La superba reggia di Venaria descritta dal suo architetto di Marziano Bernardi

La superba reggia di Venaria descritta dal suo architetto Ristampato un capolavoro librario del Seicento La superba reggia di Venaria descritta dal suo architetto Amedeo di Castellamonte, al finire del secolo, illustrò il suo capolavoro: il «palazzo di piacere e di caccia », le quattromila pitture che l'adornavano, i fastosi giardini, il borgo (ora devastato) che gareggiava con Versailles - L'introvabile volume, riprodotto in edizione anastatica, fu definito «il più bel libro italiano di caccia» Sono note le trionfali accoglienze del Bernini (non certo minori degli osanna a Picasso) alle Corti italiane durante il suo viaggio, nel 1665, da Roma a Parigi, chiamato da Luigi XIV per il rifacimento della facciata del Louvre. Anche il Baldinucci rammenta che * l'altezza serenissima del duca di Savoja non lasciò di fare anch'essa godere al cavaliere effetti di sua liberalità ». Non v'è dunque motivo di dubitare che il celebre artista abbia visitato i monumenti e le maggiori opere allora in costruzione nella rinnovata Torino, con la guida dell'architetto ducale, ch'era Amedeo di Castellamonte: fra le quali la meravigliosa reggia, di cui già si parlava in tutta Europa, della Venaria Reale, iniziata verso il 1658. Se non che nel suo famoso libro La Venaria Reale Palazzo di Piacere, e di Caccia, Ideato dall'Altezza Reale Carlo Emanuel II Duca di Savoia, Re di Cipro etc. Disegnato, e descritto dal Conte Amedeo di Castellamonte. L'Anno 1672, e stampato « In Torino per Bartolomeo Zapatta 1674 », il Castellamonte, creatore della favo Iosa dimora, pone la sua lunga e particolareggiata illustrazione di questa al Bernini nel ritorno di costui dalla Francia. Lo dice nella dedica a Madama Reale Maria Giovanna Battista di Sa voia-Nemours: «... per aver avuto in sorte di condurre il Cavàglier Bernini, grande ornamento nel corrente Secolo della Romana Scoltura, et Architettura, à vedere quelle delizie nel passaggio ch'ei fece di qua nel suo ritorno di Fran eia, chiamatovi da quel Rè Christianìssimo ». O prima o dopo (più probabilmente prima) la visita del Bernini doVettè avvenire. C'è però un altro fatto curioso. La stampa del libro porta la data 1674. Orbene nelle ultime pagine il Castellamonte parla con profondo dolore della morte del duca Carlo Emanuele II (1675) e delle grandiose opere intraprese a Torino « nel corrente 1679 », cioè il guariniano Collegio dei Nobili (Accademia delle Scienze), la sistema zione della « Vigna di Madama Reale» sulla collina di S. Vito a « Hospitio de' poveri mendici », ecc. Come la mettiamo questa faccenda? Lasciamo la risposta ai bibliografi e ai hi bliufili: almeno a quelli che hanno letto per intero (come modestamente abbiamo fatto noi) uno dei più celebri libri stampati in Italia nel Seicento, Che alcuni di cotesti insign esperti, da noi interpellati, sono stati sorpresissimi. Libro celeberrimo, di fatti e già definito il più bel « libro italiano di caccia» dell'età barocca. Perché non soltanto es so reca le superbe tavole dise gnate dal collaboratore del Ca stellamonte, l'architetto Baron celli, e incise dal Tasnière, a documentare stupendamente l'inaudito sfarzo della Venaria — Reggia e Tempio di Diana Citroniera, fontane, grotte, archi, statue, pitture (più di 4 mila), viali, laghi, giardini, parco dei cervi, scuderie per 200 cavalli, canili per 200 segugi, fabbricati per principi, cortigiani e serventi, compresa la vera e propria antistante piccola Versailles piemontese, il cui schema ancor vagamente si rintraccia nell'odierno borgo della Venaria — quando questa magica fantasia architettonica sul finir del Seicento era intatta e non ridotta al miserando rudere attuale ch'è una vergogna per Torino. Non soltanto nel testo tutte le pitture allegoriche, in parte dei Recchi e dei Casella, con le centinaia di motti dettati dal famosissimo Tesauro, sono dal Castellamonte minutamente illustrate al Bernini che non si stanca di lodarle, come caldamente loda tutte le mirabili invenzioni dell'architetto. Ma mentre nel salone centrale dieci grandi tele del fiammingo Jan Miei — tradotte per il libro dai disegni del Brambilla e dalle incisioni. del Tasnière — rappresentavano, « ripieni d'infinite piccole figure», le cacce al cervo, all'orso, al lupoalla volpe, alla lepre; al rangosutaphvobéchpre magciaqunaimta«bainvodeleSInusidgssqpccndcpincpI superiore si vedevano in altrettanti quadri del Miei, del Dauphin, del Mathieu, del Caravoglia, del Grandjean di Chambéry, del Mombasiglio (anch'essi riprodotti nel volume), principi e principesse sabaude e loro congiunti, gentiluomini dame di. corte, caracollanti mpennacchiati e baroccamente agghindati, lanciati sulla traccia delle fiere. Dipinti di cui qualche esemplare ci è fortunatamente pervenuto. Né basta, perché il testo è implicitamente anche un trattato di caccia; e. parla delle «cinque miglia» di tele che i battitori tendevano nei boschi intorno alla Venaria per convogliare i cervi alla presenza dei nobili cacciatori; parla delle varie qualità dei cani adde¬ strati all'arte venatoria, della complicata rigidissima etichetta che la regolava, dell'allevamento delicato dei fagiani, e via dicendo. Questo libro magnifico, questo capolavoro dell'editoria italiana secentesca tirato in soli 600 esemplari pagati (ma evidentemente solo in parte) allo stampatore Zapatta lire 640 nel dicembre 1679, s'era reso da tempo introvabile, salvo pochissime copie a prezzo quasi irraggiungibile. L'ha ripubblicato ora anastaticamente, in formato lievemente ingrandito per evitare una soverchia ripiegatura delle amplissime carte illustrative, la torinese « Bottega d'Erasmo » diretta da Angelo Barrerà. Impresa doppiamente lodevole. Sia perché ren¬ o e ¬ de accessibile al pubblico colto un eccellente facsimile della spettacolosa opera. Sia perche è sperabile che la sua ricom parsa scuota un'opinione pub blica civile. E' infatti inconcepibile che a due passi da Torino una reg già che nel 1672, in « anni quindeci » di lavori geniali, aveva assorbito « circa due mil lioni di lire » (quanti miliardi d'oggi?), e nella quale, fra.il 1961 e il '62, furono spesi 200 milioni per il restauro della sola « Galleria di Diana », opera posteriore del Garove c del Invarrà, e di alcune coperture, non sia praticamente visitabile; e nelle sue parti originarie appaia soltanto una triste ro vina. Marziano Bernardi 111TIT M r ! 111111111 ! 1111111L1111111M11T1111111M11111111