Dopo dieci anni di discussioni Milano attende ancora il piano intercomunale

Dopo dieci anni di discussioni Milano attende ancora il piano intercomunale Una lunga storia sii litigi e xnalintesi Dopo dieci anni di discussioni Milano attende ancora il piano intercomunale La grande città non riesce a unirsi in un organismo ordinato con i 92 comuni della cintura - L'espansione del dopoguerra abbandonata al capriccio del mercato delle aree - In breve la speculazione fece salire i terreni di Cinesello da 3 mila lire il metro quadrato a 60 mila lire - E i campi attorno a Rho sono passati da 500 a 15 mila lire - Finalmente il piano della «megalopoli» è abbozzato ed attende l'esame dei sindaci dei 92 comuni - Sarà pronto entro il 1967? (Dal nostro inviato speciale) Milano, dicembre. La pratica del rinvio è una malattia diffusa; colpisce a nord e a sud, con manifestazioni così vistose da sembrare incredibili. Milano conferma: il piano intercomunale che doveva essere rimedio a mali già « intollerabili » nel 1951 è scivolato da una scadenza all'altra per dieci anni, dopo essere stato infelicemente proposto nel 1956. Forse verrà alla luce nel '67, appannato dalle riserve di studiosi. Si direbbe che uomini politici di partiti opposti, uomini di scienza e di cultura, siano accomunati da una serena indifferenza per il tempo che passa. Per mettere d'accordo gli amministratori dei 92 Comuni interessati è stato necessario un esercizio di sottile diplomazia;per emulsionare i diversi indirizzi scientifici si è fatto ricorso a un certo empirismo lombardo. Questa città ha sempre rivendicato la funzione di stimolo morale; ma non è riuscita, negli anni della crescita, a incollare i pezzi della « megalopoli » che s'espandeva frantumando le strutture di una vecchia civiltà in buona parte agricola, parrocchiale, senza sostituirle. Su una superficie di 500 kmq. si è formata una galassia di nuclei industriali e residenziali che ha rifiutato per anni e anni di incastrarsi in un meccanismo ordinato. La storia del piano intercomunale milanese è una storia di litigi fra la città ed i comuni della « cintura », fra i sostenitori di diverse formule per dare equilibrio alla grande comunità di fatto che comprende quasi un centinaio di centri minori, soltanto teoricamente staccati da Milano. Chi saprebbe distinguere dove finisce la metropoli e dove cominciano Cinisello Balsamo, Novate e Bollate, Bresso e Sesto San Giovanni? Milano è oggi una figura astratta, il nome di un gran corpo che si è dilatato con improvvise escrescenze dovute a scoppi di vitalità paralleli a veri e propri fenomeni febbrili. Nei dieci anni di attesa del piano il numero degli addetti all'industria nell'area del comprensorio milanese è salito del 50 per cento, aggravando la congestione della grande città. Infatti su cento operai 80 lavorano entro la cerchia comunale milanese, dieci a Sesto San Giovanni, dieci sono sparsi nei Comuni minori della « cintura », condannati alle funzioni di dormitori e di serbatoi di attività sussidiarie. L'espansione edilizia nella « cintura », è stata caotica, con un movimento accelerato dalla convenienza a trasferire le iniziative fuori dei confini del comune di Milano. Era molto più agevole, infatti, costruire su aree prive di vincoli e di piani regolatori, non soggette a norme che si facevano severe: bastava trapiantare i cantieri al di là d'una linea invisibile quanto rigida, al lontanarsi dalle frange della Bovisa, di San Siro o del l'Ortica per essere in territorio favorevole, aperto. Ed ecco densità di 90 mila metri cubi per ettaro dove erano le cascine, in uno scena rio stralunato. Colossali edl fici sorti troppo in fretta furono in parte demoliti per ricuperare gli infissi e gli impianti di riscaldamento L'espansione seguì il capriccio del mercato delle aree agricole divenute edificabili e opportunamente manovrate da potenti gruppi, fiancheggiati da una mi riade di affaristi minuti. In pochi anni il valore dei ter reni di Cinisello Balsamo, a nord di Sesto San Gio vanni, passò da 3000 a 60 mila lire al metro quadro Nella fascia orientale, sul l'asse Brugherio-CernuscoPioltello, i prezzi delle aree balzarono da medie di 2000 lire al metro quadro a medie di 12-15 mila; verso Pero e Rho ci fu il passaggio repentino da un mercato immobiliare agricolo ad uno di , tipo suburbano. Certi campi venduti a 500 lire al mq. toccarono quotazioni di 15 mila in breve tempo. Quel disordine ebbe costi pesantissimi per la collet¬ tività, oggi calcolabili alme-no in parte: una rete di comunicazioni soddisfacenti per la « megalopoli » o « citta-regione » milanese richiederebbe spese di tre o quattrocento miliardi. Da 10 anni tutti ripetono che l'urgenza di un piano intercomunale è assoluta, che si devono equilibrare i rapporti fra Milano e la « cintura », migliorare i trasporti, coordinare lo sviluppo residenziale e industriale in armonia con le esigenze del vivere civile e con quelle economiche. Non è stato facile, per prima cosa, trovare l'accordo sulle giuste dimensioni del « comprensorio milanese ». Doveva estendersi fino a Busto Arsizio, Gallarate, Legnano, come previsto agli inizi, oppure limitarsi alla cerchia dei Comuni più vicini? Nel 1951, quando l'idea del piano prese corpo, fu steso un primo elenco di 79 Comuni. Nel 1959, ed erano passati tranquillamente otto anni, il ministero dei Lavori Pubblici dispose la formazione del piano intercomunale entro limiti più modesti, su un territorio che ospitava a quel tempo circa due milioni di abitanti. Molti Comuni. fecero ricorso al Consiglio di Stato, e per qualche tempo le vicende del piano furono dominate da ostilità dovute in parte a dissidi politici fra amministrazioni di diverso colore. Il numero dei Comuni aderenti scese a 35, poi risalì a 92 nel 1963. Gli studi e i lavori di prepara zione erano cominciati nel 1961; ben presto si ebbe il confronto fra due scuole urbanistiche o correnti. II gruppo Bacigalupo propone va una città lineare, allun gata fra il Mincio e l'Adda sull'asse delle comunicazio ni a nord di Milano ; il grup po De Carlo una città poli centrica, proiettata anche negli spazi agricoli a sud, con un nuovo impasto di attività produttive e di quartieri residenziali. A favore della città lineare si portavano i vantaggi offerti dalla creazione di un unico asse di sviluppo, vera e propria spina dorsale de gli insediamenti, che avreb be facilitato le comunicazio ni e i servizi. Per taluni era suggestiva l'idea di una « megalopoli » destinata a saldare l'area milanese a quella torinese, seguendo un modello già adottato per so luzioni urbanistiche radicali in altri paesi. I sostenitori del progetto di « città policentrica », guidati dal prò fessor De Carlo, negavano la validità della formula « lineare » su un territorio già largamente intaccato e dominato dall'esistenza di un grosso centro come quello milanese; proponevano la formazione di nuovi centri, specializzando alcune aree per attività industriali, al tre per insediamenti residenziali (le sponde del Ticino e dell'Adda), altre per attività culturali (ad esempio Pavia). Si doveva arginare e coordinare l'espansione, instaurando un nuovo rapporto fra città e campagna, non più distinte e separate: i campi e le ca' scine, cioè, come parte integrante e viva della nuova città-regione. Gli studi furono raccolti negli uffici del piano, e ven- nero utilizzati per la ricer ca di una formula che supe rasse gli ostacoli più ardui. Se ne occupò l'assessore milanese professor Hazon, al quale va dato il merito di una pazientissima opera di convinzione e di conciliazione fra i 92 Comuni interessati (tra i frutti di quest'opera sono gli accordi, operanti da tempo, per il coordinamento dei singoli piani regolatori, per il blocco di vastissime aree verdi, per i nuovi canali navigabili). Si giunse così alla redazione di un documento programmatico, orientativo. Dovrebbe esaminarlo l'assemblea dei 92 sindaci nel prossimo mese di gennaio: non più una « città lineare » ma una comunità pianificata con ampiezza, su scala veramente regionale, adottando in parte i suggerimenti della formula « policentrica ». In gergo tecnico si parla di sviluppo orientato su « poli regionali », este so praticamente a gran par te del territorio lombardo più vitale. Se i sindaci approveranno le linee fondamentali del piano, nel 1967 si passerà alla fase di attuazione. Sconcertante, però, che quest'ultimo passo, definitivo, si compia quasi silenziosamente. Le discussioni e le critiche restano chiuse in circoli di iniziati. Alla malattia dei ritardi l'opinione pubblica aggiunge quella della distrazione, anche a Milano? Mario Fazio

Persone citate: De Carlo, Hazon, Mario Fazio