Il chirurgo di Napoleone di Marziano Bernardi

Il chirurgo di Napoleone Il chirurgo di Napoleone Mari* Dogliotti, il grande Chirurgo «comparso, mostrava Volentieri agli amici un raro ■litografo che gli era stato donato da Gustavo Rol, appas,lionato collezionista di cimeli napoleonici. E' un ordine dell'imperatore alla sera di una dura battaglia: sei righe di scritto siglate dalla fatidica « N », quattro dettate, due vergate da Napoleone stesso. Le traduciamo: « Signor Larrey, conto sul vostro zelo per soccorrere prontamente i feriti che sono stesi in questa pianura. Ordino al Duca di Reggio di restare col IT Corpo a guardia del campo di battaglia. Tutti i feriti devono essere portati a Dresda. Wurzcn il 21 alle ore 8 di sera ». C'è un errore di grafia: non Wurzen, ch'è una cittadina presso Lipsia nelle cui vicinanze, a Liitzcn, Bonapartc aveva combattuto e vinto a stento venti giorni prima; ma Wurschcn, villaggio della Sassonia in prossimità di Baut/.cn. Quanto al « Duca di Reggio », si sa ch'era il maresciallo Nicola Carlo Oudinot, eroe di Wagram, che nella sanguinosa battaglia di Bautzen comandava l'ala destra dello schieramento francese contro i russo-prussiani. Sul messaggio Napoleone corresse di sua mano: « migliaia di feriti ». Siamo dunque agli inizi del la tremenda campagna di Germania del 1813. L'epopea declina, le sorti dell'impero, dopo un quindicennio d'ecatombi di uomini, sono ormai in gran parte affidate alle giovanissime, inesperte eppur impavide reclute che i veterani chiamano « Marie-Louise »; e Raffet nella sua litografia li farà marciare al fuoco trepidanti e orgogliosi: « Attentionl l'empereur à l'oeil sur nousl ». A Liitzen, il 2 maggio, hanno faticosamente strappato la vittoria, che a Bautzen è sfolgorante ma non decisiva per la scarsezza di cavalleria. Alla fine della seconda giorna ta di Bautzen, combattuta sul campo appunto di Wurschcn, Napoleone esclama: « Ma come! dopo questo macello niente prigionieri! Quella gente non mi lascerà nemmeno un chiodo! ». L'avvertono che il maresciallo Duroc, al quale aveva parlato appena allora, colpito da una cannonata è moribondo: Duroc, il fedelissimo fin dalla Prima Campagna d'Italia Lo piange per tutta la sera, seduto davanti alla tenda. Ma chi era Larrey, del quale Dogliotti parlava con profonda ammirazione, quasi nel suo sentimento umanitario sentisse ri vivere quello del suo lontano predecessore? C'è un quadro di pinto da Paul-Emile Boutigny, uno dei tanti pittori che ancora nel tardo Ottocento s'ispiravano alle gesta napoleoniche che lo rappresenta nel cortile d'una casa colonica pieno di feriti nella battaglia di Essling; a capo della barella su cui giace il maresciallo Lannes, duca di Montebello, con le gambe fracassate. In piedi, cinto del grembiule macchiato di sangue, guarda l'imperatore inginocchiato presso il fratello d'armi; s'appresta a tentare l'amputazione: Lannes morirà di lì a poco. Nemmeno Dominique Larrey, barone dell'impero, chirurgo capo della Grande Armée, operatore celebre in tutta Europa, salvatore d'innumerevoli combattenti maciullati e straziati, poteva compiere miracoli; e tanto meno coi mezzi di allora. Tuttavia i grognards quando sanno che Larrey è alle loro spalle muovono sul nemico tranquilli, certi d'essere tempestivamente soccorsi se saranno feriti. La sera dell'8 febbraio 1807, la sera dell'orrenda carneficina di, Eylau, mentre Napoleone visita costernato la ambulanza della Guardia1 si levano voci all'indirizzo del chirurgo che alla luce fumosa delle torce di resina, coi piedi nel fango intriso di sangue, continua a tagliare, a segare, a cucire carni e ossa martoriate: « Sire, ecco il nostro salvatore! ecco il nostro padre! noi gli dobbiamo la vita ». E' una delle atroci scene descritte da André Soubiran, il noto autore di Les hommes en Mane, nel suo volume ora edito a Parigi presso Fayard, Le baron Larrey chirurgien de Napoléon, un libro d'eccezionale interesse malgrado la sua prolissità: e ne esce completa la figura straordinaria di un uomo che per più di cinquantanni pose il suo magnifico talento (nel 1836 il giornale di Emile de Girardin, La Presse, lo salutava «le premier chirurgien de l'epoque actuelle*) a lottare contro la morte di migliaia di persone a lui sconosciute, consumando le sue forze al di là d'ogni dovere impostogli dal suo altissimo ufficio, assumendosi terribili responsabilità che gli facevano sfidare il conuccio del sovrano e degli onnipotenti marescialli, spinto da una inesauribile pietà per gli infelici che giacevano ore ed ore con le ferite sanguinanti, abbandonati sul terreno gelato di Austerlitz o sotto il sole rovente di Wagram, Proprio per rimediare a simili spaventose condizioni Larrey, giovanissimo chirurgo militare addetto all'armata rivoluzionaria del Reno nel 1792 (era nato a Bcaudéan negli Alti Pirenei nel 1766, aveva appreso il mestiere da uno zio all'ospedale della Grave a Toulouse dove le dissezioni si compivano su cadaveri putrefatti, poi all'Hòtel-Dieu di Parigi sotto il valente Desault, il quae si ostinava a pretendere che ogni letto accogliesse solo due infermi invece di cinque), aveva ideato le « ambulanze volanti », carrette di soccorso che si portavano nel pieno del com battimento. Scrisse nei suoi Mémoires: t Per la prima volta un medico si trovava nella mischia. Ciò fece grande impressione ai soldati, già tutti persuasi d'essere assistiti appena feriti e portati via dal campo di battaglia». Quando nel 1797 Bonaparte assistette, alle manovre di Udine, alla dimostrazione di queste « ambulanze » ormai perfezionate, disse a Larrey: « E' una delle più felici concezioni del nostro secolo e basta ad assicurare la vostra fama »; e lo volle con sé nella spedizione d'Egitto insieme con l'illustre medico militare di tutte le campagne napoleoniche, Desgenettes: quello che si vede accanto al generale nel celebre quadro di Gros, « Gli appestati di Giaffa», ch'è al Louvre Grande organizzatore dei servizi sanitari di guerra, ma contemporaneamente meraviglioso operatore. Asepsi e anestesia non erano allora neppur pensabili e Larrey fu sempre energico sostenitore delle am putazioni immediate per evitare la cancrena. I feriti stringevano i denti resistendo stoicamente allo strazio del bisturi e della sega; prodigiosa era la sopportazione del dolore degli uomini di centocinquant'anni fa: ed accadeva che qualcuno tornasse subito al combattimento agitando il moncherino Nell'amputare, la rapidità è l'abilità del chirurgo capo della Grande Armée sbalordivano colleghi presenti; e quasi tutti i suoi pazienti si salvavano. Nelle ore seguenti la battaglia di Liitzen, Larrey eseguì da solo « dix-huit amputations du bras à l'épaulc »; il villaggio era trasformato in un carnaio. La sua vita si passò sui campi di battaglia da Somosierra alla Beresina, dove nel tragico « si salvi chi può » i soldati gridano: « Fate largo al signor Larrey! », splendida testimonianza di gratitudine al creatore di un finalmente umano Service de Sante; e nello stremante lavoro di chirurgo: sono duecento le amputazioni di sua mano dopo il massacro della Moscowa. E riusciva tuttavia ad attendere a pubblicazioni scientifiche ammirate in tutta Europa. Adorava la moglie, la famiglia, e soltanto in vecchiaia potè goderne l'intimità, orgoglioso dei successi del figlio Ippolito, anch'egli valente chirurgo militare. Gravemente ferito e fatto prigioniero a Waterloo fu onorato da Bliicher come un ospite illustre. Non esitò al rischio di cadere in disgrazia di Napoleone suggestionato dal maresciallo Soult che dopo Liitzen chiedeva la fucilazione di sessanta adolescenti reclute sospettate d'autolesionismo. Inorridito s'oppose con argomenti professionali, proclamando: « 11 medico è e deve essere l'amico dell'umanità ». Morì a Lione nel 1842. Ven tun anni prima s'erano spenti a Sant'Elena i « rai fulminei » del suo imperatore che aveva dettato per il testamento: « Lego al chirurgo in capo Larrey centomila franchi. Egli è l'uomo più virtuoso ch'io abbia mai conosciuto ». Marziano Bernardi