Inutili i piani economici senza riforma della burocrazia

Inutili i piani economici senza riforma della burocrazia I dipendenti dello Stato costano oltre 2300 miti Inutili i piani economici senza riforma della burocrazia Nella seduta di venerdì scorso la Camera ha approvato il programma quinquennale di sviluppo. Esso costituisce un serio tentativo di inquadrare la politica economica e finanziaria del paese entro assennate linee, nel proposito di incrementare ogni anno le risorse disponibili e di impiegarle in giusto rapporto tra consumi ed investimenti: in spese correnti ed in spese in conto capitale per quanto concerne il bilancio dello Stato. Non sarebbe giorno felice quello in cui si dovesse constatare che il programma non si è potuto realizzare: ma tale pericolo esiste e contro Ji esso occorre provvedere in tempo. La realtà comincia a rivelarsi con aspetti inquietanti. Il programma quinquennale costituisce un complesso di buone e ferme intenzioni, su cui, superate molte polemiche di ordine generale e salvo qualche insoddisfazione settoriale o territoriale, la grande massa delle persone responsabili sono d'accordo. Ma la politica del Tesoro, che non può camminare soltanto sulle oneste intenzioni, perché troppo spesso condizionata da pressioni o da forza delle cose (rispetto alle quali il ministro del Tesoro è impotente), minaccia di camminare su strade divergenti da quelle volute dal programma. Il ministro del Tesoro potrebbe un giorno trovarsi dinanzi ad una situazione in cui, per la ingenerosità (e talvolta la faziosità) della polemica politica, dovrebbe respingere l'affermazione che la politica di piano non è riuscita perché le vicende della Tesoreria l'hanno bloccata o distorta. Spinosa situazione, quella del ministro del Tesoro, in tutti i tempi.ed in ogni paese, non invidiabile per chi l'ha provata. Bisogna decidersi: o si vuole la polìtica di piano, ed allora tutte le forze responsabili debbono tener conto delle previsioni e limitazioni del piano ; o non si vogliono o non sono possibili alcune necessarie limitazioni, ed allora si inganna l'opinione pubblica lasciando credere nell'integrale realizzabilità del piano. Nel suo magistrale articolo del 18 dicembre scorso, Jemolo contrapponeva una Italia ideale, di cui aveva sognato, all'Italia bonaria, ritrovata nel destarsi: Italia bonaria in cui tutto si aggiusta sul piano dei compromessi e dell'empirismo. Probabilmente così potrebbe avvenire per le divergenze fra politiche di piano e di Tesoro: ma le conseguenze per l'espansione economica e per il progresso sociale sarebbero negative. * * Se si approfondiscono le ragioni del contrasto tra le due politiche, il discorso cade ancora una volta sulle spese correnti dello Stato. Contro la loro dilatazione si battono i ministri finanziari, e fortunatamente i maggiori organi di stampa e l'opinione pubblica si schierano a loro favore. Gli incrementi di spesa di questi anni sono nettamente superiori a quelli previsti dal piano. In particolare le spese per i dipendenti dello Stato sono ragione di grave preoccupazione, per quanto essi, individualmente, siano tutt'altro che in floride acque. Abbiamo una massa di dipendenti senza dubbio eccessiva, almeno in parecchi settori, rispetto alle esigenze del servizio, beninteso nell'ipotesi di un lavoro pieno ed efficiente. Ma, all'atto pratico, i diversi capi servizio — pur ammettendo in privato che potrebbero, anzi desidererebbero, libe rarsi di parecchie unità — ufficialmente quasi tutti si lamentano di scarsità di personale: il che è talvolta vero, ma altre volte non lo è. Quando, quindici anni fa, l'Istituto centrale di statistica chiese alla Presidenza del Consiglio ed al Tesoro l'assunzione temporanea di un migliaio di unità per elaborare i dati del censimento 1951, chi scrive si illuse di poterle reperire fra il personale esuberante nei diversi ministeri (e si trattava di personale d'ordine!). Quasi tutti i direttori generali eccepirono che il loro personale era fin troppo scarso e ci volle tutto il prestigio di Alcide De Gasperi per reperire, se ben ricordo, ventisette (dico ventisette) unità. Sarebbe di grande interesse analizzare la composizione della imponente famiglia dei dipendenti dallo Stato: necessita, per brevità di spazio, limitarsi ad alcune cifre riassuntive. Da una lodevole indagine della Ragioneria generale, essi, al 1" marzo 1966, ascendevano a 1.346.090, con un aumento di ben 288.478 unità rispetto al 1" luglio 1951. Vi sono comprese le Aziende autonome, ma non sono compresi i dipendenti non vincolati da un vero e proprio rapporto di impiego o di lavoro. H preventivo 1967 registra oneri di personale per 2332 miliardi, escluse le Aziende autonome, provviste di separato bilancio e non incluse le analoghe spese recate da provvedimenti legislativi in corso, considerate negli appositi fondi speciali. Occorre, inoltre, aggiungere 493 miliardi per personale in quiescenza. Da alcune settimane, tutto il fronte del pubblico impiego si sta muovendo ed il governo cerca di tamponare come può la situazione coll'offerta di 400 miliardi in cinque anni. Non discuto né le aspirazioni dei dipendenti né il possibilismo del governo: constato che sarà sempre più divergente l'aspirazione della politica di piano dalla realtà della politica del Tesoro. Spiace, ma è così. * * Come venirne fuori? Sul piano generale mi permetterei suggerire al ministro del Tesoro di provocare incontri interministeriali, in particolare col ministro del Bilancio, per addivenire a periodiche (semestrali?) «conciliazioni» fra politica di piano e politica di bilancio. Se la forza delle cose travolgerà alcune possibilità del piano, occorrerà procedere agli opportuni raggiustamenti e tenerne informati Parlamento ed opinione pubblica. Per quanto riguarda gli statali, il problema dei miglioramenti economici si intreccia col problema della riforma. Nel 1950, quando De Gasperi affidò ad un ministro senza portafoglio l'incarico della riforma della pubblica amministrazione, pensava ad un compito di breve durata, non oltre le elezioni del 1953. Nonostante gli sforzi dei valorosi ministri che si sono succeduti, oggi, dopo 17 anni, siamo all'incirca al punto zero. Molto meglio riportare la materia alla Ragioneria generale dello Stato, da cui già dipendeva, ed affidare direttamente alla Presidenza del Consiglio le direttive per la parte normativa, sfoltendo così il robusto plo¬ tone dei nostri ministri senza portafoglio. Il problema essenziale della riforma ha nome efficienza, nel duplice aspetto della bontà e della celerità dei servizi. Per quanto riguarda la celerità, è un pianto generale. Ritengo, tuttavia, che non si risolverà il problema se non si accetteranno due esigenze: a) la disciplina dello sciopero nei pubblici servizi almeno per un paio d'anni (non propongo né il divieto, né una disciplina permanente: mi accontento di meno); b) la mobilità del personale, perché esso possa venire trasferito da settori esuberanti a settori deficitari. Esigo troppo? Sto sognando con Jemolo? Giuseppe Pella

Persone citate: Alcide De Gasperi, De Gasperi, Giuseppe Pella

Luoghi citati: Italia