Cervi presenta al Carignano un gaio «western da camera»

Cervi presenta al Carignano un gaio «western da camera» Cervi presenta al Carignano un gaio «western da camera» «Del vento fra i rami del sassofrasso» del francese Obaldia è una parodia dei film di John Ford - Accanto al protagonista sono Elsa Merlini, Carmen Scarpitta, De Ceresa e la Carrà Del vento tra 1 rami del sas sofrasso è la commedia che Gino Cervi ha scelto quest'anno per il suo ritorno al palcoscenico dopo una lunga assenza fidandosi, abbastanza incautamente (ha dovuto poi affiancarle Processo di famiglia di Fabbri), del successo che essa aveva ottenuto sulle scene parigine, protagonl sta Michel Simon. L'autore è René de Obaldia, i suoi dati anagrafici sono pittoreschi nato quasi cinquantanni fa a Hong Kong, madre francese, padre di Panama. Pro viene, aggiungiamo, dal cosiddetto teatro dell'assurdo dove ha dato, e ancora dà, le sue prove migliori come scrittore comico. Perché ha com posto questo « western da ca mera* come lui stesso l'ha deflnitor Perché ha tentato di t mettere il western in una bottiglia »f In quasi un secolo, sul western è fiorita una vera mitologia, storie e personaggi ci sono familiari come una volta lo erano gli intrecci e le maschere della Commedia dell'Arte, t Mi è bastato — spiega De Obaldia — prega re i personaggi di scendere dagli schermi del cinema e spingerli alla ribalta in car- ne ed ossa ». Ma che fatica poi, aggiunge l'autore, circoscriverne le passioni, ridurre l'azione all'unità di tempo e di luogo! L'impresa è stata possibile soltanto facendo appello ai a grandi spazi della fantasia* dello spettatore. Immaginiamo allora che torme di urlanti pellerossa, aizzate da perfidi fuorilegge, abbiano costretto i Rockefel ler (cognome fatidico, alla fine salta fuori il petrolio) ad asserragliarsi nella loro fattoria del Kentucky. Subito ritroviamo il patriarca rude e autoritario, la madre-angelo dei-focolare, un figlio e una figlia che mordono il freno come puledri selvaggi. E ri conosciamo il medico fallito e ubriacone, la prostituta dal gran cuore, il giustiziere ine sorabile, l'indiano buono e l'indiano cattivo. In questa fattoria, naturalmente, si spara. Ma anche si beve, s'impreca, oppure si prega il biblico Iddio dei pionieri, e si balla e si canta in attesa dei « nostri *, che arriveranno senza fallo, men tre il medicastro e la donna perduta ùi redimono con un matrimonio in extremis (ma non ci sono morti; se ci sono, resuscitano), la figlia finisce tra le braccia del tenebroso straniero, il figlio trova la gloria in una pistola e in una. stella di sceriffo. E il sassofrasso? Ah, già: un albero di alto fusto, spiegano le enciclopedie, e i segnali degli indirmi assomigliano al fischio del vento tra i suoi rami. Una parodia del western, dunque. Ma non è una novità, tanto meno se si vuole rifare il verso ai film di John Ford, mentre avrebbe più sa pore, caso mai (ma Obaldia ancora non li conosceva), affogare nel ridicolo i western all'italiana. In confronto ad essi, l'epopea fordiana, per quanto stereotipata, è un fresco e innocente idillio. Obaldia ha anche tentato di innestare sul tronco inaridito del boulevard alcuni modi del teatro di avanguardia. Con risultati piuttosto incerti tuttavia, anche se il suo « pastiche > è abbastanza ricco di giochi verbali alla Queneau e di spinosi anacronismi che Massimo Dursi, eccellente riduttore del testo originale, si è sforzato di rendere acces sibili al nostro pubblico magari cercandone gli equivalenti italiani nella parodia, ad esempio, del melodramma. Rivisto a qualche mese di distanza dalla prima milanese, lo spettacolo ha ora una maggiore stringatezza e anche più brio. Ma vale pur sempre l'osservazione che avrebbe potuto scorrere più spedito e riuscire meno convenzionale se il regista Sandro Bolchi si fosse almeno ricordato dei western che ha visto da ragazzo. E poi, cosa volete, ci sono spettacoli che nascono zoppi e questo| non si è proprio riusciti a raddrizzarlo sia che il difetto stia nel manico, cioè nel non eccelso testo originale, sia che vada cercato nell'edizione italiana che la scenografia di Bruno Salerno, i costumi di Franco Carretti e soprattutto le scaltre musichette di Fiorenzo Carpi si sforzano di puntellare. Per il resto, soccorre il talento degli interpreti. E di talento Gino Cervi ne ha in abbondanza, anche se talvolta qui appare restìo a spenderlo. Ma se si ride è pur merito suo, come di Elsa Merlini che ravviva con l'ironia il suo personaggio di mamma Rockcfeller. Meno a loro agio si direbbero Raffaella Carrà, ed è strano per lei che viene dalla commedia musicale, e Ferruccio De Ceresa che per fare il medico baciabottiglie poteva almeno ripassarsi il Thomas Mitchell di Ombre rosse. Afasstmo Foschi si prodiga anche più del solito poiché oltre a sostenere una doppia parte di capo indiano deve sostituire un collega malato, Guido Marchi se la cava con decoro. Ma la più brava è forse questa volta Carmen Scarpitta che sembra fatta su misura per questo genere parodistico e canta, balla, si spoglia come si conviene a una ragazza da saloon di facili costumi e di buoni sentimenti. Pubblico folto, molte risate e applausi cordiali. Ma si replica soltanto sino a domenica, evidentemente il western n riesce a rimanere a lungo imbottigliato. Alberto Blandi

Luoghi citati: Hong Kong, Kentucky, Panama