Il Parlamento è in vacanza Si riapre a metà settembre di Michele Tito

Il Parlamento è in vacanza Si riapre a metà settembre Il Parlamento è in vacanza Si riapre a metà settembre Ha fatto molto, ma ha perso troppo tempo in questioni secondarie - Dopo le ferie lo attendono leggi importanti, quali il diritto di famiglia, la riforma universitaria, quella ospedaliera - Riuscirà nei pochi mesi che rimangono prima delle elezioni? (Dal nostro corrispondente) Roma, 28 luglio. Il Parlamento è chiuso. Dopo i senatori, i deputati sono andati ieri sera in vacanza. Come accade ogni anno, hanno celebrato all'ultimo minuto il rito della discussione sull'opportunità dì anticipare la ripresa dei lavori. L'argomento, da venti anni, è sempre lo stesso: v'è molto da fare e il tempo è poco. La conclusione, da venti anni, è la stessa, affidata a un'intesa vaga per la ripresa intorno alla metà di settembre. Ogni istituto ha le sue regole e i suoi riti anche formali. L'improvviso desiderio di rinunciare ad un riposo spesso meritato equivale al riconoscimento, sia pure platonico, delle difficoltà che il Parlamento incontra per fare il proprio mestiere e delle difficoltà in cui mette il Paese. Per molti anni questo è bastato. Ora, però, in tutta evidenza, non basta più: e forse sarebbe stato utile che i parlamentari, senza proporsi rinunce eroiche ed impossibili, avessero in concreto assunto l'impegno di affrontare al rientro il problema del funzionamento del Parlamento. Esperti di grande autorità lo affermano allarmati: siamo giunti al punto di rottura. Molte leggi, e di straordinaria importanza, devono essere discusse ed approvate prima delle elezioni del '68. La legge elettorale per le Regioni, i diritti di famiglia, la riforma universitaria, la legge sul referendum, la riforma ospedaliera, mentre dovranno essere esaminati i bilanci e non mancheranno nuovi dibattiti di politica estera. Limitato alla Camera, è un elenco molto parziale. E le sedute non potranno essere più di settanta, ottanta, i contrasti, anche all'interno della maggio ranza, sono inevitabili, e inevitabili sono gli incidenti per cui dovranno essere riesaminate leggi modificate dal Senato. Nessuno, per giunta, si illude più che le opposizioni rinunceranno ai cavilli defatiganti e all'ostruzionismo paralizzante. Di riflesso, il governo e la maggioranza si prendono l'accusa d'essere incapaci di fare le cose attese e promesse. In un anno l'attività dei parlamentari è stata superiore, per quantità e qualità di decisione, a quella di una legislatura d'altri tempi. Giustamente i parlamentari si vantano di avere esaminato e varato un numero incredibile di leggi, alcune delle quali (il piano economico, l'edilizia scolastica, l'adozione) di grande rilievo e complessità. Numerosi e impegnativi sono stati i dibattiti di politica generale. Non v'è forse nessun Parlamento che, in Europa, abbia lavorato tanto. Ma la sfasatura esiste, si aggrava ogni giorno e i «tempi» per le decisioni, che dovrebbero essere rapide, si allungano oltre il limite di sicurezza per qualsiasi politica. In un anno di cosi intensa attività le cronache parlamentari hanno ripetutamente registrato le lamentele dei ministri per la lentezza delle Camere. Non è possibile, non è accettabile la rassegnazione a questo contraddittorio stato di cose. Quali siano i mah è ormai noto: il Parlamento si occupa di troppe cose. Esso è responsabile e vittima, al tempo stesso, di un fenomeno chiamato della «proliferazione legislativa »: tutto deve passare per il Parlamento, assolutamente tutto, e tutti, per essere tranquilli, consegnano alle decisioni del Parlamento anche cose cui il Parlamento dovrebbe essere estraneo: lo fanno i ministri, lo fanno gli enti, lo fanno i funzionari. E' invalsa l'abitudine di far votare dal Parlamento anche la modifica a un articolo di una circolare interna ministeriale. Politicamente, è una fuga dalle responsabilità. Sul terreno pratico è un'autentica crisi, che minaccia conseguenze gravi. Si deve sperare che, alla vigilia delle elezioni, sarà trovata la forza per rimediare in qualche modo all'immediato, ed è possibile farlo sol che vi sia concordia e fermezza nella maggioranza: se le opposizioni tendono a determinare la paralisi sollevando ininterrottamente que stioni di politica generale, è sempre possibile, quando è giusto, rifiutare la discussione. Dovrebbe esser possibile imporre un'intesa di lavoro per cui un dibattito sul Vietnam avutosi alla Camera non debba inutilmente esser ripetuto al Senato. Può essere un titolo di merito del governo, in astratto, quello di non essersi mai sottratto a una discussione. Non 10 è in concreto: quando v'è 11 sostegno della maggioranza, la cedevolezza sistematica alle manovre dell'opposizione determina alla lunga la realtà di un governo di assemblea. Per l'immediato, è una questione di buona volontà e di forza politica. Ma il Parlamento deve essere riformato nei suoi metodi di lavoro, nelle sue attribuzioni di responsabilità. In parte nella natura dei suoi rapporti con il potere esecutivo. Se i parlamentari non vi hanno pensato ieri, devono provvedere subito alla ripresa. Il tema della maggiore efficienza del Parlamento in un paese moderno che progredisce rapidamente sarà inevitabilmente il tema dominante della campagna elettorale. Sarebbe un danno per tutti, e per la maggioranza in primo luogo, se il paese fosse solo invitato ad accettare le scuse dei parlamentari e non, invece, rassicurato con l'impegno di una riforma che non costa niente ed è la più urgente. Michele Tito

Luoghi citati: Europa, Roma, Vietnam