Interrogato il vigile finito in carcere per indagare sulla pittrice tossicomane di Filiberto Dani
Interrogato il vigile finito in carcere per indagare sulla pittrice tossicomane Ripreso a Genova il processo sul traffico di droga Interrogato il vigile finito in carcere per indagare sulla pittrice tossicomane L'imputato, di 32 anni, è vice brigadiere delle guardie - Dice: «Frequentavo la donna e la sua casa* per scoprire una "gang" internazionale che commerciava stupefacenti. Lo sapevano anche i carabinieri» - Ma l'accusa sostiene che egli procurava morfina alla pittrice e aveva rapporti intimi con lei (Dal nostro corrispondente) Genova, 7 luglio. Nella folla degli imputali che popolano il processo per il traffico di droga che faceva capo a Maria Rosa Faccin, la ventiseienne pittrice morfinomane, il personaggio più singolare è il vice brigadiere dei vigili urbani Gherardo Murgià, un bruno e aitante pistoiese di 32 anni. Se innocente o colpevole lo dirà il Tribunale di Genova nella sua sentenza, ma è certo che il sottufficiale è finito in carcere per rendere un servizio alla causa della giustizia. Sposato e padre di due bimbi, Gherardo Murgia ha sempre sostenuto d'aver frequentato la pittrice all'unico scopo di scoprire un traffico in- ternazionale di stupefacenti del quale era convinto che ella fosse una importante « pedina ». « Lavoro per conto dei carabinieri » aveva dichiarato al momento del suo arrestò, ma la rivelazione non aveva scosso il magistrato in quirente. Nella sentenza di rinvio a giudìzio è detto soltanto che Gherardo Murgia « ha falsificato numerose ricette con prescrizioni di stupefacenti », che ha poi procurato alla pittrice questi stupefacenti « il cui uso non era giustificato da alcuna necessità terapeutica » e che infine tali reati sono stati da lui commessi « per motivi abbietti e cioè per ottenere dalla donna prestazioni sessuali ». Nelle intenzioni del difensore, l'avv. Laerzio De Figueiredo, sì doveva oggi raggiungere la prova contraria di quello che sostiene l'accusaore. Il tenente colonnello dei carabinieri Giambattista Pasini, comandante del Gruppo di Genova, ha aperto la rassegna dei testimoni. Pasini — Nella primavera 1966 il vice brigadiere dei vigili Gherardo Murgia venne nel mio ufficio per riferirmi che, essendo entrato in dimestichezza con Maria Faccin, aveva subodorato qualcosa di poco chiaro: un misterioso andirivieni di gente nell'appartamento della pittrice, in via Ponte dell'Ammiraglio 51 a Quarto, altrettante misteriose telefonate e così via. Aveva l'impressione, insomma, che questo movimento celasse un losco traffico. Presidente — Le disse che era in intimità con la donna? Pasini — Sì. Io lo pregai, lui consenziente, di seguire la situazione e vedere se c'era la possibilità di venire a capo di qualcosa. Da quel momento, tutti i giorni o quasi, a me o al capitano Amerigo Martone del nucleo investigativo, egli riferì sulle persone che frequentavano la casa della donna. Quando vidi che ci sapeva fare, informai il suo comandante, il dott. Angelo Carante, poi chiamai il sottufficiale e gli detti istruzioni raccomandandogli di non esporsi troppo. Presidente — Gli ha forse detto di fare l'agente provocatore, di esporsi ad even tuali illeciti? Pasini — Ovviamente no. Proseguendo nel racconto, l'ufficiale esprime una sua convinzione e cioè che i sospetti del vigile non fossero del tutto campati in aria. C'è, a questo proposito, una let tera che Maria Rosa Faccin. durante le sue frequenti peregrinazioni lungo la penìsola, inviò a Gherardo Murgia, il suo «adorabile pestifero» (co sì lo chiamava) per assicurargli che gli avrebbe fatto ottenere « un incarico da quelle persone » e che assieme avrebbero poi potuto « fare sparire un po' di quella roba ». La lettera, esibita dal testimone, viene acquisita agli atti del processo: dimostra in sostanza, che il sottufficiale dei vigili era convintissimo di seguire le tracce d'una banda internazionale di trafficanti di droga. Pasini — In più occasioni facemmo degli appostamenti, sempre sperando di conclude- iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiuiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiii iniiiiiHiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiniiiMiiiriiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii —— .—a. L'imputata Leda Simoni, colta da malore ieri in Tribunale a Genova, viene sorretta da due carabinieri che l'accompagnano fuori dall'aula (Telefoto Ansa) re positivamente l'indagine, ma per un motivo o per l'altro andò sempre tutto a monte. Nel settembre 1966, infine, il vigile mi disse che non se la sentiva più di continuare quel lavoro. Dato che era un agente di polizia giudiziaria e non un confidente, lo pregai di non perdere i contatti con la donna in attesa di inserire nel « giro » un'altra persona. Qualche mese dopo, però, vi fu l'ondata degli arresti. P. M. — Murgia le riferì di aver alterato le ricette e di aver procacciato droga alla Faccin. Pasini — No, mai. Presidente — Le disse che la Faccin era tossicomane? Pasini — No. Un'altra prova che i sospetti del vigile non erano del tutto infondati l'ha fornita con le sue dichiarazioni il teste successivo, il tenente colonnello Manlio Zuaro, comandante del nucleo carabi¬ nieri del Palazzo di Giustizia. « Nell'aprile 1966 — ha detto l'ufficiale — ricevemmo da fonte confidenziale notizia che in casa di Maria Rosa Faccin c'era un via vai di persone sospette. Apprendemmo poi d'un traffico di droga e individuammo tra i frequentatori della casa il vice brigadiere Gherardo Murgia. La nostra indagine, però, si fermò qui perché venimmo a sapere che della cosa si stava già occupando il gruppo carabinieri ». Lo stesso comandante dei vigili urbani, dott. Angelo Carante, conferma d'aver concesso dei permessi al sottufficiale per consentirgli di svolgere l'indagine per conto dei carabinieri: « Gli raccomandai però di agire con cautela. Era un ottimo elemento ». Era veramente fantomatico questo traffico di stupefacenti? L'interrogativo è rimasto in sospeso e probabilmente rimarrà tale. Maria Rosa Faccin ha già detto che era frut¬ to della sua fervida fantasia. « Ero un po' innamorata di Gherardo Murgia, mi sentivo sola e volevo tenerlo accanto a me raccontandogli quelle storie ». Gherardo Murgia ha ripetuto stamane che egli era ben convinto della sua parte dì investigatore privato. C'era proprio bisogno, gli è stato chiesto, di falsificare ricette e procurare fialette di morfina alla pittrice? « Dovevo farlo — ha risposto — per non perdere la fiducia della donna. Pensavo fosse uno dei mezzi escogitati dai trafficanti o da lei stessa per mettermi alla prova ». Durante l'ultima parte della udienza l'imputata Leda Simoni, di 28 anni, è stata colta da malore ed è svenuta: due carabinieri l'hanno accompagnata fuori dell'aula. Il processo riprende lunedì con la requisitoria del pubblico ministero. Filiberto Dani
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