In Sicilia chi manovra l'economia pubblica non solo fa soldi, ma crea e abbatte governi di Francesco Rosso

In Sicilia chi manovra l'economia pubblica non solo fa soldi, ma crea e abbatte governi TUTTI 1 PARTITI CONCORRONO NEL ORAXDK SFRUTTAMENTO In Sicilia chi manovra l'economia pubblica non solo fa soldi, ma crea e abbatte governi Gli enti economici sono vasti uffici di collocamento per le proprie clientele, strumenti di potere, campo di battaglia fra i gruppi - I partiti sono etichette che coprono uomini e fazioni; le decisioni politiche sono prese a trattativa privata - Questi « feudi » dominano dovunque, e sembrano indistruttibili - La Sofis si è trasformata nell'Espi (per la industrializzazione dell'isola): ha cambiato direttore, ma ereditato tutte le passività - Per « difendere » i tremila operai delle zolfare, prima la Regione ha regalato 37 miliardi ai proprietari delle miniere, poi ha creato un Ente gremito di funzionari presi senza concorso - Persino gli esattori delle imposte guadagnano milioni e pretendono anche di avere un peso politico (Dal nostro Inviato speciale) Palermo, 10 marzo. Dopo vent'anni d'autonomia regionale, la Sicilia presento all'opinione pubblica il suo fallimentare bilancio amministrativo. Indicarne le cause non è difficile; allegra finanza, bizantinismo politico, caccia alle clientele elettorali, connivenze riprovevo¬ li, hanno impegnato la classe dirigente siciliana in una serie di operazioni che apparentemente sembravano sollecite del bene pubblico, ed in realtà portavano al disastro economico. La proliferazione degli enti che avrebbero dovuto sanare le drammatiche situazioni in cui si dibattono l'agricoltura, le miniere di zolfo, l'industria, si risolse in tai ciclopico ufficio di collocamento al Quale tutti i partiti imponevano l'assunzione dei loro protetti con evidenti scopi elettorali. La amministrazione dell' isola non fu più intesa come un fatto che interessa tutti i siciliani, ma come riserva di caccia dei pochi che esercitano il potere a scopo personale, o al massimo nell'interesse della corrente di partito cui aderiscono. L'Ente minerario, l'Ente di sviluppo agricolo, la Sofis, l'irfis coir le infinite società collegate, erano gli strumenti economici con cui la Regione avrebbe potuto trasformare la Sicilia; divennero il campo di battaglia dei partiti che, oltre ad imporre assunzioni sempre più massicce di elettori fedeli, se ne servivano come mezzo di transazioni politiche. Le maggioranze all'Assemblea regionale, la vitalità delle giunte di governo, dipendevano dalle concessioni fatte da un partito all'altro nei consigli di amministrazione dei vari enti. La liquidazione della Sofis dev'essere veduta in questo poliedrico panorama di favori reciproci, per cui diventa arduo stabilire, ad esempio, i rapporti intercorsi per trovare l'accordo, tra una fazione democristiana che ne voleva la fine, ed un'altra comunista che la sosteneva. L'operazione che ha condannato la Sofis dimostra ancora una volta che a Palermo le aspre lotte coperte dall'ideologia politica, o dalla sollecitudine amministrativa, s'accendono soltanto per combattere un uomo. La Sofis era quello che era, una società finanziaria che ha sbagliato molti Investimenti, ma che ha provocato anche un certo fermento imprenditoriale nella paludosa atmosfera palermitana restia agli investimenti e più incline ai prestiti ad usura. Se la Sofis non aveva dato i risultati sperati, era giusto liquidarla. Se era male amministrata, sarebbe bastato liquidare l'amministratore, e la Regione poteva farlo possedendo la maggio- ranza delle azioni. Hanno preferito liquidare la Sofis, ma creare un altro ente, la Espi, che la sostituisce assumendosi tutte le passività, i funzionari, gli impiegati, i manovali della stessa Sofis e della cinquantina di società sue collegate. Tutto questo per atteggiarsi a salvatori della patria, ma in realtà per eliminare un uomo, l'ing. Domenico La Caverà Era proprio necessaria la costosissima operazione quando sarebbe bastato dire all'ing. La Caverà: < Qui c'è la sua liquidazione, non abbiamo più bisogno di lei*? In qualsiasi amministrazione sarebbe avvenuto così, ma non a Palermo, dove le posizioni personali diventano granitiche. L'ing. La Caverà è un personaggio chiave nell'economia siciliana, ed è sulla scena da quasi un ventennio. Era presidente della Sicindustria; se ne staccò per creare la Sofis che gli pareva strumento più duttile per lo sviluppo industriale dell'isola. Fatalmente, intorno ai miliardi che amministrava incominciarono a ruotare i potenti della politica. Si disse che egli faceva e disfaceva i governi regionali a suo piacere, che fu lui ad inventare Milazzo ed il milazzismo Può darsi che sia vero, ma egli rimaneva pur sempre e soltanto il direttore generale di una società finanziaria di cui la Regione aveva la maggioranza delle azioni, quindi in posizione esposta alle decisioni della maggioranza governativa. Se proprio era nefasto, non occorrevano otto anni per accorgersene e liquidarlo. Dico ciò non per difendere l'ing. La Caverà, ma per indicare quale sia il clima in cui si esercitava il potere a Palermo, dove i comunisti non disdegnano le collusioni coi missini ed alcune correnti democristiane strizzano l'occhio ai comunisti Dopo un felice avvio, l'istituto regionale si è trasformato in una inconcludente accademia di sofisti, che hanno dimenticato i motivi che hanno indotto il governo di Roma a concedere lo statuto speciale alla Sicilia e subiscono, interessati o impotenti, la pressione sempre più forte dei gruppi di potere economico, divorando miliardi a centinaia in operazioni improduttive. Per garantire il salario a tremila operai nelle miniere di zolfo, il governo regionale sovvenzionò in un primo tempo i proprietari delle miniere stesse perché ammodernassero gli impianti e potessero produrre lo zolfo a costi competitivi L'operazione si concluse con un deficit secco per la Regione di 37 miliardi perché le miniere rimasero antiquate com'erano. Fu decisa la creazione dell'Ente minerario, che doveva liquidare i proprietari e gestire le miniere; il risultato fu che lo zolfo siciliano, da f/7 mila lire la tonnellata, è salito a 67 mila L'aumento dei costi è dovuto a molte cause, ma soprattutto all'assunzione di funzionari e dipendenti contro il regolamento votato dalla Regione che imponeva le assunzioni per concorso pubblico. Da quando è stato isti¬ tuito, l'Ente minerario non ha mai bandito un concorso, eppure è saturo di funzionari e impiegati assunti per vie traverse per accontentare gli onorevoli deputati regionali, o i loro galoppini elettorali. Identico discorso si può fare per l'Ente di sviluppo agricolo che ha sostituito l'Ente Riforma; dei dodici miliardi annui che la Regione versa all'Ente, sette miliardi li ingoiano gli stipendi e salari di 2500 funzionari, impiegati ed operai, e soltanto cinque miliardi sono investiti nelle migliorie agricole. < L'Espi, cioè l'Ente di sviluppo industriale che sostituirà la Sofls, subirà la stessa sorte, inzeppandosi di funzionari ed impiegati superflui, mi dicono gli amici palermitani, perché qui tutto si trasforma in centro di potere, la mafia e gli enti pubblici. Prendi esempio dagli esattoriali ». Anche questo è un aspetto dell'autonomia regionale siciliana che deve essere preso in considerazione. Gli « esattoriali » so?io coloro che hanno in appalto dalla Regione la riscossione delle tasse, ma a condizione di particolare favore. Mentre in tutto il resto d'Italia l'aggio concesso agli esattori non supera il 6,75 per cento, in Sicilia è del dieci per cento. Gli esattori dovrebbero garantire alla Regione anche le tasse non pagate dai morosi, ma attraverso dilazioni, privilegi particolari ed altri accordi, raramente la Regione ottiene tali pagamenti. In provincia di Palermo, il gettito delle imposte si aggira sui venti miliardi l'anno, per cui due miliardi finiscono nelle tasche degli esattori. Se tutto finisse qui, si potrebbe criticare soltanto la generosità della Regione; ma gli esattori non si accontentano di intascare miliardi, sono diventati a loro volta un gruppo di potere e vogliono far sentire la loro voce nel Parlamento regionale. E' interessante assistere alle scene che si svolgono nell'atrio di un grande albergo di Palermo quando ci sono sedute importanti all'Assemblea regionale, vedere come signori estranei all'amministrazione intreccino telefonate col palazzo dell'Assemblea, spostino i voti, determinino le maggioranze pronunciando qualche cifra e provochino le crisi delle Giunte di governo. Spettacolo rattristante; la autonomia siciliana ne esce avvilita, ingenera la sfiducia nell'opinione pubblica che vede l'istituto regionale ridotto ad una ristretta assemblea di privilegiati, preoccupati soltanto del proprio tornaconto. Certo non erano questi gli intendimenti di coloro che vollero l'autonomia dell'isola, ma non bisogna generalizzare prendendo la Sicilia come paradigma per giudicare in assoluto l'istituto regionale. Inoltre, non bisogna disperare nemmeno sull'avvenire della Sicilia; nonostante l'insipienza della attuale classe dirigente e le gravi manchevolezze dell'Assemblea, di cui parlerò in una prossima corrispondenza, la Sicilia ha uomini onesti e d'i valore che ancora possono avviarla alla rinascita. Francesco Rosso