Il Piemonte del '500 esportatore di libri di Luigi Firpo

Il Piemonte del '500 esportatore di libri Una cultura «concreta», e grandi tipografi Il Piemonte del '500 esportatore di libri Pubblicando nel 1607 la sua Relazione di Piamonte, traboccante di ammirazione per la terra natia, Giovanni Boterò la descriveva come una sorta di popoloso, fertile, irriguo paese di Bengodi, traboccante di « grani, vini, frutti, carni domestiche e salvatiche, formaggi, castagne, canape, lino, minerali », e cospicuo esportatore di tali derrate, oltre che di riso, ferramenti, fustagni, organzini e perfino di « carte » e di e stampe-». Che lungo i torrenti delle valli, alimentati dalle impetuose correnti, sorgessero gualchiere per trasformare i cenci in carta è ben naturale, ma che la regione subalpina, lontana dai grandi centri della cultura umanistica, corsa continuamente da eserciti stranieri, spogliata da esosi occupanti, potesse esportare addirittura dei libri, sembra poco credibile. Eppure, anche qui, fra tante difficoltà e contrasti, l'ars nova della tipografia mise dovunque radici, trovò mecenati generosi e imprenditori lungimiranti, vide sorgere società spregiudicate fra nobili, cui non parve disdicevole dedicarsi a quell'industria ingegnosa, tecnici esperti per lungo tirocinio, borghesi facoltosi e non incolti. Vediamo così uomini di estrazione tanto differente lavorare insieme « auxilio divino », ottenere agevolazioni e franchigie, fino alla distinzione non comune di portare la spada o al privilegio esclusivo della raccolta degli stracci, che doveva consentir loro di approvvigionarsi con scambi in natura presso le cartiere. Su questo mondo operoso e mal noto getta ora viva luce la monumentale opera di Marina Bersano Begey e di Giuseppe Dondi su Le cinquecentine piemontesi, che era apparsa nel 1961 con un primo volume dedicato alle tipografie torinesi e che oggi, con due nuovi volumi e un totale di 1650 'pagine, illustra compiutamente la produzione libraria degli altri diciannove centri piemontesi, che ospitarono nel secolo XVI i torchi della nuova arte suscitatrice e divulgatrice di cultura. Ve, naturalmente, in questa partizione geografi'» — che ragioni storiche e atiche ren dono quanto.mai ,)portuna — un certo anacronismo, perché Piemonte significava ancora nel Cinquecento il « paese piano al piede dei monti », quella sorta di mezzaluna pianeggiante e fertile, che andava dalla Sesia al Tanaro, quasi cingendo al suo centro le colline del Monferrato, sì che larga parte dell'attuale territorio ne restava esclusa. La stessa unificazione sabauda, dopo la catastrofe venticin quennale della doppia occupazione franco-spagnuola (1536 1559), ebbe un decorso lentissimo, come di conquisia faticata a palmo a palmo. Basti pensa re che Savigliano venne sgom brata dai francesi non prima del 1574, Ast ricuperata l'anno dopo, Saluzzo e Carmagnola occupate con la forza nel 1588 Trino strappata ai Gonzaga nel 1631, Nizza e Casale con il re sto del Monferrato vennero an nessi nei primi anni del Set tecento, in«;i?r,ie ad Alessandria e a Varallo, mentre per Torto na e - Novara si dovette giun gere al 1738, per Novi addirit tura al 1814. In questa terra politicamente tormentata e divisa, la storia della stampa permette di indi viduare tre momenti salienti: il primo, che abbraccia il primo terzo del secolo XVI, vede le iniziative isolate e avventurose dei tipografi itineranti, che la vorano or qua or là, a seconda dell'opportunità, delle protezioni, della personale irrequietezza: cadono in questo periodi le sei stampe di Francesco Garrone a Chivasso (1529-1533), le sei di Guidotto Dolce e di S mon Bevilacqua a Cuneo ( 15071510), le due dello stesso Be vilacqua a Novi Ligure (1512) le tre solenni impressioni Saluzzo (1503-1507), che con l'Opus aureiim e l'Opus reale di Giovan Ludovico Vivald sontuosi per grandi legni incisi fioriti di ritratti e di emblemi toccarono forse il più alto ver tice dell'editoria cortigiana su balpina. Abbondano in questi libri più antichi i faticosi caratteri gotici, le silografie rustiche ispi rate ai bestiari medievali, pome nell'Alberto Magno monrega- ledtaspliticaesudbruzdGq1trteUnpmscfidrastsptzsqpolcirecmTncbpnsptdpprscftc a a o a l a e a l o e e a ozre 7e ) n e i i r u ri ri i me a- lese del 1508, o agli affreschi delle pievi campestri, che alitano legioni di neri diavoli spennacchiati nelle vignette dei libriccini divozionali. La tematica giuridica, teologica, edificante, di rado cavalleresca, non esce quasi mai dagli schemi di una tarda cultura medievale. Un caso a sé è rappresentato dalla grande intrapresa del nobile Giovanni Giolito de' Ferrari à Trino: associatosi con un tecnico come Gherardo Zeio, forte di uno spirito d'iniziativa da grande imprenditore, dotato di capitali ingenti, il Giolito riesce a stampare in quindici anni, tra il 1508 e il 1523, cinquanta opere sode, oltre novanta tomi, rifornendo di testi prevalentemente giuridici Università lontane come Torino e Pavia, svincolando completamente un'impresa di dimensioni industriali dalle misere richieste del mercato locale. Vent'anni più tardi suo figlio Gabriele, dalla' ben più inamica piazza di Venezia, prenderà le vedute generose del padre e opererà per un quarantennio come uno dei più avveduti e geniali editori del suo tempo. Il successivo periodo, il venticinquennio dell' occupazione straniera, è segnato da una crisi profonda: assedi, spoliazioni, transiti interrotti, soffocano iniziative tanto delicate e rischiose: basti pensare che in quel quarto di secolo vennero impresse in Piemonte meno di 90 opere, delle 1550 venute in luce lungo l'arco dell'intero Cinquecento. L'ultimo quarantennio infine, con la pace e la restaurazione del ducato, vede una energica ripresa: ma i fermenti culturali sono esigui, pochissime le elaborazioni originali. Dai torchi di Mondovì e di Torino, sedi universitarie, escono i testi formativi dei medici dei giuristi sobriamente educati a dimessi doveri di pubblico interesse; da piccole imprese periferiche si aggiungono grammatiche e retoriche, ri stampe banali di classici latini per le scuole primarie, scrittaelli d'occasione di oscuri letterati locali, statuti e bandi, ordinamenti e capitoli, ingenue placchette popolari su eventi politici o cortigiani, avvisi curiosi, rime encomiastiche, descrizioni di feste, e poi, con 'affermarsi sempre più massiccio degli ideali della Controriforma, opere teologiche e ascetiche, libretti liturgici o divozionali. Al tirar delle somme, l'uni ca impressione di Savigliano (1596), le due di Borgo Laezzaro nella stamperia dome stica dell'umanista Gaudenzio Merula (1543-6), le otto di Tortona e di Varallo (una patetica impresina sorta per stam par le guide destinate ai pelle grini del Sacro Monte), le tredici di Ivrea, le ventuno di Biella, le ventotto di Casale, sono indizio di poveri mezzi e di umili ambizioni locali; toccano già la cinquantina i prodotti dei torchi di Asti, di Carmagnola, di Alessandria, supr rano il centinaio a Novara, a Mondovì, a Vercelli, a Trino raggiungono infine la ragguar devole cifra di ottocento stampe date in luce dai ben trentasette tipografi che si sue cessero a Torino, beneficiando delle commissioni del duca dell'Università e del senato Frammezzo a questa produ zione non illustre, spesso po vera e rozza, allestita con ca ratteri non sempre adatti né freschi, racimolando vecchie e stanche silografie, altre copian done con mano maldestra, spie cano anche edizioni di grande dignità, con le superbe torrentintane di Mondovì, le corrette e decorose ristampe dei Bevi lacqua a Torino; e qualche unicum grafico — anche se non appartiene tecnicamente al preciso ambito librario — ha una straordinaria forza suggestiva; come i fioriti tarocchi torinesi del 1592 della collezione Boc ca, o l'arcaica Madonna che Marc de La Rue impresse ad Aosta nel '95, o lo stupendo, inquietante Ecce Homo, che Gerolamo Tesi delineò a Carmagnola nel 1561 e rappresenta probabilmente la prima incisione in rame eseguita in Piemonte. Così una rigorosa opera di bibliografia va ben oltre la sua pur preziosa funzione classificatrice e si pone come panorama di tutta quantz una cultura, ne addita gli aspetti arcai¬ cmtissctecretetrdtaliviagctB ci, la scarsa apertura, i limiti, ma anche la freschezza del sentimento popolare, certa religiosità schietta, l'amore per la scuola e le discipline saldamente formatrici. Anche il quasi completo vuoto in fatto di opere amene, di testi di pura letteratura, sembra mostrare in trasparenza una gente operosa senza ubbie, troppo legata e vicende del vivere quotidiano per abbandonarsi ai gioiti del sentimento e della fantasia. Questa ideale biblioteca mpossibile, fatta com e di tanti libri ormai, rarissimi o introvabili, spira nel.suo insieme un impegno serio, un genuino amore del sapere, una così umie e ostinata volontà di progresso,- che non si può non riconoscervi un'immagine autentica dèi vecchio Piemonte. Luigi Firpo