I profughi arabi sostengono che re Hussein è un traditore

I profughi arabi sostengono che re Hussein è un traditore LE CAUSE REMOTE E COMPLESSE DELLA RIVOLTA IN GIORDANIA I profughi arabi sostengono che re Hussein è un traditore II giovane sovrano ha ordinato la caccia ai «fedayin» che intendono rioccupare le terre lasciate ad Israele nel '48 - Ora Egitto e Siria fanno leva sul loro risentimento La tensione è cresciuta dopo la rappresaglia decisa da Tel Aviv il 13 novembre Gerusalemme (settore giordano), lunedì mattina. « L'esplosione è vicina. Non riuscirà a nulla di positivo, ma è ineluttabile. Non ne possiamo più ». « Il popolo chiede le armi e noi preferiamo morire dignitosamente piuttosto che vederci cacciati come passerotti ». « I beduini sono molto forti per reprimere le manifestazioni, ma che cosa potrebbero fare contro uno sciopero a oltranza che si estendesse a tutte le città palestinesi della riva occidentale del Giordano e a Gerusalemme?». «I nostri fratelli nel territorio occupato dagli ebrei riprenderanno ben presto l'azione clandestina ». « Ciascuno di noi è un combattente e, credete, questa volta non sono soltanto parole ». Questi sono i discorsi che si fauno nel caffè del campo di Kalandia intorno al tavolo davanti a cui sono seduto, in compagnia di una ventina di profughi arabi dalla Palestina occupata dagli israeliani. In questi propositi c'e molto buon senso, ma anche molto sentimentalismo morboso, e insieme un candore che disarma. In questa Giordania la cui regione più prospera costituisce una parte dell'antica Palestina araba e la cui popolazione è per due terzi palestinese, mentre il resto è costituito dai beduini della Transgiordania, qualcosa di molto profondo sta turbando le masse. Il fenomeno è cominciato il giorno in cui il primo dei partigiani arabi è entrato nel territorio israeliano per piazzare un candelotto di dinamite. Quel giorno, per la prima volta dopo il disastro del 1948, i profughi arabi nei loro campi, così come la popolazione araba lungo la riva sinistra del Giordano hanno creduto, a torto o a ragione, che è ancora possibile recuperare la « patria usurpata ». L'attività dei partigiani, i « fedayin », fu segnalata per la prima volta nel momento in cui tutti i Paesi membri della Lega araba cominciarono a dare attuazione concreta alla risoluzione della « conferenza al vertice » tenuta al Cairo il 13 gennaio 1964. L'Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) nacque a Gerusalemme, con un comitato esecutivo presieduto da Choukeiry e con un'ala sinistreggiante che stabilì ben presto rapporti con Algeri e con Pechino, mentre giungevano i primi consistenti aiuti finanziari dagli altri Paesi arabi. L'OLP fu tuttavia rapidamente superata in fervore rivoluzionario dall'organizzazione estremista Al Fatali, favorevole all'azione violenta e immediata, e dovette ben presto arrivare a un compromesso ; attualmente, soltanto nella misura in cui il gruppo di Choukeiry riesce a identificarsi con Al Fatali, esso può legare alla propria causa la grande maggioranza delle masse palestinesi. Queste accolgono con favore le iniziative dell'OLP, che ha inviato una brigata di soldati ad addestrarsi nella Cina comunista e in Algeria, mentre i primi elementi dell'esercito di liberazione già sfilavano per le strade di Gaza. Quando uno dei combattenti clandestini cade in Israele, il suo « martirio » viene celebrato con fervore e devozione in tutti i campi dei rifugiati dove, dopo la « preghiera dell'assente », si procede all'iscrizione di nuove reclute nelle file del cosiddetto esercito di liberazione. Questo stato d'animo non può non influenzare la vita politica della parte più pacifica della Giordania. La caccia al « fedayin » ordinata dalle autorità centrali di Amman ha vivamente irritato la popolazione palestinese, che rimprovera al re Hussein e al suo governo di farsi complici degli israeliani nel tentativo di soffocare la guerriglia. 11 giovane monarca viene chiamato « traditore » e « venduto » dai commentatori della «Voce della Palestina », che emette i suoi programmi dalle radio di Damasco e del Cairo. L'assalto sferrato il 13 novembre dagli israeliani contro un gruppo di villaggi arabi è ora l'ultimo in ordine di tempo dei motivi invocati dai palestinesi per chiedere le armi che permetterebbero loro di difendersi « in mancanza di un esercito capace di farlo al loro posto ». Gli scioperi e le manifestazioni si succedono nella maggior parte dei villaggi e dei campi dei profughi, smdgillccstdtmEsnrSmfgdTa suscitati ed esasperati con metodo dai militanti clandestini dell'OLP. Alcuni degli agitatori affermano che il nemico principale dei palestinesi non è Israele, ma la dinastia hashemita, « incarnazione vivente del neocolonialismo ». Il loro sogno sarebbe di impadronirsi di tutta la parte palestinese del regno per farne la punta di diamante della prossima guerra di liberazione. Essi non credono, del resto, di poter vincere, né fanno affidamento sull'aleatorio aiuto della Rau e della Siria, ma pensano egualmente che « morire con il fucile fra le mani » sia meglio che condurre una vita da servi. Edouard Saab Copyright de « Le Monde » e « Stampa Sera » Hussein: sempre una pistola a portata

Persone citate: Edouard Saab