Consensi e contrasti sul sistema monetario

Consensi e contrasti sul sistema monetario Risultati della conferenza di Londra Consensi e contrasti sul sistema monetario A Londra, il 17 ed il 18 luglio, si e tenuta un'altra riunione del Gruppo dei Dieci; l'insieme dei paesi Industrializzati sui quali, in maggior misura, gravano le responsabilità di una sana amministrazione del sistema monetario internazionale.) A conclusione di quelle sedute, ci si attendeva un riassunto dei risultati raggiunti; in sostanza, le proposte che saranno difese il 25 settembre prossimo, alla conferenza di Rio de Janeiro, in occasione dell'assemblea annuale del Fondo Monetario. Però si sono forse sottovalutate le difficoltà di un fronte comune. Difatto, i punti di vista si sono ravvicinati; ma non abbastanza. Le trattative verranno, dunque, continuate da esperti e semmai un accordo definitivo seguirà ad una nuova riunione del Gruppo dei Dieci, già convocata per la metà d'agosto, un'altra volta a Londra. * * Il Gruppo dei Dieci possiede, a grandi linee, comuni interessi, verso i paesi in sviluppo. Maggiori disponibilità monetarie di questi ultimi stanno a significare maggiori esportazioni di beni strumentali, prodotti in Europa od America. Possono altresì significare aumenti nel livello dei prezzi internazionali, ecc. Il presentarsi a Rio de Janeiro disuniti, significherebbe, per i Dieci, correre il pericolo di soggiacere a pressioni altrui: rese più robuste dal numero soverchiante dei paesi sottosviluppati, nonché dall'aiuto che, questi ultimi, riescono ormai ad ottenere da parte dei funzionari del Fondo. Tuttavia, se vi è un interesse per i Dieci nel sottoscrivere, prima del settembre, un unico progetto comune, resta innegabile che, quanto meno per due grosse e spinose questioni, gli interessi degli anglosassoni da un lato; dei Sei dall'altro, rimangono irrimediabilmente contrapposti. E non è detto che si possa accordarli. Vediamo di che si tratta, Stati Uniti e Gran Bretagna sono oggi gli unici creatori di moneta-riserva; cioè di liquidità internazionale. Ambedue, anche per sollecitazioni altrui, ed a motivo di equilibri economici interni desiderano ridurre quelle-loro emissioni; quanto meno, non accrescerle. Gli sforzi, sia del Regno Unito che degli Stati Uniti per riequilibrare la loro bilancia dei pagamenti, sono elettivamente manifestazioni di codesta politica. I Sei del Mec, oggi, hanno accettato (e non di rado a malincuore) di entrare nel gioco. Creeranno, affidandoli al Fondo, speciali « diritti di prelevamento »; i quali potranno forse esser compresi nelle riserve possedute dalle varie banche centrali ed attenuare le ripercussioni derivanti dalla relativa scarsezza di oro — ai prezzi attuali — sul mercato internazionale. In un certo senso, dunque, (e beninteso, entro certi limiti) gli europei si sostituiscono agli anglosassoni. La differenza dei loro punti di vista relativi sembra evidente. Da ciò però sorgono difficoltà, tutte connesse a questa prima premessa. E' già stato detto che gli anglosassoni, desiderosi si giunga presto ad una nuova moneta di riserva creata dagli europei, erano favorevoli a crediti incondizionati. Per contro, i Sei si sono detti favorevoli soltanto a crediti « condizionati »; pertanto rimborsabili, da parte dei debitori, a scadenza più meno breve. A qualcosa di sostanzialmente diverso, da una moneta riserva. Accettato però questo principio, il problema si sposta. Per qual tratto di tempo dovranno durare i crediti concessi al Fondo, da parte degli europei, per essere poi ceduti ai paesi in difficoltà? Se il periodo massimo è troppo breve, la concessione da parte dei Sei, sul piano monetario internazionale, diviene illusoria. Se fosse troppo lungo, diverrebbe vana l'insistenza dei Sei sul rimborso. Ma dove sta il giusto mezzo? Determinarlo in concreto non è affatto agevole. ' Secondo problema. I crediti dovranno essere concessi in franchi, marchi o lire. Tuttavia, sino a qual punto le varie unità monetarie dovranno concorrere al raggiungimento di un unico importo globale, prefissato? E quale sarà codesto ammontare globale? Gli esperti del Fondo hanno avanzato l'importo di 2 miliardi di dollari l'anno, quali crediti concessi dall'Europa; ma è un ammontare che non trova conferma. Ancora, Quali modalità dovranno seguire i debitori, per rimborsare i debiti, avendo equilibrato, per ipotesi, le loro bilance? Si può cioè pretendere da essi un rimborso equi-proporzionale, con l'utilizzare tutte le attività di riserva: oro, dollari, sterline, diritti di prelevamento? Le conseguenze di una tal decisione potrebbero essere assai numerose. Da ultimo: i diritti di prelevamento europei saranno legati all'oro; cosicché i crediti europei si rivaluteranno nel caso in cui dovesse aumentare il prezzo dell'oro in dollari? Questione spinosissima e le cui ripercussioni, nel momento attuale, possono anche essere potenzialmente assai poco desiderabili. * * Veniamo al secondo problema che pone in contrasto gli anglosassoni ed i Sei. Si tratta delle norme per il diritto di voto. Pertanto, della possibilità per i Sei di bloccare, mediante un divieto, deliberazioni del Fondo che fossero per loro indesiderate. Secondo le attuali norme statutarie del Fondo, per esercitare il « diritto di veto » si deve avere una maggioranza di quattro quinti dei voti validi; cioè l'BOV» dei voti. Oggi, i paesi europei non raggiungono con i loro voti neppure il llVo del totale. Conseguenza: pur mantenendosi uniti e pur contribuendo, come si è vi sto, con i diritti di prelevamento alla liquidità internazionale, non sarebbero in grado di fermare decisioni, da parte del Fondo, che essi giudicassero inopportune, Per questo motivo, gli europei chiedono che le deliberazioni positive esigano una maggioranza dell'85%: ed insistono per modificazioni statutarie che possano valorizzare la loro partecipazione al Fondo. Una tesi che contrasta con gli interessi degli anglosassoni. In conclusione: se a Londra non si è raggiunto un accordo, non è senza buoni motivi. Né il lavoro degli esperti (che in queste settimane sì riuniranno anche a Parigi) sarà agevole. Può anche darsi che il proposito di giungere a Rio de Janeiro con un unico documento, sottoscritto da tutti i Dieci, non giunga a realizzarsi, nonostante il concordare degli interessi dei paesi sviluppati. ' Ferdinando di Fenizia