Si può fare con la sola uva tutto il vino che ci occorre di Giuseppe Medici

Si può fare con la sola uva tutto il vino che ci occorre /fare/te ne/ commercio vaie io massima: non essere frappo furbi Si può fare con la sola uva tutto il vino che ci occorre La prodazione annua di uva è di 100 milioni di quintali, da essa ii traggono 65 milioni di quintali di vino sano Se si riesce a vincere la grave piaga delle sofisticazioni saremo in grado di aumentare la nostra esportazione - Il 60^0 della popolazione europea ha basso consumo di vino ed è un buon mercato potenziale - Nel quinquennio '57-'61 il tasso d'incremento dell'esportazione è stato del AJo-, e del 9^0 nei 5 anni successivi Non v'è alcun dubbio che in Italia si producano circa 100 milioni di quintali di uva da vino all'anno, di regola di buona o eccellente qualità. Quindi la produzione di circa 65 milioni di quintali di vino, prodotr to esclusivamente con uva, è un fatto normale, sicuro, che deve dare a tutti la certezza che, .nel nostro paese, si può produrre, con uva sana, tutto il vino che occorre per il nostro normale consumo e per l'esportazione. Questa premessa appare di particolare importanza quando si ricordi che nel Mercato comune e nella Zona di libero scambio (Efta) — cioè in quasi tutti 1 Paesi dell'Europa Occidentale — vivono 275 milioni di abitanti, la maggior parte dei quali consuma esigue quantità di vino. Soltanto la Francia, l'Italia e il Portogallo, rispettivamente con 125, 120 e 120 litri all'anno per abitante, tengono un primato difficilmente superabile ; e ciò mentre il 60 per cento della popolazione d'Europa — quella che gode del più alto reddito medio per abitante — ha bassi consumi di vino, che diventano addirittura esigui nei Paesi scandinavi (meno di 3 litri per abitante) e nell'Inghilterra, dove però si consumano vini di alta qualità e molto costosi. Ora, uno dei pochi punti forti della nostra agricoltura — complessivamente debole nei confronti degli altri Paesi del Mercato comune — è rappresentato dalla viticoltura; la quale non solo fornisce ogni anno circa un decimo della produzione lorda vendibile agricola, ma, come l'evoluzione recente ha dimostra to, può incrementare la esportazione del nostro vino, sicuramente uno dei migliori del mondo. Lo provano vini di largo e ge nerale consumo, come il Barbera e il Chianti, lo confermano vini di alto pregio, come il Barolo e il Chianti classico, i bianchi di Conegliano, del Friuli, di San Severo di Puglia e alcuni celebrati vini sardi e siciliani. Una condizione deve però essere assoluta mente soddisfatta, con il ri gore intransigente di un comando morale: il vino deve essere genuino. Se sarà genuino, cioè fatto sol tanto con uve, e non sarà oggetto delle cure sapienti di enotecnici troppo accor ti, sarà sicuramente buono: e cioè non farà mai male all'uomo sano, anche se ne beva quantità non del tut to sobrie. Questa è la condizione prima del successo nel fondamentale settore della agricoltura collinare, teatro del più grande dramma che ricordi la recente storia d'Italia. E siccome le colline trovano nel.i vite la pianta che riesce a dare frutto anche su terreni ari' di e acclivi, la comune responsabilità nel tutelare il buon nome del vino italia no è grandissima. Da esso dipende l'avvenire di popò lazioni preziose per tenacia e forza di lavoro, per fe deità alla tradizione, per capacità di esercitare una delle più difficili imprese che si conoscano nell'area del Mercato comune, e, infine, per la difesa quotidiana di un suolo che più insidia, con le acque torbide delle alluvioni, il piano E' vero che una parte della responsabilità è anche da attribuire a queste po polazioni, per decenni sorde all'invito della cooperazione e quindi alla creazione delle cantine sociali ( cfr. « La Stampa» del 19 u. s.), ma è anche vero che la trasfor mazione della psicologia dei ceti rurali è lenta, e quindi occorre tempo, pazienza la prova della bontà della strada intrapresa. Perciò sono soprattutto i pubblici poteri che debbono esercì tare con autorità il loro compito. Tanto più che i « mercati vuoti » dei paesi industriali dell'Europa, proprio perché considerane il vino un consumo di lusso, e sono disposti a pagarlo prezzi da noi improponibili, hanno il diritto di pretendere prodotti di qualità. Perciò bisogna esportare sotevecoprecanmtesvopgloesil nstsucoatozatrndudocasgftlsvsrnnvdPBdsstptcNdthdAmcmtilLsrnl2ppcddo soltanto il vino delle annate . buone, e quello da invecchiare bisogna sceglierlo con ogni cura, affinché i prodotti offerti, per la loro eccellente qualità, evidente anche ai profani, si affermino con decisione. E non vero che il consumatore tedesco o inglese, bel6a o svedese, anche se di ceti operai, non sappia distinguere il vino buono da quello che tale non è. Mille esperienze dimostrano che il vino genuino, prodotto nelle nostre contrade giustamente celebrate, viene subito apprezzato anche da coloro che non sono iniziati ai riti dei raffinati intenditori, la cui reale competenza è messa in dubbio da troppe gustose storielle, non tutte infondate. Il giudice e destinatario del vino italiano, cioè dì un vino di buona qualità e di medio prezzo, che per ora non potrà competere con i classici vini francesi, appartiene ai ceti che possono concedersi una bottiglia di vino al sabato senza con ciò forzare il loro modesto bilancio familiare, e costoro formano le famiglie che a fine settimana si preparano ad aprire la bottiglia di vino con un cerimoniale degno della fatica che si deve durare per produrlo. * * Seguendo la tendenza degli ultimi dieci anni, si nota che il tasso di incremento nell'esportazione di vino è stato del 49b nel quinquennio 1957-'61 e del 996 nel quinquennio 1962-'66. E' quindi evidente che l'ulteriore espansione dipende da noi. In primo luogo, se lo ficchino bene in testa gli esportatori: il vino che mandiamo all'estero deve essere fatto soltanto con uve eccellenti e non deve essere tagliato con altri vini, sia pure per correggerne le deficienze. E ciò perché se il vino originario ha delle manchevolezze, non deve essere esportato. Il vino che ha bisogno di essere tagliato con altri vini si può e si deve destinare al consumo interno. Non si dimentichi che la Scrii tura ammonisce : « Guai ai furbi ». Credo si possa fondatamente affermare che se noi combatteremo strenuamente le sofisticazioni — piccole o grandi che siano e ci organizzeremo per lavorare noi le nostre uve nelle nostre cantine, e se destineremo all'invecchiamento non solo i vini di alta qualità delle colline dell'Italia settentrionale e della Toscana, ma anche alcuni vini meridionali, si rin novera la tradizione che riconosce nel nostro paese «la terra del vino». Inoltre metteremo a disposizio ne dei ceti medi e popolari dell'Europa centrale e set' tentrionale e, domani, an che dell'Europa orientale, milioni di quintali di ottimo vino, a prezzi accessi' bili, contribuendo così ad una alimentazione più varia e ricca, fattore fonda mentale di equilibrio so ciale. Giuseppe Medici

Persone citate: Barbera