È come un salto indietro nel tempo un viaggio in treno lungo il Sudan di Francesco Rosso

È come un salto indietro nel tempo un viaggio in treno lungo il Sudan È come un salto indietro nel tempo un viaggio in treno lungo il Sudan Vasto sette volte l'Italia, con quattordici milioni d'abitanti, ha in tatto 50 mila automezzi - La macchina non serve dove le pochissime strade sono piste desertiche buone per il cammello o la «jeep» - In mezzo secolo di governo, gli inglesi non ne costruirono; portarono sul Nilo i battelli a ruota, e dove il fiume non è navigabile distesero una ferrovia - La povertà di comunicazioni era una garanzia contro la rivolta dei « mahdisti » - Il vecchio « treno degli inglesi » funziona ancora, intatto nel suo stile di primo '900 ; impiega sempre 30 ore per coprire mille chilometri - Ma nel vagone ristorante non ci sono più funzionari in smoking; invece il convoglio s'arresta parecchie volte al giorno, per consentire ai musulmani di pregare inginocchiati verso la Mecca (Dal nostro inviato speciale) Wadi Halfa, gennaio Un viaggio in treno da Kartum a Wadi Halfa può dare ta misura del Sudan attuale, per molti aspetti all'avanguardia del progresso tecnologico per le gigantesche imprese idrauliche sul Nilo, le dighe innanzitutto, e per altri ancora immerso in un'atmosfera pigramente vittoriana, col buono ed il cattivo che gli inglesi hanno fatto in oltre mezzo secolo di dominio in questo paese. Sterminato, con la testa fra gli arabi d'Egitto ed i piedi nelle foreste equatoriali, il Sudan è uno dei paesi più poveri di strade dell'Africa: sui due milioni e mezzo di chilometri quadrati della sua superficie ha, secondo le statistiche, circa 73 mila chilometri di strade. Però, bisogna intendersi sull'interpretazione della parola strada; nella quasi totalità, quelle sudanesi sono piste desertiche, sulle quali si può andare a dorso di cammello, oppure in campagnola. Pochi tratti, non asfaltati, già la pretendono a l a o a i grande arteria, specialmente nelle province meridionali di Equatoria. ma sono percorribili soltanto durante la stagione secca; quando incominciano le piogge, si trasformano in torrenti. Un indice della assoluta inefficienza stradale sudanese è lo scarso numero di autoveicoli in circolazione, meno di cinquanta mila per i quasi quattordici milioni di sudanesi, di cui circa la metà automobili. Una così modesta densità automobilistica non dev'essere considerata in rapporto alle condizioni economiche del paese, il cui reddito nazionale si aggira sui cinquecento milioni di lire sudanesi (equivalenti alla sterlina inglese), ma alla mancanza di strade. Se si esce dal perimetro dei grandi centri abitati, ci si insabbia dopo pochi chilometri. L'automobile, Quindi, serve esclusivamente per le gite in città, gli spostamenti per affari da un ufficio ad un negozio, quasi mai per un viaggio fuori delle mura cittadine. La mancanza di strade è una delle pesanti eredità ricevute dal dominio coloniale britannico. Gli inglesi pensavano che la difficoltà delle comunicazioni gli avrebbe giovato nella lunga e sanguinosa repressione del movimento nazionalistico suscitato dal Maiali; quindi, niente strade. Le sole vie di comunicazione che hanno potenziato furono la navigazione fluviale e le ferrovie, che essi controllavano con cura gelosa. Bloccare certe strade in caso di ribellione avrebbe richiesto uno spiegamento di forze militari enormi, che essi non avevano in Sudan; treni e battelli, invece, potevano essere fermati senza difficoltà perché, tranne il basso personale formato da sudanesi, tutto dipendeva da funzionari, tecnici ed impiegati inglesi. Da una necessità tattica determinata dalla guerriglia mahdista deriuò la condizione attuale delle comunicazioni sudanesi. Non si viaggia su strada, ma in treno, in battello, o in aereo. I treni sono ancora quelli lasciati dagli inglesi, vecchi ormai di mezzo secolo, esattamente come i battelli, che arrancano tronfiando sulle acque dei fiumi azionati da grandi ruote a pale. Però, un viaggio in treno attraverso il deserto sudanese ha un fascino che la divorante velocità automobilistica ha distrutto. Già è un rito andare alla stazione, ed i preparativi della partenza ricordano tempi ed usanze che credevo finiti per sempre. Il treno da Kartum per Wadi Halfa parte due volte la settimana, e bisogna prenotare i posti con un buon anticipo, perché è sempre affollatissimo. Tre ore prima della partenza, tutti i viaggiatori so'o già insaccati dentro le carrozze, e sulle pensiline corrono affannati uomini in turbante ed in bianche gellabe che nei moti scomposti della corsa schioccano sui bruni, magri corpi come lenzuola al vento. Le donne sono più pacate, lente nell'incedere, dignitosamente drappeggiate nel i o è i l l tob, che ricorda il sari indiano. Si muovono lentamente perché sarebbe disdicevole ad una donna musulmana agitarsi scompostamente, ma anche perché, in maggioranza, sono decisamente pingui e pesanti, qualità apprezzatissime dagli uomini musulmani. Al fischio del capostazione, il treno si muove con stridore di giunture arrugginite, con la vaporiera che dipana un gran serpente di fumo nero nella tersa luce dorata del mattino. Ho ottenuto un posto di prima classe, grazie all'interessamento di amici influenti, e [me ne sto solo nello scompartimento, coi sedili rivestiti di cuoio verde, pensando al disagio di coloro che viaggiano sulle dure panche, in dieci dove troverebbero posto quattro. Il personale viaggiante compie varie funzioni, sono controllori e camerieri allo stesso tempo, cortesi e solleciti, ma senza servilismo. . Per un buon tratto, il treno costeggia la sponda orientale del Nilo, rasenta lussureggianti palmeti, orti e giardini rigogliosi. Penso che il tragitto sia tutto cosi, ai margini del gran fiume divinizzato, ma l'illusione dura poco, e finisco per capire i motivi che hanno indotto i costruttori delle carrozze a ideare finestrini così esigui. Quando il treno si addentra nella savana, un delirio giallo che si estende all'infinito, da cui erompono tumuli di pietre nere, tumori apocalittici, repugnanti, che sembrano suppurazioni di una terra malsana, mi rendo conto che i finestrini piccolissimi, coi vetri a chiusura stagna, sono indispensabili contro la luce abbacinante e la polvere che il treno in corsa solleva come utui scia luminosa. Ciononostante, dopo tre ori di viaggio, mi sento trasformato in mugnaio; la polvere del deserto, subdola e inarrestabile, passa anche ■attraverso le chiusure ermetiche. Ogni tanto il treno rallenta, in pieno deserto, e d'improvviso, non saprei dire da dove, centinaia di persone sorgono come per evocazione dalle sterili lande, soprattutto donne, che vengono a vendere piccioni, uova sode, polli, noci di cocco, grappoli di datteri, pompelmi. A poco a poco, il treno si trasforma in un'enorme stia su rotaie, perché ogni viaggiatore si procura le provviste alimentari per il lungo viaggio. Per la prima classe c'è il vagone ristorante, rivestito di palissandro con intarsi chiari; anche i lampadari liberty ricordano i romanzi di Maurice Dekobra e le galanti avventure ferroviarie. E' il treno degli inglesi, ancora tutto inglese, nell'arredamento, nel servizio, nella cucina. Dalle brume londinesi, i funzionari dl Sua Maestà britannica destinati a Kartum, giungevano per nave ad Alessandria, proseguivano in treno fino al Cairo ed Assuan, percorrevano U Nilo in battello fino a Wadi Halfa, e' con questo treno arrivavano a Kartum. La sera, alle sette in punto, il cameriere nubiano con l'alta fascia scarlatta sulla lunga gellaba bianca, passava nei corridoi suonando il gong per la cena. I viaggiatori erano già pronti, gli uomini in smoking, le signore in abito lungo, con strascico. Era una formalità che ogni funzionario inglese rispetta¬ va con rigore assoluto; bianchi di polvere come mugnai anch'essi, ma in abito da sera. Oggi si va alla carrozza ristorante in camicia a mezze maniche, tra sudanesi gentili e corretti, ma sospettosi per il forestiero seduto al loro tavolo, a mangiare ciò che i cuochi inglesi hanno insegnato a generazioni di cuochi sudanesi; scialbe minestre, slavati e insipidi roastbeef, collose gelatine di ribes. Scende la notte, ed il cameriere nubiano viene a trasformare in letto il sedile. Spegne l'aria condizionata perché, dice, di notte fa fresco nel deserto. All'alba, ritrovo la stessa monotona distesa di sabbia .gialla che il treno risucchia sollevando nubi dorate nel sole subito torrido. E' ancora lontana Tv"adi Halfat domando all'inserviente. Risponde come ogni arabo, senza "na precisa nozione del tempo. Arriviamo alla cittadina di confine con l'Egitto, già semisommersa dal Nilo, verso mezzogiorno; quasi trenta ore per percorrere 926 chilometri. E' stato un viaggio faticoso, ma che non dimenticherò per molti, imprevedibili avvenimenti. Le lunghe soste nel deserto, ad esempio, per consentire ai viaggiatori il rito della preghiera. Inginocchiati sulla stuoina distesa sulla sabbia, lo sguardo fisso alla Mecca lontana, apparivano subito assorti in un'atmosfera mistica da cui ero escluso. Tutto bello;' però, il viaggio di ritorno a Kartum lo farò in aereo. Francesco Rosso IL GIOVANE E IMMENSO PAESE NON HA PERDUTO L'IMPRONTA "VITTORIANA,,

Persone citate: Halfa, Maurice Dekobra, Wadi, Wadi Halfa