I nostri emigrati: una piccola minoranza che dà molto per lo sviluppo del paese africano di Giovanni Giovannini

I nostri emigrati: una piccola minoranza che dà molto per lo sviluppo del paese africano Dn gesto di solidarietà fra tante notizie di sanguinose vicende I nostri emigrati: una piccola minoranza che dà molto per lo sviluppo del paese africano Sono duemila in tutto (bimbi compresi) - Ma il loro contributo alla vita del Congo è importante In mezzo a tante notizie di sanguinose vicende, ci viene dal Congo un gesto di commovente solidarietà: gli italiani residenti nell'ex colonia belga, che da tanti anni vivono con rischi personali e danni economici il dolente travaglio della trasformazione di quell'immensa terra in Stato libero ed indipendente, hanno voluto confermare il loro attaccamento alla patria lontana, versando venti milioni alla sottoscrizione de « La Stampa » per gli alluvionati. Non è poco, nemmeno materialmente, per una comunità che oggi supera di poco le duemila persone (bambini compresi) nessuna delle quali gode di eccezionali fortune; ed è molto, inutile sottolinearlo, sul piano umano. L'emigrazione italiana in Congo ha sempre avuto caratteristiche diverse da quella diretta in qualsiasi altra parte del mondo. Già nel 1885 all'atto della costituzione dello « Stato Libero » (proprietà personale di Leopoldo II), ci sono dei nostri — con alla testa l'esploratore Alfonso Massari — al servizio del sovrano belga, ed altri vengono insistentemente invitati a raggiungerli. Alle prese con i paurosi problemi di dare una organizzazione qualsiasi ad un territorio grande quasi otto volte l'Italia, nel 1897 lo Stato Libero chiede ufficiai mente al governo di Roma ufficiali per l'istruzione delle truppe indigene. Ne vengono lasciati partire molti che presto si distinguono non solo come militari ma anche come esploratori ed amministratori (il capitano Cordella morto di febbri nel Nord-Est, il tenente Piscicelli. il capitano medico della marina Baecari). L'esperimento dura poco, lo « Stato Libero » è sotto accusa in tutto il mondo per i metodi spietati degli uomini del re nei confronti dei negri, ed il saggio governo italiano del 1905 ritira lutti i nostri militari di carriera. Rimangono pochi borghesi, medici, artigiani, meccanici, che presto vengono raggiunti da un'altra e completamente diversa ondata di connazioiuili. Con l'arrivo, nel 1910, della ferrovia dal Sud Africa e dalla Rhodesia in un accampamento al quale viene dato il nome di Elisabethville, si collega finalmente al mondo il nuovo Eldorado del Katanga. In questo Far West congolese, gli italiani — venuti avanti dal Sud costruendo traversina per traversina la ferrovia — sono molti e decisi a farsi rispettare. Cominciano naturalmente ad imporsi come albergatori: è della signo¬ ra Pozzetti dì Avigliana — di cui ancora tutti si ricordano ad Elisabethville — il locale che appariva come un miraggio ai rudi coloni degli anni Dieci («intendiamoci — cito un testimone — non c'era né bagno né acqua corrente né luce diversa da quella delle candele; in compenso i boys servivano in uniforme bianca immacolata con la scritta Hotel de Bruxelles »). Altri fanno presto a trasformarsi da operai m appaltatori di labori pubblici, in piccoli e medi imprenditori d'ogni tipo. Da Elisabethville — dove si distingue un maggior nucleo di piemontesi ed uno minore di abruzzesi — gli italiani si irradiano progressivamente nelle vicine province. Medici e missionari, farma¬ cisti e impresari, albergatori e commercianti: gli italiani in Congo sembrano essere dappertutto, nelle città grandi e piccole come nella brousse o boscaglia più- desolata. E non sono mai arrivati a quattromila (su centoventimila europei — di cui novantamila belgi — e tredici milioni di congolesi), nemmeno alla vigilia dell'indipendenza. Avrebbero potuto, come gli altri bianchi, essere molti di più se Bruxelles non avesse costantemente limitato l'immigrazione per mantenere la caratteristica esclusiva di colonia di sfruttamento (condannandosi a vederla crollare come un castello di carte alla prima scossa). Nel tragici eventi degli ultimi sette anni, anche gli italiani hanno pagato un sanguino¬ so scotto: dal primo caduto — che fu nel luglio stesso del primo anno il valoroso console italiano ad Elisabethville Tito Spoglia — all'operaio Giovanni Cicuto ucciso negli ultimi disordini dei giorni scorsi a Kisangani (Stanleyville). Ma in complesso hanno retto meglio degli altri europei, anche perché, meno contagiati dal morbo razzista, sanno più facilmente stabilire con gli africani rapporti improntati ad umana dignità. Anche in occasione degli ultimi disordini, gli italiani fuggiti in patria sono stati in minor numero degli altri europei. In tutti questi anni, molti che avevano detto addio al Congo, sono ritornati. Ed accanto ai « vecchi », sono comparsi personaggi nuovi che vanno e vengono (sette ore di jet Alitalia): gli uomini della Fiat, dell'Eni, dell'Olivetti, della consueta aristocrazia della nuova Italia industriale che non può disinteressarsi delle sorti di questo paese impegnato nella dolente ricerca di un futuro sicuramente prospero. Non è un piccolo segno di apprezzamento nei nostri confronti, l'atteggiamento del governatore della Banca Nazionale del Congo, dott. Albert Ndele, grande amico dell'Italia, che ha consentito in extremis, alla vigìlia di una svalutazione monetaria che avrebbe ridotto grandemente il valore in lire dei franchi congolesi raccolti, il trasferimento della somma raccolta con la sottoscrizione. Nel dimostrare tangibilmente con l'aiuto agli alluvionati il loro perenne attaccamento alla patria,, i nostri connazionali del Congo formulano l'augurio di calma, stabilità, progresso per il Paese nel quale operano. Nel ringraziarli, facciamo nostro l'augurio. Giovanni Giovannini Alcuni Africa

Persone citate: Albert Ndele, Alfonso Massari, Cordella, Giovanni Cicuto, Leopoldo Ii, Piscicelli