Festoso ritorno al Teatro Nuovo dell'«ltaliana in Algeri» di Rossini

Festoso ritorno al Teatro Nuovo dell'«ltaliana in Algeri» di Rossini JLa stagione lirica torinese organizsata dall'Ente Regio Festoso ritorno al Teatro Nuovo dell'«ltaliana in Algeri» di Rossini E* un'opera comica più importante di molte tragedie - L'esecuzione diretta da Fernando Previtali; protagonista Anna Maria Rota, con Enrico Campi, Luigi Alva e Renato Cesari Non è facile oggi rendersi conto della situazione per cui Rossini, al suo apparire, fu salutato come un innovatore, giunto in buon punto a riscuotere il melodramma italiano dalle secche in cui sembrava arenato dopo il tramonto dei grandi operisti settecenteschi. La lunga sopravvivenza dell'artista alla propria opera e il prodigioso cammino percorso dal gusto musicale sotto la spinta del Romanticismo ebbero presto fatto a stampargli addosso le qualifiche poco lusinghiere di retrogrado, conservatore, reazionario. Ben diversamente lo intesero in quel 1813 che, com'era l'anno del suo ingresso anagrafico nella maggiore età, così lo trasse dal ruolo di promettente giovane autore e 10 consacrò alla fama attraverso le affermazioni del Tancredi nell'opera seria, dell'Italiana in Algeri nell'opera comica, e del Signor Bruschino nella farsa musicale. Per i contemporanei fu la magica apertura su nuovi orizzonti della musica, e 11 romanziere Rovani, scrivendo nel 1868 che L'Italiana in Algeri «è ancora l'opera buffa del Cimarosa », mostrava semplicemente d'avere smarrito il senso d'una situazione storica che del resto egli, nato nel 1818, non aveva conosciuto di persona. Per nessuno che vivesse in quel 1813 Rossini avrebbe potuto « per avventura confondersi con Paisiello ». Tutta tesa sugli spigoli della vita ritmica, fino a sfiorare la natura strumentale, la vocalità rossiniana era un fatto completamente nuovo in confronto alla dolcezza della cantilena settecentesca. Le dimensioni dell'orchestra, e la sua partecipazione al discorso musicale, spesso in primo piano, relegando le voci a un declamato comico quasi salmodiante, fecero sensazione. Era prima di tutto il « suono » dell'opera rossiniana a riuscire nuovo, inaudito per l'epoca, proprio la dimensione fonica delle voci e dell'orchestra e del loro rapporto. Né la novità trovò tutti consenzienti. Ai nostalgici delle soavi ariette di Paisiello, Rossini pareva insopportabile per la sua bruciante vitalità sonora, per il dinamismo ritmico, per l'estroversa e rumorosa orchestrazione. Stendhal scriveva di non conoscere una musica così « fisica » come quella di Rossini. I gentiluomini attardati del Settecento dicevano lo stesso, con segno contrario, quando la giudicavano volgare. Neil' Italiana in Algeri straripa irresistibile quella fisicità scandalosa che fa della musica di Rossini una vera e propria categoria dell'essere, sgradita ai moralisti e alle anime belle. In quel concerto di sospiri, di singhiozzi e lamenti che la musica andava a diventare sotto l'impulso del Romanticismo, e già ci si era avviata nel Settecento, trasformando l'opera comica in commedia lacrimosa, Rossini ignora superbamente l'elegia, la malinconia, il sentimentalismo. La sua arte vive tutta in una unica dimensione: il presente. Mai la sfiorano le sterili velleità del sogno o della nostalgia. Ma in quel presente ci sta abbarbicata con radici di quercia. Il rifiuto delle illusioni e dei miti, il riconoscimento crudo e schietto della realtà, così com'è, senza veli, senza infingimenti, senza diaframmi d'alcuna ideologia, fanno di Rossini il punto d'arrivo d'una lunga schiatta di italiani disincantati, dallo sguardo snebbiato. Capostipite, il Boccaccio. E poi Ariosto, Machiavelli (e più ancora Guicciardini), l'abate Galiani, Gioacchino Belli. A un passo ci sta il disperato coraggio di Leopardi. Rossini, il Rossini comico, è di quella razza lì. La razza degli italiani che Gobetti avrebbe voluto riunire nella federazione degli « àpoti », quelli che non la bevono. Per questo il comico di Rossini è più importante di tante tragedie pretensiose. In questo clima di lucida penetrazione dell'intelligenza, al mondo espressivo di Rossini non manca neanche un registro. C'è tutto: c'è l'allegria e c'è la tristezza, c'è l'amore, il dolore, la speranza, l'affanno, la tenerezza, lo sgomento. Nell'Italiana in Algeri ci sono perfino, inopinatamente, l'orgoglio nazionale e il patriottismo. Ma, a differenza di quanto avviene nell'arte romantica, non c'è neanche uno di questi aspetti a cui l'artista si leghi con un'adesione personale. Far proprio un affetto più che un altro, parteggiar per un carattere contro un altro, era per Rossini altrettanto assurdo quanto parteggiare per una o altra delle sette note musicali. Il grottesco Bey d'Algeri, lo stolido Taddeo, la scaltra Isabella e il gentile Lindoro sono altrettanti elementi della sua tastiera, tutti ugualmente importanti per costruire l'edificio musicale dell' Italiana in Algeri Quest'opera cruda e luminosa gode a Torino d'una certa fortuna. Di qui prese le mosse nel 1925 per la sua rinascita, con l'esecuzione diretta da Gui al Teatro di Torino. Ritorna ora nella stagione del Regio, ed è la terza volta che si eseguisce nel giro dì quarantanni. (Alla Scala fu messa in scena soltanto due volte negli ultimi 100 anni!). Nella sua apparenza lieve, è un'opera difficile, trei «ndamente scoperta, ed ha la precisione d'un meccanismo d'orologeria, che il minimo granello di polvere basta ad inceppare. E' stata una scelta felice affidarla a Fernando Previtali, un direttore nemico di smancerie e di svenevolezze, che sembra tagliato apposta per il rifiuto rossiniano del grazioso, del sentimentale. Piccoli particolari d'insieme potranno essere ulteriormente messi a punto, ma la strada maestra dell'interpretazione è quella che Previtali ha seguito: una specie di concentrato furore, un'allegra ferocia, tutta tesa sulla vita intrinseca del ritmo e della dinamica. La concertazione di Previtali ha tratto il miglior partito dal quartetto delle voci principali: il mezzosoprano Anna Maria Rota, vocalmente in forma e notoriamente spiritosa; il tenore Luigi Alva. in una parte che gli sta a pennello; lo spassoso basso Enrico Campi, e infine il baritono Renato Cesari, noto interprete di parti drammatiche (lo ricordiamo nell'Angelo di fuoco di Prokofiev), qui sorprendente nella macchietta del balordo Taddeo. Il tenore Guido Mazzini ha cantato con garbo la bella aria su « Le femmine d'Italia » che, còme è noto, « son di¬ sinvolte e scaltre », e il soprano Luciana Gonzales e il mezzo-soprano Bianca Bermi si sono disimpegnate discretamente. Merita elogio anche il coro, istruito dal maestro Brainovich, ed infine va detto che lo spettacolo fila egregiamente, sì da costituire uno dei momenti alti di questa stagione, grazie all'agile regìa di Filippo Crivelli, giocata su toni da commedia dell'arte, e alle scene di Franco Zeffirelli, un po' caramellose negli esterni, ma divertenti Uno spettacolo sotto il segno dell'intelligenza e dello stile, che il pubblico, un po' tiepido, non ha forse inteso in tutta la sua portata, pur facendo agli interpreti e al direttore le più liete accoglienze. Massimo Mila Vitaliano in Algeri sarà replicata domani, domenica, alle |15,30 e mercoledì sera alle 21.

Luoghi citati: Algeri, Italia, Torino