La sposa di Sanremo ha confessato in carcere «Volevo uccidere mia sorella, non mio marito»

La sposa di Sanremo ha confessato in carcere «Volevo uccidere mia sorella, non mio marito» La morte del commerciante è un nuovo «delitto del bitter»? La sposa di Sanremo ha confessato in carcere «Volevo uccidere mia sorella, non mio marito» L'accusata, di 33 anni, era da tempo l'amante del cognato, trentottenne - A lui consegnò una boccetta di topicida e gli scrisse : « Ora devi fare il tuo dovere. Presto saremo liberi » - Ma all'uomo (attualmente anch'egli in prigione) mancò il coraggio e mostrò il biglietto alla propria moglie: «Guarda. Tua sorella tenta di ammazzarti» - L'autopsia sulla salma del negoziante di Riva Ligure rivela ch'egli non morì per paralisi cardiaca: la perizia tossicologica (che sarà nota entro una ventina di giorni) dovrà dire se c'è traccia di tossico nei suoi visceri (Dal nostro inviato speciale) Sanremo, 27 dicembre. L'oscura tragedia di Sanremo, dove il commerciante trentaquattrenne Romolo D'Armi è deceduto all'improvviso forse avvelenato con topicida, ha assunto oggi una tinta ancora più fosca: fin da sabato scorso la moglie del morto, Maria D'Andrea in D'Armi, di 33 anni, era stata fermata assieme al cognato-amante Angelo Di Matteo, trentottenne, marito di sua sorella Antonietta, ed era stata chiusa nel carcere femminile di Imperia; stamane, nel corso di un nuovo interrogatorio, ha confessato di avere ordito un piano per assassinare la sorella. Il piano è fallito perché all'ultimo minuto l'uomo che doveva mandarlo a compimento, cioè il Di Matteo, non ha avuto il coraggio di farlo. La cognata - amante gli aveva scritto un biglietto : « Ora devi fare il tuo dovere, presto saremo liberi» e gli aveva lasciato (in un punto convenuto della casa dove le due coppie coabitavano) un boccettino già usato per dei medicinali, in cui aveva versato del veleno, il micidiale « Toxfid ». Ma l'uomo ha esitato davanti al compito tremendo che la donna gli aveva affidato. Ha mostrato il biglietto alla moglie e le ha detto: « Guarda, tua sorella vuole ucciderti ». La poli-ia è entrata poco dopo in possesso dello scritto e della bottiglietta con i residui del tossico. Questi due elementi di indubbia accusa si sono aggiunti alle perplessità sollevate da più parti dalla morte improvvisa e misteriosa di Romolo D'Armi, e hanno determinato la sospensione della sepoltura dello scomparso e l'autopsia sul suo cadavere. La perizia svolta dai medici legali ha dato risultati sorprendenti: non esiste traccia della paralisi cardiaca giudicata in un primo momento come la causa naturale del decesso del negoziante di Riva Ligure. Una parte dei visceri del morto è stata asportata e affidata ai professori Franchini e Canale dell'Università di Genova per la perizia tossicologica, il cui esito è atteso entro una ventina di giorni e forse, in via confidenziale, anche prima. Questa perizia ha assunto una importanza decisiva per l'andamento di una inchiesta che si presenta molto delicata. Esiste il sospetto che fra i due amanti fosse stato stabilito un patto terribile: per continuare in piena libertà una relazione che durava da molti mesi, essi dovevano sbarazzarsi dei rispettivi coniugi. Manca per ora la prova di questo patto: ma il biglietto di Maria D'Armi all'amante può avere anche il significato di una ingiunzione: « Io ho fatto la mia parte, ora tocca a te fare la tua ». La donna nega con decisione di avere provocato la morte del marito; Antonio Di Matteo mantiene il medesimo atteggiamento. E dunque chiaro che se la perizia tossicologica permette rà di stabilire che Romolo D'Armi è morto avvelenato con il medesimo topicida che doveva servire ad eliminare Antonietta Di Matteo, la prova del delitto sarebbe pressoché raggiunta. Ma perché Maria D'Armi avrebbe provato tanto odio per il marito, tanto desiderio di disfarsene, al punto da ucciderlo? Può esserci una motivazione psicologico-sessuale: a quanto risulta, suo marito non era in grado di darle un figlio. Antonio Di Matteo ne aveva invece fatti avere già due ad Antonietta (che ora ne aspetta un terzo). Inoltre Antonio era un uomo che per molti aspetti poteva affascinare la cognata. Non bello, anzi decisamente insignificante (tarchiato e dal volto ottuso) il Di Matteo era considerato una specie di capo della coIonia abruzzese di Riva Ligure, un paese a 12 chilometri da Sanremo, al centro della zona della coltivazione dei fiori. Era stato anzi lui a lui cu sificare negli ultimi anni l'immigrazione dei suoi conterranei in Riviera. Ogni settimana curava l'arrivo di un pullman dalla provincia di Pescara, dove è nato. Sul pullman viaggiavano uomini e donne (cui egli cercava di assicurare un lavoro nelle serre, nei cantieri edili, nelle botteghe artigiane) e ortaggi, frutta, verdura, carni di produzione abruzzese. A Riva Ligure si parla quasi esclusivamente il dialetto di quella regione; e in quest' isola etnica Antonio Di Matteo era un piccolo ras. Per ogni immigrato aveva una « tangente »; tutta la merce veniva venduta nel suo negozio, in cui lo aiutavano sia il cognato che la moglie e l'amante. Gli affari andavano bene (quando è stato fermato, Di Matteo aveva in tasca mezzo milione). Tutti abitavano nel medesimo alloggio, al terzo piano di un edificio moderno proprio di fronte alla casa in cui si trova la bottega dall'insegna « Alimentari-Fiaschetteria », sulla Via Aurelia. Era una strana convivenza. Antonietta aveva scoperto presto la tresca fra il marito e la sorella: pare invece che il defunto co;«merciante non sapesse nulla. Il 21 maggio di quest'anno Maria D'Armi dà alla luce il figlio. Romolo D'Armi sa che la sua minorazione è nota agli altri familiari, forse anche a qualcuno dei compaesani. Per togliersi dall' imbarazzo creatogli da quella nascita, dice che ha fatto delle cure. Viene creduto, forse ci crede lui stesso, il bambino è battezzato con il nome di Sergio D'Armi, e la vita continua nel piccolo alloggio. Ma gli amanti non osano più par- larsi apertamente. Per co- municare si servono di bi- glietti. Antonietta tiene gli tocchi aperti, non ha nessu- mna intenzione di lasciarsi iportare via il marito dalla sorella. (Anche ora lo di- mfende: ha affermato davan- t ti agli inquirenti che Tuo- mo l'aveva avvertita delle intenzioni di Maria). II piccolo Sergio cresce male, è cagionevole di salu- te. L'altra settimana un at- tacco di broncopolmonite lo fulmina: ricoverato all'ospe dale infantile Del Castillo, a Sanremo, muore mentre viene riportato a casa per l'inutilità di tutte le cure. La fine del bambino avvie ne il 21 dicembre. Suo padre era stato operato il 19, nella clinica Villa Speranza (un ospedale di lusso, nella zona residenziale della città), e muore due giorni dopo di lui. Quale nemesi si è abbattuta sulle due famiglie di abruzzesi? Che cosa è accaduto nella stanza della clinica, mentre Maria D'Armi vegliava il marito? Oggi abbiamo chiesto al Sostituto Procuratore della Repubblica di Sanremo, dottor Clemente, al dirigente del Commissariato di P. S. dott. Setajolo e al vicedirigente, dott. Molinari, se è prevista la riesumazione del corpo del bambino. Per ora (è stata la risposta) non si pensa sia necessario compiere anche questa operazione: non esistono dubbi sulla regolarità della morte di Sergio. Ma non è escluso che, fra breve, una nuova autopsia venga giudicata indispensabile per completare il quadro della fosca tragedia. Il dramma è avvenuto a pochissima distanza da Arma di Taggia, un nome che evoca irresistibilmente un delitto famoso: quello del bitter, cioè l'uccisione di Tino Allevi da parte del veterinario di Barengo, Renzo Ferrari. Parecchie analogie corrono fra quel crimine e iiiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii la mistesiosa morte di Romolo D'Armi: innanzi tutto, il tradimento da parte della moglie della vittima, e poi (se in questo caso c'è) il veleno. Una folle passione femminile è anche qui all'origine della vicenda. Non manca, cioè, nessuno degli elementi che fanno di un fatto di cronaca nera un « giallo » appassionante. Per ora i due sospettati sono in stato di fermo, fino a sabato prossimo; dopo quel giorno, se saranno raggiunte prove sufficienti, verrà spiccato contro di loro un mandato di cattura. Non si esclude che questo provvedimento venga preso soltanto nei confronti della donna, per l'istigazione rivolta all'amante di sopprimere la moglie. Ma tutto è ancora possibile. Oggi i familiari di Maria D'Armi ci hanno detto: «Si cerchi lei un avvocato, noi non lo facciamo di sicuro ». Ieri, suo padre aveva dichiarato : « Se ha fatto quello che dicono, merita peggio della galera ». Sembra che il « clan » l'abbia già condannata. Giuseppe Del Colle Antonio Di Matteo, al centro, dopo essere stato fermato con la cognata (Tel. Moisio) Maria D'Andrea, a sinistra, e la sorella Antonietta che doveva essere uccisa (Moisio) (aiiiiiiiiiiiiuiiiiiiiiiiiiiiniiiiiuiiinuiiiuiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiuiiiiiiiiiiiiiiiiiu iiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiininitiiiiiiiiiiiinii