Ad Alamein una torre di 50 metri è la tomba di 5346 soldati italiani

Ad Alamein una torre di 50 metri è la tomba di 5346 soldati italiani Tra il giallo del deserto ed il blu intenso del mare Ad Alamein una torre di 50 metri è la tomba di 5346 soldati italiani Molte lapidi portano scritto "ignoto" - Qui fu combattuta la disperata battaglia dell'estate 1942 - Per oltre due anni un gruppo di prigionieri raccolse le salme dei combattenti sfidando il pericolo di sei milioni di mine nascoste sotto la sabbia (Dal nostro minato speciale) Alamein, 10 marzo. La prima emozione si ha quando nel parabrezza dell'auto, che viene da Alessandria, tra il giallo abbagliante del deserto e l'azzurro cupo del mare s'inquadra la bianca torre. Siamo ad Alamein, il Sacrario dei nostri Caduti nella terribile battaglia dell'estate 1942. Una torre di cinquanta metri s'innalza come un faro da una base appiattita simile a un fortino. Queste sono le immagini che l'autore del progetto, Paolo Caccia Dominioni, ha voluto evocare. Nelle due ali rettangolari e nella semicircolare parete di fondo sono accolti in cellette i resti di 5346 salme d'italiani. Molte lapidi hanno nomi incom plet;, molte altre non ne hanno nessuno, fu impossi' bile rintracciare un qualsia si segno d'identità. Si leg ge una desolata indicazione, « ignoto ». Si giunge al Sacrario da un lungo viale che si dipar te dalla strada litoranea. All'inizio, il cortile d'onore: archi bianchissimi di stile arabo, che racchiudono la torretta d'un nostro carro armato rimasto leggendario, targa 3700. Fu l'unico di diciannove carri che il 10 luglio '42 riuscì a scavalcare il cocuzzolo di quota 33. Accolto da un concentramento di fuoco, sparì in una miriade di esplosioni. Non.rimase che la torretta; ed essa, montata su uno scafo di cemento, riceve il primo saluto dei visitatori. Nell'aprile del '43 il deserto aveva ancora la fisionomia della lotta di pochi mesi prima: cannoni demoliti, mitragliatrici contorte, carri armati sventrati, fortini spianati, crateri di bombe. Avvoltoi e beduini, in cerca rispettivamente della propria preda, erano ' i soli occupanti di Alamein ritor nato solitario e silenzioso. Si combatteva in Tunisia Ma dopo qualche settimana il paesaggio si anima, squadre di uomini si muovono cauti e operosi sotto il sole violento, in un odore denso che dà il capogiro. Al campo di prigionieri 308, presso Alessandria, gli inglesi hanno reclutato volontari italiani per seppellire i caduti abbandonati nel deserto. Si sono offerti in quarantasette, al comando del sergente maggiore Nicola Pellicciotta. Sono attendati a Teli el Eissa, presso la quota 33, a 119 chilometri da Alessandria, dove più aspra e micidiale infuriò la battaglia che prese il nome di Alamein, Due bandiere in arabo, da un vicino villaggio. Spianano in due mesi un rettangolo di quarantamila metri quadrati dove sarà sistemato il 'cimitero, e cominciano la ricerca e la raccolta delle salme, il trasporto, l'inumazione. I quarantasette prigionie ri italiani lavorano per due anni e mezzo, recuperano cinquemila salme. Sul cimitero diviso in settori separati da vialetti, le croci si allineano in perfetto ordine. Nell'agosto '45 rientrano al campo 308, qualche mese dopo saranno rimpatriati. Sono in quarantaquattro Tre di essi sono saltati sulle mine durante l'opera di recupero. Nella sabbia i tre eserciti ne avevano nascoste sei milioni e mezzo. Nessuno per tre anni si occupa più del cimitero di Quota 33. Nell'estate del '48 il console italiano al Cairo, Alfredo Nuccio, chiama un ex combattente di Alamein, il tenente colonnello Paolo Caccia Dominioni. E' un ingegnere minerai-'o che viveva in Egitto già prima della guerra. Ha combattuto insieme con quei caduti al comando del 310 battaglione guastatori. E' tornato al Cairo nel '47, ha ripreso il lavoro d'un tempo. « Vai a vedere — dice Nuccio a Caccia Dominioni — che cosa succede dei nostri morti nel deserto ». Per dodici anni l'ex co mandante del 31D guastatori si dedicherà « ai nostri mor ti nel deserto ». Dapprima, con una sua jeep — come egli stesso racconta nel suo libro Alamein edito da Longanesi — fa la spola fra il cedofeQprtaglplalastcoisogmobrddasvscucmamlatdèdsggscscoicCairo e Teli el Eissa, tre-U cento chilometri. Poi abbandona del tutto lo studio professionale e si stabilisce a Quota 33. Non ha fondi, le prime spese le sostiene di tasca sua e con le offerte degli antichi commilitoni. Dopo due anni il ministero della Difesa gli manda un collaboratore, un suo ex guastatore, Renato Chiodini, con una jeep. Lavorano quindici ore il giorno, a frugare fra i rottami della battaglia, a scavare, a ricomporre. Vengono compiute trecentocinquanta ricognizioni per un totale di trecentottantamila chilometri, recuperate e sepolte migliaia di salme, molte delle quali di tedeschi e inglesi che consegnano alle rispettive delegazioni occupate ai loro cimiteri nei pressi. Sette dipendenti ara¬ bi di Quota 33 rimangono vittime delle mine. Ma intanto il ministero, impensierirò dalle difficoltà di manutenzione, decide di sopprimere il cimitero, sostituendolo con un Sacrario. Ne prepara il progetto lo stesso Caccia Dominioni, che ne cura anche l'esecuzione. Il 9 gennaio 1959 il Sacrario è inaugurato con l'in¬ tervento di ministri, di reduci, di parenti di caduti Da allora i pellegrinaggi di parenti e di reduci — il primo si ebbe il 20 dicembre '53, e fu organizzato dagli ex combattenti di Vercelli — si sono intensificati. E' un flusso patetico, che nonostante la grande distanza dall'Italia non accenna a diminuire. Giuseppe Faraci Il Sacrario di El Alamein dove riposano i caduti nella battaglia dell'estate 1942 (foto di Giuseppe Farad)

Persone citate: Alfredo Nuccio, Caccia Dominioni, Giuseppe Faraci, Giuseppe Farad, Longanesi, Nicola Pellicciotta, Paolo Caccia Dominioni, Renato Chiodini