Quarant'anni di pittura di Daphne Maugham Casorati

Quarant'anni di pittura di Daphne Maugham Casorati URTI ED ARTISTI Quarant'anni di pittura di Daphne Maugham Casorati L'arte gentile, sommessa, patetica di Daphne Maugham Casorati è molto nota a Torino e altrove, in Italia, da Milano a Roma, da Venezia a Genova e Firenze, città dove da quasi quarantanni si sono viste numerose sue mostre personali. Ancor nel maggio '66 la pittrice esponeva olii, acquarelli, incisioni nella galleria torinese Torre, e questa frequenza di contatti col pubblico, sempre doverosamente seguiti dalla critica come dalla diffusa simpatia degli intenditori, dispenserebbe dal riparlare di lei se le settanta opere ora presentate dalia galleria «Narciso» di piazza Carlo Felice 18 non costituissero una bella antologia che abbraccia un quarantennio di lavoro assiduo di colei che dal 1931 fu !a fida compagna di Felice Casorati. Sua allieva, prima d'esserne la moglie, già nel 1926, nella famosa « scuola » di via Bernardino Galliari. Ma di solito si dimentica che Daphne, nata a Londra, della famiglia del celebre scrittore William Somerset Maugham, giungeva a Torino con una compiuta preparazione artistica fatta a Parigi, suoi insegnanti alla Académie Ranson il Sérusier e Maurice Denis, del grnppo dei « Nabis ». Aveva lavorato nello studio della pittrice polacca Mela Muter, esposto al SaIon d'Automne, quindi s'era diplomata a Londra. Ciò spiega che il suo quadro Studio di nudo, dei 1927, il più vecchio fra quelli riuniti alla «Narciso », sia, sì, casoratiano per la composizione spaziale impostata su elementi tipici della pittura del maestro — la pianta verde in primo piano, il pilastro, la tenda, disposti in modo da accentuare la fuga prospettica —; ma casoratiano più per l'atmosfera silente, vagamente astratta, che per la concreta stesura pittorica. L'allieva aveva dunque una sua personalità, benché forse un po' timida, cui non era estraneo qualche ricordo dei pittori ottocentisti, specie acquarellisti, del suo paese; e sapeva conservarla anche a contatto con la forte origina lità del futuro marito: tanto che il Nudo davanti alla finestra del 1929, anno dei « Sei pittori di Torino », sembra per la sfrangiatura luminosa del contorno più vicino a Gigi Chessa che a Felice Casorati Concordiamo perciò con Raffaele De Grada, il quale nella bella presentazione della mostra parla di una « chiara indipendenza » stilìstica di Daphne, «che può fare invidia a molti ». E che al possesso di uno stile proprio, alla difesa della propria fiducia in -i: un'arte delle cose ». cioè in una presenza fisica del mondo che le tolse, pacificandola, l'in quietudine di « modernizzar si » a scapito di ben radicate convinzioni, la pittrice abbia sempre mirato, lo si vede dalla continuità della sua espressione, varia nell'arco degli anni da motivo a motivo — tino talvolta (e avvenne qualche tempo fa) a frantumare la visione in una specie di « divisionismo moderno» — ma fondamentalmente unitaria e coerente. Scopo della sua pittura, anche di quella più densa, corposa come le Mele sulla seggiola del 1938, e i precedenti Piccoli libri, è sempre stato dar vita e senso agli oggetti, alle !ì8ure' ai Prediletti alberi. aH'il"»uadratura paesistica per sdusrntsi per trasferire nel tema pittorico la delicatezza della sua mezzo della luce. Ma non per ottenere un semplice, esteriore «effetto» lumlnistico; ben- sensibilità, cioè — si potrebbe dire — per umanizzarlo con una sorta di piccolo incantesimo affettivo; e in questo fare, ci sembra, si rivela la sua natura femminile, la quale, per altro, non va oltre questo limite. La stessa affettuosità che Daphne pone nei suoi ritratti, quasi sempre di persone amiche: la professoressa Brizio, il maestro Ghedini, Francesco Menzio, la signora Lalla Bo, Lucia Bargis. Ritratti che non sono il solito « pretesto pittorico », ma vogliono definire il personaggio nella sua realtà umana, nella sua interiore verità; e ci rie- scono con pochi tocchi sommari. Anche il suo paesismo, condotto in questi ultimi tempi quasi ai limiti di un gentile « chiarismo » lombardo, e con la liquidità atmosferica propria delle tempere di Casorati dopo il '50, si risolve, in fondo, in un impegno ritrattistico. E' un paesaggio-ritratto; e si sente che la pittrice ama come una creatura viva quel lembo di natura, ed ha voluto intriderlo del suo amore. Forse per questo i dipinti di Daphne restano nella memoria, urinar, ber.