Senza un impegno unitario nella ricerca l'Europa perderà il passo con I'America di Giovanni Giovannini

Senza un impegno unitario nella ricerca l'Europa perderà il passo con I'America L'ECOMOMIA KUKOPEA DIVENTERÀ UNA "COLONIA" DEGLI STATI UNITI? Senza un impegno unitario nella ricerca l'Europa perderà il passo con I'America La penetrazione dell'industria americana è ragguardevole, soprattutto nei settori di alta tecnologia: anelli importanti oggi (auto, chimica), e quelli decisivi nel prossimo futuro (elettronica, realizzazioni aerospaziali) - Ma il vero e grave pericolo è che l'industria europea, per inferiorità scientifica, non progredisca con il ritmo accelerato di quella americana - Sarebbe la decadenza del benessere in Europa - Gli Stati Uniti spendono nelle ricerche tre volte più che i sei Stati del Mec c'attraggono sempre nuovi specialisti dal nostro Continente - Nessun paese europeo può far molto da solo: è indispensabile una "Comunità tecnologica" (Dal nostro Inviato speciale) Bruxelles, febbraio. Prendete il caso, scriveva Time ti mese scorso, di un europeo Qualsiasi, di un uomo di affari di Francoforte, tanto .per fare un esempio. Al mattino, appena alzato, questo signore si fa la barba con un rasoio americano, si lava i denti con un dentifrìcio americano, si friziona i capelli con una lozione americana. Sua.moglie lo saluta lasciandogli una traccia di rossetto americano e rimane alle prese con aspirapolvere, ferri da stiro, macchine da cucire americani. Lui sale sulla sua auto americana e con benzina americana, fumando una sigaretta americana, se ne va nel suo ufficio dai telex, macchine per scrivere, calcolatori americani; ed a sera, tornato a casa, 'dopo avere ascoltato qualche disco americano, va a dormire dopo aver chiuso la porta di casa con una chia¬ ve fabbricata da una ditta americana, U cui stabilimento in Europa produce più, di qualsiasi altra ditta continentale del settore. II.quadro di Time (che al posto del mio generico «americano* indica i vari prodotti con le loro denominazioni precise e - familiari a tutti noi) è naturalmente, e volutamente, forzato: vuol raffigurare più un incubo di certi ambienti europei ohe l'esatta realtà. Ma proviamo a guardarci attorno nella vita quotidiana, e ci accorgeremo di quanto c'è di vero. Ed il punto più. importante — per entrar subito nel tema — è questo: nella quasi totalità, la valanga di prodotti americani che ci circonda è fabbricata non olire Atlantico, ma in stabilimenti europei direttamente o indirettamente controllati da società degli Btati Uniti. Lunedi scorso a Roma, come è stato pubblicato su queste colonne, l'ambasciatore di Washington presso l'Ocse, signor P.B. Trezise, ha fornito una cifra precisa sull'ammontare degli investimenti americani in Europa: diciottomilacinqueoen'to miliardi di lire (di sui 200 in Italia). Per quanto grosse, secondo l'ambasciatore, queste cifre non devono preoccupare nessuno: quelle degli investimenti europei negli Stati Uniti sono ancor più alte (21.150 miliardi di lire); il valore globale delle vendite delle società del Vecchio Continente di proprietà americana non arriva al Wc di quello complessivo della produzione europea. Sono dunque eccessive, a dir poco, le grida di allarme che, sempre più frequenti, sempre più drammatiche si levano da ogni parte, dalla Francia in chiave nazionalistica, dall'Italia (iniziativa FanfanU in sede atlàntica, dalla Gran Bretagna che con a Wilson propone una « Comunità tecnologica europea », dal Mec di Bruxelles e dal Consiglio di Strasburgo, dalla Ceca di Lussemburgo, e dallo stesso Ocse di Parigi, del quale fan pur parte tutti i paesi occidentali. Stati Uniti compresi? Le cifre assolute citate dall'ambasciatore Trezlse sono, ovviamente, esatte. Ma ascoltiamo ancora i suoi connazionali di Time. Gli americani controllano o possiedono in Europa un terzo dell'industria automobilistica, il iOH dei carburanti in Gran Bretagna e Germania, il 7«9fc dell'elettronica ed U OO'Je della gomma sintetica in Francia. «La loro attività, ed 6 questo che turba gli europei, è concentrata in pochi settori industriali ad alta tecnologia che già oggi condizionano la vita economica (auto, carburanti, chimici) o appaiono decisivi per il domani (aerospaziale, elettronica, calcolatori) ». Giudizio sintetico, semplice, ed esatto. Gli allarmi — o, almeno, i moniti — non sono ingiusti/icati: progresso e prosperità dipendono sempre più dalle fulminee applicazioni all'industria delie conquiste scientifiche, ed in Questa corsa l'Europa e sempre più indietro nei confronti degli Stati Uniti (e, in minor misura, dell'Unione Sovietica); il ritardo è già, o lo sarà presto, incolmabile. Solo questa diagnosi estremamente generica è chiara; tutto il resto è oscuro, a cominciare dall'entità stessa del male, e cioè dalle dimensioni effettive di questo gap o divario tecnologico. A scorrere i fiumi oratori e di inchiostro che in materia ingrossano di giorno in giorno,' .hi si -accorge che tutti gli autorevolissimi autori continuano a rigirare cifre di un rapporto dell'Ocse, ottimo ma basato su dati di cinque anni addietro. La stessa organizzazione internazionale ha ora in corso una vastissima indagine: fra qualche mese si potrà parlare di questo gap meno genericamente. Anche a Bruxelles si lavora allo stesso problema. Nel le tre Comunità europee — è giusto riconoscerlo — l'Importanza della posta è stata avvertita prima che al trovo (potrei citare gli interventi Marjolin e Pleven, Pedini e Martino e Rubinacci). Nel silenzio del trat tato del Mec sulla questio ne, i responsabili sono an dati oltre nel tentativo non solo di individuare l'entità del divario, ma anche e so prattutto di suggerire una politica comune per ovviarvi. Nel primo « programma di politica economica a medio termine », approvato la settimana scorsa, si definisce « grave » il pericolo che i sei paesi «vengano.tagliati fuori da tutti I campi decisivi per lo sviluppo». Nel secondo programma europeo, che potrà essere approvato entro l'anno, il problema del distacco tecnologico sarà inquadrato nei suoi esatti termini quantitativi e nelle prospettive. Un gruppo di lavoro sta ultimando la redazione di un rapporto che dovrà essere presentato fra qualche settimana alla Commissione e dal quale stralciamo alcuni dati ohe si riferiscono anche al '63-'64. Tra spese pubbliche e private, la Comunità dedica alla ricerca scientifica l'i fi To dell'insieme del prodotto nazionale dei Sei (Italia all'ultimo posto con lo OJffo); la Gran Bretagna, il 2,2 9fc; gli Sfati Uniti, il 3,1 fo. Tradotti in spesa media per abitante, gli stessi dati significano 17 dollari nella Comunità (Italia all'uliimo posto con 4 dollari, Francia e Germania in testa con 27 e 20), Si in Gran Bretagna, 94 negli Stati Uniti. In assoluto, la spesa della Comunità supera naturalmente quella della sola Gran Bretagna, con 3000 milioni di dollart contro 1775: ma la stessa cifra per gli Stati Uniti è 11.531 milioni di dollari. C'è il difficile problema (al quale sta dedicandosi in questi giorni il gruppo di lavoro del Mec) di distinguere, per gli Stati Uniti, la parte di investimenti destinata a fini prevalentemente milita¬ ri: ma anche depurando questa quota, il distacco europeo sembra configurarsi in un rapporto di uno a tre (quello dell'Unione Sovietica, sempre nei confronti dell'America, viene ipotizzato in due a tre). Il rapporto, per l'Europa, tende rapidamente a peggiorare. Senza tediare con altre cifre e limitandomi al « materiale umano», cito tre constatazioni: il numero complessivo di ricercatori nella Comunità non arriva ad un terzo di quello sia degli Stati Uniti sia dell'Unione Sovietica (ed è pari a quello del solo Giappone); la «fuga oltre Atlantico del cervelli» continua soprattutto da Germania, Gran Bretagna, Olanda; il Vecchio Continente nel suoi scambi col Nuovo compra sempre più e vende sempre meno brevetti (e cioè innovazioni scientifiche da applicare all'industria). «Questo stato di cose — ha scritto il presidente dell'Iti, e per molti anni Commissario del Mec, on. Petrilli — è tanto più grave in quanto la sua persistenza nel tempo potrebbe determinare una vera e propria " spirale depressiva" capace di spingere 1 nostri paesi verso una nuova forma di sottosviluppo strutturale caratterizzata, da un costante peggioramento ». Tra le prime conclusioni che gli esperti di Bruxelles vanno elaborando nel fissare i dati quantitativi del problema, mi sembra interessante l'invito'a non limitarsi al raffronto con gli Stati Uniti, a preoccuparsi di un possibile aumento del divario tecnologico in seno alla Comunità stessa tra paesi che spendono di più ed altri che spendono di meno. Ila soprattutto trovo, nelle loro carte, la positiva constatazione che i Sei stanno finalmente intensificando il loro sforzo di ricerca (compresa l'Italia, che per il quinquennio '65-'S9 aumenterà la spesa dallo 0,4 allo 0,8 del suo prodotto nazionale). Anche le grida di allarme servono. Ma evidentemente non bastano: « Nonostante l'aumento degli stanziamenti — avvertono gli esperti del Mec — lo sforzo necessario per colmare il " gap " tecnologico costituisce il più grave motivo di preoccupazione per l'avvenire del nostri paesi», in sede di Comunità Europea, questo giudizio dei tecnici non può non essere immediatamente fatto proprio dai politici, come nuova dimostrazione della necessità di un'unione sempre più stretta ed efficiente per fare fronte insieme (come nessun singolo Stato potrebbe) alla rivoluzione tecnologica che in questo ultimo terzo di Secolo Ventesimo deciderà sempre più del progresso dei popoli, della prosperità degli uomini. Giovanni Giovannini

Persone citate: Pedini, Petrilli, Pleven, Rubinacci