La Carnia, una comunità esemplare che affronta da sola grossi problemi di Paolo Monelli

La Carnia, una comunità esemplare che affronta da sola grossi problemi Territorio montuoso e povero, gente avitissima e generosa La Carnia, una comunità esemplare che affronta da sola grossi problemi (Dal nostro inviato speciale) Tolmezzo, 5 aprile. Da tre anni si è costituita in questa parte nord orientale della penisola la regione FriuliVenezia Giulia; ma da vent'anni esiste entro quelli che oggi ne sono i confini una specie di regione minore, ben definita, la comunità cantica (regione minore, ma da proporre a modello alle grandi; senza alcun apparato burocratico, un parlamentino di quaranta sindaci che non hanno stipendio ne indennità di sorta, ed una giunta di undici membri). La comunità cantica comprende la Carnia propriamente detta, cioè l'alto bacino del Tagliamene ove ebbero stanza i primi abitanti, i carni; e il Canal del Ferro e la Val Canale, cioè la Valle del Fella fino alla frontiera con l'Austria e la Jugoslavia. E' un consorzio di comuni abitati da gente della stessa stirpe, che parlano lo stesso idioma, il friulano (salvi gli slavi ed i tedeschi d'oltre Pontebba, due antichissime oasi altotedesche a Timau ed a Sauris, e gli abitanti della Val di Resia che accanto al friulano conservano un curioso idioma paleorusso; e si vantano in una loro villotta di discendere da russi capitati una decina di secoli fa, chissà per che modo, in questa bella aprica valle ai piedi del Monte Canìn: « Da la Russia l'antenàt - stabilii sot il Cianiti »). La comunità, appena costituita, nel 1947, dovette affrontare le questioni derivanti dalle recenti vicende belliche e dalla occupazione straniera, e le conseguenze ancora sensibili della prima guerra mondiale che dissanguò le valli; vi partecipò la popolazione intiera, le donne furono la « sussistenza » dei battaglioni alpini che stavano sul Pai Piccolo, sul Pai Grande sul Frcikofel, portando fin sulle prime linee bombe, cartucce, legna, con rischio di vita; la caserma di Paluzza è intitolata ad una di esse, la vedova Maria Plotzncr Mentii, che fu ammazzata da un cecchino. Il problema più urgente è quello di ovviare allo spopo lamento di queste valli, restaurandone l'economia. Triste epopea, quella della emigrazione stagionale di questa gente, che dura da secoli. Pena di tutta una vita. Partivano gli adolescenti come garzoni di compaesani o di parenti anziani che li obbligavano ad una rigida parsimonia per far più sostanzioso il gruzzolo da portare alla famiglia. (C'è la storia di uno di questi garzoni che dopo aver lavorato tutta l'estate in Germania con uno zio severissimo, rientrando a piedi al suo paese trova sul passo di contine un crocefisso, un Cristo di legno così magro, così macilento, che gli vicn da chiedergli: « Signor, Signor, seiso stat ance vo' cun gno' barbe Tin [con mio zio Valentino] a lavora in Germanie? »). Ancora oggi questi montanari sono costretti a compensare le avare risorse locali con una intensa emigrazione, e purtroppo non sempre soltanto temporanea; dalla fine dell'ultima guerra fino al 1961 trentaseimila abitanti hanno abbandonato definitivamente i loro paesi. La comunità cantica si dà premura di creare nuove possibilità di lavoro con opere di bonifica montana; e rimettendo in esercizio antiche cave di marmo abbandonate da secoli (a Timau e a Paularo), promovendo il sorgere di stabilimenti industriali allo sbocco delle vallate, ridando impulso a tradizionali attività come l'artigianato artistico, creando o perfezionando scuole professionali a Tolmezzo, a Paluzza, ad Ampezzo, a Comeglians, a Tarvisio, a Pontebba. Ed infine cerca una rinascita nel turismo, estivo ed invernale, con progetti di alberghi, di strade, di teleferiche. Si pensa di includere nella comunità Sappada, che oggi è in provincia di Belluno, ma fece par te della Carnia per quattro secoli, attivo centro di sport invernali; e questo sarebbe anche nei voti di quelli di Sappada che pensandola come Giulio Cesare preferirebbero essere la più importante stazione inver naie della Carnia povera che la seconda, dopo Cortina, del ricco Cadore. E per buono auspicio si è creata una scuola alberghiera ad Arta, che fu il primo luogo turistico della Carnia per certe sue acque solforose, ed ha il suo titolo di nobiltà nel fatto che l'estate del 1885 andò a villeggiarvi Giosuè Carducci. Ben venga il turismo ricco e numeroso a dare agiatezza a queste valli. Ma sarebbe un peccato se si aprissero le porte senza cautela ai soliti speculatori con i loro ostelli di trecento camere, con l'irritante soffocante attrezzatura che aduggia ormai tutti i più celebrati luoghi di montagna. Guai se dovessero andar perduti per sempre questi aspetti desueti che ha ancora la Carnia, una vaghezza ancora intatta, salve le offese della natura, di vaste foreste e verdissimi pascoli e antichi e composti paesi; che non è indice di ritardato sviluppo, ma coscienza dei propri caratteri etnici e culturali. I carnieli andando in giro in tutto il mondo per generazioni hanno fatto confronti, hanno sperimentato le loro virtù a contatto di genti più ricche ma meno civili; e quando tornano a casa non si affrettano come altrove a trapiantarvi usanze forestiere. C'è da sperare che si difendano bene, che sappiano fare alle loro bellezze naturali una propaganda intelligente, senza storture mondane; c'è tanta gente, in Italia e fuori, che cerca per le vacanze quella tranquillità, quel silenzio, quella varietà di aspetti originali che essi possono offrire, e non si trovano più nelle pacchiane metropoli montane. A Pcsariis, antico paese nella valle del Rio Pcsarina, una delle più belle case è stata restaurata con molta fedeltà e se ne è fatto un accogliente albergo, con mobili nello stile locale ed il tradizionale jogoltir nel mezzo di una stanza, con la cappa del camino piramidale e le lucide panche di legno tutt'intorno. C'è da augurarsi che l'esempio trovi imitatori. E che faccia scuola la prudente deliberazione del Consiglio comunale di Cercivcnto in Valcalda (così detta perché è fredda: « calda » in questo caso è il kalt » tedesco). Si discuteva se convenisse allargare la stra-1 da che traversa l'abitato per farvi passare i pullman di una società di Milano. Prevalse il parere di un savio assessore: « Perché dobbiamo fare i commodi di quei signori di Milano? "Ca strettii lis corrièris", facciano le corriere più strette». Anche i giovani, non pare siano ammalati come altrove di « progressite ». Di questi giorni sono stati qui per le vacanze in famiglia ragazzi che studiano alle Università di Padova, di Bologna, di Milano; e spesso le sere si radunavano a cantare villotte, le antiche romantiche nostalgiche quartine in ottonari, sempre quelle, da lustri o da un secolo, che sono tanti capitoletti della storia in ti ma del Friuli, amori, gelosie, vicende storiche, nostalgie di emigrati, fatica di vivere; preghiera e lamento e labili esplosioni di gioia; che spesso non hanno alcun senso per chi è di fuori c per la gente del luogo un arcano valore di evocazione. Una sera sono venuti a tro vanni all'albergo il sindaco, un banchiere con due figli giovinetti, il presidente della comunità carnica, il colonnello comandante l'80 Alpini, altri notabili; e mi hanno cantato villotte per tre ore, lubrificando psv le gole con i sapidi vini dei colli e della bassa, Merlot, Tocai, Cabernet, Refosco. Avvenne che una certa canzone la cantarono cinque volte di seguito: appena finita la riprendevano da capo. Mi era nuova; e me ne feci scrivere il testo. Eccolo. « Sul putrii di Braulìns - al è passai un asìn - cu la cossute piene di luvìns. - Trop j u vendeiso, - trop j u vendeiso, parati? - Una palanche piene la sedòn. - E quant tornaiso, paiòli, par chi? - Doman di sere, prime di l'imbrunì ». (Sul ponte di Braulins è passato un uomo della Val d'Arzino, con il paniere pieno di lupini. «A quanto li vendete, a quanto li vendete, buon uomo? ». « Per ( t siiiiiìiiirtriiiiEiriiiiitiiiiii Jitr due soldi pieno un cucchiaio ». « E quando ripassate, buon uomo, quando .ripassate di qui?». « Domani sera, prima dell'imbrunire »). Mi hanno cantato, quella sera, anche villotte che non sono nate quassù, quella del vino di Latisana « Vendcmiàt su la stagion », quella del castello di Udine, quella della bella goriziana; e allora m'è venuto in mente di chiedergli se davvero ci sia un certo antagonismo fra i carnicli e gli altri friulani. Si sono messi a ridere. E' vero, mi hanno detto, tutti i friulani, dalla Livenza all'Isonzo, dai passi alpini al mare si canzonano a vicenda, si stuzzicano; e se quelli della Bassa prendono in giro i carnicli che scendono al piano con la pipa in saccoccia senza un'ombra di tabacco, i carnicli rispondono mettendo in ridicolo i cittadini di Udine e di Cividalc che vengon su azzimati, « vestiti di rosso e di giallo »; ma un'altra villotta dice che le carniele corrono subito allo specchio a farsi i ricci per piacergli. Frizzi, ripicchi. Ma i carnieli si sentono fratelli agli altri, tutti figli della stessa piccola patria, « la patria del Friuli »; con lo stesso orgoglio di avere per idioma la nobilissima lingua ladina e non un dialetto, di essere stati nei secoli guardie di frontiera contro i barbari, di essere andati all'estero con i loro ingegnosi mestieri come i friulani di Spilimbergo, di Sequals, di Osoppo, di Torreano, etc. etc, « fattori di civiltà in ogni parte del mondo », come li ha definiti Jan Ncruda, poeta nazionale ceco del secolo scorso. Paolo Monelli

Persone citate: Fella, Giosuè Carducci, Merlot, Refosco