein, Wesselmann, Rosenquist, Oldenburg — e pochi altri americani della costa del Pacifico e qualche inglese, di cui il Paolozzi' «è un progenitore estremamente importante », i pop-artisti più o meno genuini o spuri sono oggi ovunque legioni. Per stare in Italia, entrano nel libro citato, anche sotto l'etichetta di « Nuovo Realismo », Adami, Pasotti, Mondino, Schifano, Festa, Del Pezzo, Baj, Rotella, Ceroli, Pistolctto, il Gruppo 70 di Firenze, e molti altri. Che cosa si propone dunque l'arte Pop, quando offre all'osservatore, per esempio, due scatole di birra Bailamme in bronzo dipinto a mano da Jasper Johns, o una serie di barattoli di minestre Campbell riprodotti ad olio e serigrafia, quelli che hanno reso famoso (Van Gogh vendette un quadro in tutta la sua vita) Andy Warhol? L'arte Pop — riferiamo dal volume — « ha scelto di raffigurare tutto ciò che prima si considerava indegno di attenzione, e tanto meno di arte: pubblicità di qualsiasi livello, illustrazioni di riviste e giornali, scherzi volgari, bricà-brac orribile e mobilio pomposo, cibi e vestiti ordinari, stelle del cinema, pin-up, cartoni animati... più una cosa era di basso livello, più era spregevole, meglio era ». Perché? Dice Lichtenstein che dopo Cézanne l'arte, nutrendosi solo di arte, è diventata utopistica, non ha più guardato il mondo, ha guardato solo dentro di sé. Invece « fuori » c'è il mondo: « L'arte Pop guarda fuori, al mondo; mostra di accettare il suo ambiente, il che non è ni bene né male, ma soltanto segno di un atteggiamento diverso ». Per Oldenburg, « la pittura, che ha dormito tanto a lungo nelle sue cripte dorate, è invitata ad uscire per andare a nuotare, le offrono una sigaretta, una bottiglia di birra, è tutta spettinata, le danno una spinta, le fanno lo sgambetto, le insegnano a ridere, le regalano vestiti d'ogni genere, va a fare un giro in bicicletta, trova una ragazza in un angolino e la palpa... ». Insomma, che ci sta a fare la Gioconda in quel cantone di malinconico paesaggio; era ora che Duchamp le mettesse i baffi; « Allegria! Allegria! », come esorta Mike Bongiorno. E del resto, come non esser grati all'opera di Oldenburg? « I suoi coni gelati, i suoi hamburger, i suoi pasticcini vivaci, la verdura, i panini imbottili, la carne, possono perfino far venire appetito ». Arte in funzione gastronomica, anzi stimolatrice dietetica. Ombra di Benedetto Croce! i L'arte non ha nulla che vedere con l'utile, e col piacere e col dolore ». Il libro in questione spiega, discute, sottilizza per 250 pagine che si leggono con viva curiosità; e conclude che l'arte Pop, grandiosa sintesi merceologica-pubblicitaria, e nello stesso tempo inevitabile reazione all'arte astratta, « sembra essere il prodotto di una società ad alto livello economico ». Ecco il nocciolo del problema: perché è uno spiegare, un discutere, un sottilizzare su una cosa eh e fuori dell'area artistica; che può interessare il sociologo e il filosofo, non la critica d'arte. E tanto peggio per quell'artista che se ne interessa. Marziano Bernardi