Colloquio a Milano con Simon Wiesenthal l'uomo più temuto dai criminali nazisti

Colloquio a Milano con Simon Wiesenthal l'uomo più temuto dai criminali nazisti Colloquio a Milano con Simon Wiesenthal l'uomo più temuto dai criminali nazisti Sta seguendo le tracce di circa 300 criminali - « Il novanta per cento delle denunce — dice — mi arriva dagli stessi nazisti ; litigano tra di loro e il più debole si rivolge a me » - Nel suo pericoloso lavoro non ha mai avuto paura ? - Sorride: ogni giorno riceve minacce, sul suo capo c'è una taglia di alcuni milioni - Il caso che più gli sta a cuore? - «Vorrei catturare Borman. E' nascosto in Brasile e so anche dove, ma è difficile arrivarci» (Nostro servizio particolare) Milano, 27 aprile. Facciamo l'ipotesi che Martin Bormann, il vice-Hitler che da ventidue anni se ne sta nascosto in Brasile per sfuggire alla condanna a morte comminatagli dal tribunale alleato di Norimberga un bel giorno venga rapito da un gruppetto di antinazisti, portato di forza in Germania e consegnato alle autorità locali. Che farebbe di lui la magistratura tedesca? Applicherebbe la condanna a morte decisa da un tribunale alleato che oggi non esiste più? Istruirebbe un nuovo processo? Considererebbe regolare e legittima un'azione come il rapimento che viola evidentemente numerosi articoli del codice? Queste le domande, astratte ma stimolanti, che Simon Wiesenthal, l'uomo più temuto dai criminali nazisti sfuggiti alla giustizia, ha posto ieri sera a Milano a un gruppo di amici e di giornalisti riuniti per la presentazione del suo ultimo libro, «Gli assassini sono fra noi » Wiesenthal. va da sé, questi interrogativi non li pone per avere una risposta (alcuni giudici tedeschi da lui interpellati in proposito poche settimane fa risposero che la questione era molto complessa); le fa soltanto per mettere in rilievo i mille problemi cui egli va quotidianamente incontro nello svolgimento della sua straordinaria attività. Alto, pesante, pochi capelli sul cranio lucido, occhi sporgenti, l'uomo che rese possibile la cattura di Eichmann più che a un detective internazionale assomiglia a un mercante di antiquariato. Anche perché mentre parla continua a rigirarsi fra i polpastrelli un piccolo disco d'argento consunto i dall'uso che gli è stato ini viato in dono da una sconojsciuta famiglia ebraica con I l'augurio che gii porti fortuna j nelle sue pericolose missioni. Qualcuno rispondendo alle sue domande suggerisce che tutti i criminali nazisti, una volta catturati, andrebbero trasportati in Israele, come si fece per Eichmann; ma Wiesenthal non è di questo parere; una volta va bene, ma Israele non può essere considerata la «polizia antinazista» del mondo intero. E allora? Consegnarli sempre alla Germania o all'Austria? Affidarli al paese dove commisero la maggior parte dei loro delitti? Interrogativi scottanti che suscitano complessi problemi di diritto internazionale. Secondo Wiesenthal la maggiore responsabilità di questa situazione, che torna a tutto vantaggio dei criminali nazisti, ricade sulle spalle di Stalin e degli stalinisti. Se non ci fossero stati il blocco di Berlino, il colpo di Stato di Praga e altri consimili colpi d'ariete, l'atteggiamento degli occidentali verso la Germania sarebbe stato ben più severo, l'epurazione sarebbe andata molto più a fondo. L'incombente minaccia comunista invece portò al «grande colpo di spugna». Con la conseguenza di moltiplicare gli ostacoli sulla via di tutti coloro che vogliono la punizione dei crimini nazisti. Ciò nonostante Wiesenthal continua pazientemente la sua battaglia. Nelle sue modestissime stanzette viennesi, al numero 7 della Rudolphplatz, con l'aiuto di pochi volonterosi collaboratori, l'anziano ingegnere ebreo continua a tessere la sua rete. Le schede, abbiamo detto, sono più di venticinquemila, i « casi aperti » circa trecento. No, non li cura uno dopo l'altro secondo l'ordine di importanza; li tiene tutti « in emergenza » dando la precedenza a questo o a quello a seconda delle notizie che gli pervengono. I casi che riguardano militari tedeschi che hanno commesso crimini in Italia sono 68; recentemente ne ha inviato la lista completa al nostro ambasciatore a Vienna, corredata da tutte le imputazioni. Il suo lavoro si basa naturalmente sulle informazioni che gli pervengono dai suoi collaboratori disseminati in tutte le parti del mondo e dalle denunce, firmate o anonime, che gli arrivano da privati cittadini. « Il novanta per cento di queste denunce — afferma sorridendo — mi arriva dagli stessi nazisti. 1 vari gruppi litigano fra loro e allora il più debole, non sapendo come contrastare il passo al più forte, si rivolge a Wiesenthal ». Il caso che più gli sta a cuore, va da sé, è quello di Martin Bormann, il numero due del partito nazista. Quello a Bormann infatti non sarebbe il processo a un singolo individuo, ma a tutto il regime, una lezione salutare, un vaccino antinazista valido per tutto il mondo. Le possibilità che le reti si stringano attorno al vice-Hitler tuttavia non sono molte. Se ne sta rintanato in Brasile presso una comunità detta dei « Padri Bianchi » e ogni persona estranea che si avvicina in un raggio di cento chilometri gli viene immediatamente segnalata. Un'ultima domanda. Ha mai paura? Wiesenthal sorride di nuovo. I neonazisti hanno messo sul suo capo una taglia di diversi milioni; quanto alle minacce la posta ogni mattina gliene scarica sul tavolo interminabili sfilze. Senza contare le telefonate anonime, noiosissime soprattutto quando arrivano in piena notte. Ma ormai a queste cose ò abituato da tempo. E poi ora ha anche l'amuleto. Gaetano Tumiati