In Val di Susa alla ricerca di abbazie e castelli storici di Marziano Bernardi

In Val di Susa alla ricerca di abbazie e castelli storici Iti SSL x»i turistici del Piemonte In Val di Susa alla ricerca di abbazie e castelli storici Meno ricca della Val d'Aosta, tuttavia conserva interessanti vestigia medioevali - Due grandiosi castelli, quello di Avigliana e quello di San Giono, furono distrutti nel 1691 dal francese maresciallo Catinat Il maniero di Bruzolo - La Sagra di San Michele e l'abbazia della Novalesa sono tra le più belle d'Italia L'aprica e domestica Valle di Susa non è, come l'ardua e solenne Val d'Aosta, terra di castelli. Se lungo le acque della Dora Baltea se ne contano, integri o diruti, oltre settanta, pochi avanzi di antiche ròcche, pur grandiose a S. Giorio e Avigliana, nereggiano sul verde bagnato dalla Dora Riparia: e se a stento in qualche pietra del maniero arduinico di Susa si rintraccia la memoria della grande contessa Adelaide che intorno al 1046 con le sue terze nozze portava in dote al figlio di Umberto Biancamano la Marca di Torino, il castelluccio di Bruzòlo deve la fama non tanto alla sua modesta storia feudale, quanto al fatto di aver ospitato nell'aprile 1610 il duca di Savoia Carlo Emanuele lei plenipotenziari del re di Francia Enrico IV per la firma del celebre «Trattato di Bruzòlo»; un'alleanza contro la Spagna per la conquista del ducato di Milano Scrive in Segusium, l'interessante bollettino della « Società di ricerche e studi vaisusini », il giovane architetto Franco Carminati, di Bussoleno, illustrando le fasi costruttive del castello di Bruzòlo, dalla torre romana di segnalazione ai recenti rimaneggiamenti: « La totalità dei castelli della valle, da Susa ad Avigliana... trovandosi più vicini alle vie di comunicazione percorse, in tempi successivi a più riprese, da orde ed eserciti Invasori, ne subirono le Ire devastatrici ». Ed infatti dobbiamo al maresciallo francese Catinat il definitivo diroccamento, nel maggio 1691, del già ricostruito poderoso castello di Avigliana, dimora preferita, al di qua delle Alpi, dei primi conti di Savoia; ed allo stesso duro condottiero la distruzione, nel marzo di quell'anno, del castello di S. Giorio, i cui resti, su un perimetro di cinquecento metri fanno testimonianza di una imponenza che risaliva almeno al secolo XIII. Ma la scarsezza dei castelli valsusini a confronto con quelli valdostani è probabil mente anche dovuta alla con dizione politica della Valle di Susa, divisa prima — fin dalla scomparsa della Marca di Torino con la morte della contessa Adelaide — fra i conti di Savoia e i conti d'Albon (i « Delfini » di Grenoble), poi fra i principi sabaudi e i re di Parigi, eredi dei « Delfini » dal secolo XIV. Replicatamele abbiamo citato Segusium, nome che comprende sia la benemerita società storica fondata nel 1963, sia il bollettino giunto adesso al suo terzo e folto fascicolo. Una duplice istituzione che conviene incoraggiare e che dovrebbe interessare tutti i piemontesi colti. Una pubblicazione periodica che tratti della storia, del costume, dell'arte d'una terra subalpina di altissime gloriose tradizioni (basti pensare che la Valle di Susa si apre e si chiude con due delle più celebri abbazie italiane medioevali, la Novalesa e la Sagra di S. Michele), si inserisce direttamente nel patrimonio della cultura del Piemonte. E i saggi finora apparsi per il 250" anniversario del Trattato di Utrecht (riunificazione politica, come s'è detto, della Valle di Susa), il numero speciale per il Trattato di Bruzòlo, dotta monografia di 170 pagine, quello dedicato dal prof. Clemente Blan dino alla « Passione di Nostro Signore in Valle di Susa », con particolare riferimento ( e ne è riportato l'intero testo) alla sacra rappresentazione inscenata per secoli dalla gente di S. Giorio — l'ultima re cita è del 1925 —, sono ga ranzia della serietà dei futuri contributi, che ci auguriamo numerosi. Pochi decenni dopo che Costantino puniva Susa per la sua fedeltà a Massenzio, in un'altra terra della regione che sarebbe poi diventata il {(Piemonte» un nucleo di credenti che doveva comporre una salda comunità cristiana eleggeva a gran voce proprio vescovo Eusebio, sardo di nascita e già lettore della Chiesa di Roma E' da questa elezicne per la quale « Vercelli è la prima città che nel Piemonte cristiano emerga alla luce della storia », che Vittorio Viale ha preso le mosse .per rievocare la vicenda illustre del duomo vercellese, purtroppo inconsultamente demolito a partire dal 1570 per ricostruirlo in forme diverse, nella bellissima mono grafia ora stampata da Amll care Pizzi a Milano, con selddrlnddllfdsnrDlai splendide illustrazioni in nero e a colori, prima di una collezione promossa dalla Cassa di Risparmio di Vercelli e diretta da Giorgio Allario Caresana su « L'arte nel Vercellese »: Opere d'arte preromanica e romanica del Duomo di Vercelli. Incomparabile conoscitore della storia e dell'arte vercellese, il Viale attribuisce all'età eusebiana la primitiva fondazione di una chiesa che, distrutta sul principio del V secolo, risorse come basilica nel VI sul modello di quella romana dedicata a S. Pietro. Durato quasi integro fino all'abbattimento del CinqueSettecento, il tempio fino da allora fu mirabilmente adornato dal fedeli; ed 1 capolavori superstiti (minima par¬ te, s'intende, di tante meraviglie) sono adesso sparsi sia nella nuova cattedrale, sia nel tesoro del Capitolo, sia nel locale Museo Leone. Di essi lo studioso ne illustra una ventina in altrettante schede ineccepibili per compiutezza filologica e acume critico. Capolavori che il frettoloso turista in visita a Vercelli, e pago della superba mole dell'antelamico S. Andrea, nemmeno sospetta. Ad esempio la rilegatura in lamina argentea sbalzata e dorata del « Codex Vercellensis Evangeliorum », ch'è la più antica traduzione nota dei Vangeli in latino, probabilmente eseguita dal santo vescovo Eusebio nel romitorio di Crea; e l'altra, di gran lunga più splendida, di un evangeliario non nume¬ rato, massimo raggiungimento dell'arte orafa lombarda del principio del XII secolo. O il gigantesco Crocifisso romanico rilevato in lamina d'argento che pendeva dal l'arco trionfale del duomo antico; o le sculture di Benedetto Antelami e della sua bottega che ne componevano il colossale pergamo; o le cassette-reliquiari preromaniche e romaniche; o le stupende miniature dei codici che, in numero di 220, formano una delle più cospicue biblioteche capitolari d'Italia. Ciò non toglie, caro Viale, che ci sia sempre qualcuno, e italiano per giunta, a dirci che, in fatto d'arte, « in Piemonte non c'è nulla da vedere»... Marziano Bernardi